Journey

di Massimiliano Pacchiano
Purtroppo la realtà é molto differente, ed il gioco si ripeterà esattamente identico con due sole variabili che potranno alterarlo: la prima é la possibilità di esplorare meglio gli ambienti (molto ampi ma comunque limitati e con un'unica uscita), andando a scovare i collectibles che si sono mancati al primo giro (glifi e pitture rupestri) o trovando alcuni rari “easter egg” sparsi per il gioco. La seconda é, come accennavamo, la presenza casuale di un secondo giocatore umano, fattore in grado di cambiare effettivamente come il gioco viene percepito e vissuto: alla prima run abbiamo affrontato due capitoli del gioco (in tutto ce ne sono solo sette) assieme ad un altro giocatore, talvolta perdendolo di vista e ritrovandolo, altre avanzando spalla a spalla in maniera decisamente emozionante. Nonostante il gioco fosse già spettacolare ed evocativo di suo, questa silenziosa presenza (la cui identità -in forma di nickname- ci é stata svelata solo a gioco finito) ha sottolineato dei momenti che alla fine sono risultati tra i più belli e memorabili dell'avventura.

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Ci sarebbe da aprire una parentesi sul fatto che il messaggio allegorico del gioco é molto efficace anche grazie a questo aspetto, ma per non spoilerare ci limiteremo a dire che “nella vita tutto é migliore se lo si fa in compagnia di qualcuno”. Piuttosto vorremmo sottolineare come la seconda run ci abbia deluso oltremodo, in primis nel verificare che -al contrario di quanto ci era stato fatto supporre- gli ambienti, gli enigmi, le creature ed i collectibles erano sempre tutti negli stessi luoghi (e sarebbe bastato davvero pochissimo sforzo per renderli random, era sufficiente definire per ogni elemento almeno 3 luoghi possibili di respawn); in secondo luogo a causa di tutti gli intermezzi animati ed i tempi morti non skippabili (avendoli già visti poco prima avremmo voluto saltarli), ed infine perché l'assenza di altri giocatori in quel frangente ha reso l'esperienza decisamente meno suggestiva.



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Insomma: seppur notevole nella forma e nel messaggio, Journey risulta eccessivamente breve, dotato di una rigiocabilità molto scarsa e molto inferiore alle aspettative: nonostante sia una magnifica esperienza in grado di regalare forti emozioni, certamente il gioco non vale il prezzo assegnatogli. Il valore percepito é assolutamente inferiore alla cifra richiesta, non solo per colpa della durata complessiva davvero misera (infatti come “opera” ha comunque un suo senso ed un suo compimento), ma anche per la scarsa rigiocabilità e per le alte aspettative in tal senso; un prezzo tra i 6 e gli 8 euro sarebbe stato certamente più adeguato. Non possiamo fare a meno di rammaricarci: si tratta di un'opera estremamente pregevole dal punto di vista artistico e narrativo, che ci offre una grafica dallo stile minimale ma altamente suggestiva ed un impianto tecnico estremamente evoluto.

Il deserto é un tappeto dinamico sferzato dal vento che luccica all'orizzonte, le architetture richiamano uno splendido stile mediorientale in chiave minimalista ed “aliena”, tutto il gioco é magnificamente didascalico e suggestivo. Il sonoro é avvolgente, emozionante, notevolissimo. Nonostante tutto questo, la lunga gestazione di Journey adesso appare come una sorta di presa in giro, quando ci troviamo alle prese con un'esperienza di poco più di un ora e scarsamente rigiocabile. Persino il discusso Flower aveva fatto meglio di così, grazie a delle meccaniche più compiute in ottica ludica, alta rigiocabilità ed assenza di tempi morti.

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