Inside
"In principio fu LIMBO", così questa recensione potrebbe iniziare. Il puzzle-platformer di PlayDead (disponibile anch'esso su Switch da pochissimi giorni) uscì in relativa sordina nel 2010 e divenne subito una eccellenza fra la comunità indie, grazie alla sua estetica cupa e alle influenze di classici come Another World, Oddworld e Heart of Darkness. Una ambientazione brulla, quasi post-apocalittica nel suo essere infestata da macchine e rottami, e un indifeso ragazzo senza nome come protagonista: LIMBO fu sicuramente un gioco capace di catturare l'immaginazione, anche grazie al minimalismo della regia e del comparto audio.
Il suo seguito spirituale, INSIDE, rappresenta il tentativo leggermente più ambizioso di duplicare il successo del 2010 -questa volta con un comparto grafico molto più ricercato e alcune nuove idee. INSIDE, come titolo, è stato pubblicato su numerose piattaforme sin dal proprio rilascio -ed è giunto il momento di vedere come il titolo se la cava su Switch.
Prima di proseguire nell'analisi, tuttavia, è necessaria una precisazione: dall'uscita di LIMBO ad oggi, il concetto di puzzle-platformer con un giovane indifeso calato in un mondo ostile è stato replicato fino alla nausea -anche arrivando al punto di replicare l'estetica basata su chiaroscuri, parallasse a scale di grigio e giochi di ombre (Alberto & Otto, Dream Alone, Monochroma, forma.8, Toby: The Secret Mine, Boor). Il flusso di cloni e hommage ha prodotto nel corso degli anni alcuni titoli decenti, ed una montagna di prodotti prevedibilmente derivativi e insipidi; all'uscita di INSIDE, nel 2016, furono in molti ad aspettare PlayDead "al varco", come si dice, in attesa di scoprire se il primo centro degli indie danesi fosse soltanto un colpo di fortuna.
Partiamo quindi da questo scenario nel descrivere in cosa INSIDE differisce dal resto dei propri gemelli clonati: si tratta di un titolo infinitamente più curato e dall'art design impeccabile, con una forte coerenza tematica impossibile da trattare senza spoilerarne brevemente il finale (il modo migliore per descriverlo sarebbe "un crossover fra il 1984 di George Orwell e Akira di Katsuhiro Otomo").
In termini di gameplay, INSIDE è estremamente consistente con i presupposti del suo predecessore -una cosa che potrebbe non piacere a molti. Se in LIMBO PlayDead sperimentava con il platforming puramente 2D dotato di diversi livelli di parallasse con cui non interagire (ma da cui dedurre indizi per la risoluzione dei vari puzzle), in questo titolo la formula mantiene invariate le logiche di controllo del personaggio ma inserendolo in una ambientazione 3d in cui l'elemento della profondità è completamente accessorio ed irraggiungibile.
Se a livello di colore fondali, setting e animazioni lungo l'asse della profondità sono di altissimo livello, il risultato in termini di gioco è una esperienza 2.5D spesso al limite del nonsense: intere soluzioni o percorsi alternativi nei vari puzzle sono resi inaccessibili dato che il gioco "ragiona" costringendo il giocatore su una logica bidimensionale (nonostante la visuale dotata di terza dimensione insinui possibilità ben maggiori), rendendo allo stesso modo abbastanza goffa l'esecuzione di alcuni eventi della storia (come fughe da inseguitori).
Quello in cui INSIDE riesce meglio è nella resa dei puzzle più logici e spaziali, spesso incentrati su del leggero backtracking e sulla manipolazione di oggetti come casse, porte, ed ascensori. Nelle parti più avanzate del gioco molte delle sequenze più celebrali saranno dotate di diversi passaggi intermedi, dove tuttavia il fallimento si gioca di più sul filo dei secondi e dei millimetri -dove spesso il giocatore viene lasciato a sé stesso nel riuscire a dedurre se la strada intrapresa sia quella giusta
Alla fine del gioco, insomma, INSIDE è un titolo che verrà ricordato più per art direction e animazioni che per meriti esclusivamente ludici. PlayDead dimostra di essere uno studio mostruosamente capace nel creare atmosfere degne di questo nome.