JU-ON: Rancore

JUON Rancore
JU-ON é un film horror giapponese risalente al 2000. Prodotto originariamente per la TV, con mezzi modesti, dopo essere uscito in sordina ha però riscosso un inaspettato consenso da parte del pubblico. Sull'onda del successo sono sorti un sequel ed i relativi remake americani, ad opera del medesimo regista (tale Takashi Shimizu).

Questa pellicola si inscrive nel solco tracciato dal celebre The Ring, dal quale sono ripresi molti tratti salienti (tanto che, per la verità, viene spontaneo porsi qualche dubbio circa l'originalità stessa di JU-ON) . Anche qui infatti si é di fronte ad una leggenda metropolitana, una maledizione che si abbatte su sventurati innocenti condannandoli ad una fine atroce, e soprattutto alla morte sotto le sembianze di una donna cadaverica dai lunghissimi, liscissimi capelli neri. La donna in questione é Kayako, uccisa assieme al figlioletto Toshio dal marito. Il rancore provato per la dipartita violenta fa sì che i fantasmi delle due vittime infestino la casa teatro della tragedia, abbattendo il proprio odio sugli ignari abitanti, ingrato ruolo che nel videogame spetta alla famiglia Yamada.

Il terrore aspetta dietro alla porta. O no?
Il terrore aspetta dietro alla porta. O no?
Toshio incombe. Certo, é un bambinetto che corre nudo... Ma incombe
Toshio incombe. Certo, é un bambinetto che corre nudo... Ma incombe
Poteva mancare la classica chiave che apre la classica porta? No eh?
Poteva mancare la classica chiave che apre la classica porta? No eh?


Il gioco é suddiviso in episodi (livelli). In ciascuno di essi, si impersona un componente della famiglia mentre vive il suo incubo, con l'ovvio obiettivo di condurlo alla salvezza. Ad una prima occhiata, si direbbe di avere a che fare con l'ennesimo survival horror; in effetti, JU-ON si é appropriato delle dinamiche del genere, asservite però ad una esperienza di diverso tenore. Il livello si sviluppa attraverso l'esplorazione solitaria di un ambiente tetro e desolato (un ospedale abbandonato, piuttosto che un condominio, o poco altro), avvolto dalle tenebre. L'angoscia per il pericolo che si annida dietro l'angolo, o dall'altro lato della porta, é una compagna fedele. Per poter procedere, occorre risolvere enigmi elementari basati sulla raccolta di oggetti (che, nell'oscurità, brillano dotati di luce propria, giusto per essere sicuri di non mancarli), tipo la classica chiave.

Nella impostazione di base non pare difficile riconoscere alcuni espedienti resi celebri dai vari Resident Evil e Silent Hill; tuttavia, le analogie finiscono qui. JU-ON si autodefinisce "simulatore di paura" perché mira essenzialmente a spaventare chi sta seduto davanti allo schermo, ricreando condizioni prossime a quelle della pellicola alla quale si ispira. Ne consegue un approccio all'orrore passivo: il male non si combatte, piuttosto si rifugge affannosamente. L'unica "arma" a disposizione é una torcia elettrica, la cui batteria non dura in eterno, ottima ragione per sbrigarsi a trovare pile di riserva (ossia, il tempo dedicabile all'esplorazione non é illimitato): restare al buio comporta il game over o, se preferite, la morte. Chi si aspetti una pletora di mostri, rimarrà spiazzato: il rispetto del copione esige che i soli Kayako e Toshio sbarrino il passo lungo il cammino.

Ma ciò che davvero distingue JU-ON dai soliti survival horror é la sensibile contrazione della libertà d'azione. In tale scelta si può forse scorgere l'aspirazione a proporre una esperienza di taglio cinematografico; gli esiti a cui perviene però non convincono. Mentre si perlustrano gli ambienti, si affronta la maggior parte degli eventi raccapriccianti come semplici spettatori. Al massimo, qualora sia a rischio la vita, per scamparla si dovranno superare un paio di quick time events, oppure centrare col cursore un cerchio sullo schermo, che si rimpicciolisce gradualmente. Le restrizioni pongono il giocatore in un ruolo non troppo distante da quello di chi guarda un DVD. Il sacrificio dell'interazione suggerisce inequivocabilmente come JU-ON si risolva nel mettere paura: e, pur autoimponendosi questa prospettiva limitante, fallisce nei suoi intenti.

Chi sarà mai quella donna sul video di sicurezza?
Chi sarà mai quella donna sul video di sicurezza?
Siccome Kayako e Toshio da soli non bastavano, ecco questi manichini
Siccome Kayako e Toshio da soli non bastavano, ecco questi manichini
Si direbbe tutto tranquillo... Cosa salterà fuori?
Si direbbe tutto tranquillo... Cosa salterà fuori?


Oggigiorno, riuscire ad incutere terrore attraverso un videogame, rivolgendosi ad un pubblico maturo (e, ammettiamolo, spesso desensibilizzato nei confronti della violenza) costituisce una piccola impresa. Per compierla, da un lato JU-ON si serve dei vecchi, semplici stratagemmi: una trave che cade davanti, un rumore improvviso, il pericolo dietro l'angolo. Dall'altro, prova a colpire ad un livello più sottile, sfruttando l'inquietudine dei continui incontri con i due fantasmi. Se i primi artifici possono dirsi ormai superati, i secondi invece non funzionano e basta. Perché due soli nemici si conoscono in fretta e annoiano ancor più in fretta, rappresentando troppo poco pure per un gioco dalla durata ridotta. Anche non conoscendoli, difficilmente riuscirebbero a spaventare: quando la donna cadaverica afferra un braccio proteso nel buio, quando il bambino corre nudo affianco o miagola imitando un gatto, non suscitano reazioni di stupore.

Non si salta dalla sedia, a meno che non si sia molto impressionabili, o molto giovani (attenzione al PEGI però). Ed é proprio la mancanza di libertà d'azione la principale responsabile di questa situazione. Seguire la strada tracciata, senza quella partecipazione attiva capace di instillare nell'utente il necessario coinvolgimento, impedisce di immedesimarsi nei poveri Yamada. L'inquadratura che si sposta in modo autonomo, per focalizzare qualcosa che dovrebbe sgomentare, provoca invece l'effetto opposto, poiché dona la sensazione di osservare l'avvenimento dall'esterno (come guardare un film, appunto). Anche la morte, se giunge al termine di un percorso così impersonale, viene temuta in misura decisamente minore.

Si é accennato alla breve longevità di JU-ON. Un generico "breve" non rende con efficacia l'idea: la durata si attesta infatti intorno ad un misero paio di ore, tanto da apparire appropriata più a un lungometraggio che a un videogame.
Il metodo di controllo si avvale del Wiimote, senza il supporto di Nunchuck o MotionPlus. Esso fa le veci della torcia: puntandolo a destra o sinistra, su o giù, si rivolge il fascio di luce (e la telecamera) nella direzione corrispondente. Poi si utilizzano il pulsante B e la crocetta per avanzare e indietreggiare. Senonché, la storica imprecisione del Mote Nintendo causa qualche imbarazzo nell'eseguire i movimenti corretti, provocando un comprensibile fastidio. In base alla maniera in cui si é controllato il personaggio (con fermezza o meno), a conclusione dell'episodio viene determinato un parametro, il livello di paura provato dal giocatore. Suona un po' paradossale, quando per girarsi esattamente dove si vuole bisogna quasi litigare col pad capriccioso.

Finora si é descritto JU-ON come una avventura rigorosamente solitaria. Potrebbe dunque sorprendere mettersi a parlare di multiplayer: e in effetti non c'é. Tuttavia, un amico può intromettersi grazie alla curiosa modalità Panico. Tramite questa, durante un comune episodio in singleplayer, al secondo sarà consentito sovrapporre sullo schermo immagini di Kayako, Toshio e schifezze varie che, se non far rabbrividire, dovrebbero almeno disturbare.
Sotto il profilo tecnico, JU-ON lascia a desiderare. La grafica, statica, cela nell'oscurità i difetti di una realizzazione poco curata. Il sonoro si comporta per lunghi tratti da assente illustre.
In conclusione, non può che restare la delusione per un titolo corto e restrittivo, totalmente privo di spunti convincenti. Un gioco per non giocatori, perché potrebbe accattivarsi giusto le simpatie di chi col videoludo ha poca confidenza; gli altri lo abbandoneranno subito. Novello Frankenstein, JU-ON cuce insieme pezzi di film e videogames, creando una mostruosità alla disperata (e vana) ricerca del terrore. Solo in questo riesce veramente a fare paura.

Di certo, Kayako non disdegna i primissimi piani
Di certo, Kayako non disdegna i primissimi piani
Chissà chi ci abita, qui
Chissà chi ci abita, qui
Non si può certo dire un tranquillo quadretto familiare
Non si può certo dire un tranquillo quadretto familiare


JU-ON: Rancore
4

Voto

Redazione

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JU-ON: Rancore

Lunghi, fluenti, interminabili capelli corvini che hanno monopolizzato la produzione horror nipponica dell'ultimo decennio, nel bene e nel male. A dire il vero, non sarebbe questo il luogo appropriato per discutere riguardo la bontà del cinema (e non solo) giapponese; ma quando il film entra prepotentemente nel videogame, ne distorce le meccaniche, ne accorcia i tempi, insomma ne stravolge l'essenza, allora forse é il momento di fermarsi e riflettere un momento sui problemi che si incontrano nell'accostare due mondi così diversi fra loro. In questo caso non c'é nemmeno da affannarsi troppo. Le contraddizioni di JU-ON sono infatti talmente palesi che sembrano gridare un ammonimento: il videogame é una creatura a sé, con i suoi tempi e i suoi modi. Trattatelo come tale.

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