Jusant: recensione del gioco che è un po' metafora della vita
Jusant è il gioco Don't Nod in cui scalare in un action molto divertente
Chi l’avrebbe detto che arrampicarsi fosse così divertente, con Jusant fate essenzialmente solo questo, ma è così intrigante il modo in cui è stato concepito, con sezioni sempre diverse, con un mondo decadente da scoprire e con un gameplay così totalizzante che non vi staccherete fino ai titoli di coda… peccato che arrivino molto presto.
Jusant: la bellezza della vertigine
Il mare e gli oceani si sono ritirati, ciò che rimane è un mondo decadente con picchi altissimi da esplorare e una popolazione che si è arresa agli eventi, adattandosi e sopravvivendo, come fanno gli esseri umani da sempre. Siamo certi di essere sulla Terra? Siamo certi che ciò che rimane dell’umanità sia effettivamente umana?
Bè è meraviglioso quando proseguite in un titolo che instilla gocce di trama passo dopo passo, vorrete superare una parete di roccia solo per capire se la prossima tessera del puzzle della storia vi aiuti in qualche modo a comprendere meglio quel luogo arido, ma non inesplorato, desertico (ma solo in apparenza), eppure alla bisogna il nostro amico, compagno di viaggio e pet intona un suono che risveglia la vita delle piante che ci possono aiutare lungo il cammino o richiama un accenno di cultura con le pitture rupestri che sembra vogliano parlare di nuovo sulle pareti delle spelonche.
La popolazione nomade ha imparato ad arrampicarsi e a sviluppare qualche (mini) tecnologia per poterlo fare al meglio - come il rampino retrattile - e il nostro avatar conosce bene questa disciplina. Si può salire lungo gli spuntoni acuminati, le naturali rientranze della roccia – quelle lì a forma di zoccolo di gnu, a buon intenditor… - ma è grazie alla nostra corda che potremo ottenere i risultati migliori.
Avremo a diposizione ben tre chiodi per dosare l’arrampicata ed evitare che una caduta ci porti troppo in basso, in alcuni casi la sfrutteremo come lazo per agganciare magneticamente punti lontani o per aiutarci ad abbassare ponti improvvisati o ancora dondolarci lungo le varie sporgenze. La fisica gioca un ruolo primario nel momento in cui si corre lungo le pareti impervie, a picco sul nulla, ma ciò che non vi ho ancora detto è che per salire si sfruttano in modo particolare i dorsali del pad, alternando la pressione di una levetta dopo l’altra per simulare il movimento in sequenza delle mani, restituendo una sensazione di essere effettivamente lì.
La fatica si può far sentire e ne vedrete una rappresentazione mediante una barra che si svuota e che andrà ricaricata con una debita sosta, ma che andrà ad occupare una parte di spazio perenne nel momento in cui si spicca un salto; quindi, c’è anche una punta di tattica nella scelta delle azioni da compiere, per poi ricaricarsi in pieno al raggiungimento di un piano. L’osservazione degli ambienti, in quelli che sono fondamentalmente puzzle ambientali, è assai importante, non solo per racimolare scampoli di tracce del passaggio di precedenti abitatori di una determinata zona, ma anche per capire dove proseguire il cammino.
Non c’è una reale difficoltà troppo proibitiva, anzi è quasi rilassante, con la musica che sa sottolineare i punti cruciali o la poesia dei momenti in cui l’eroe ascolta “echi del passato” con la rappresentazione metaforica di una conchiglia da ascoltare e veder tornare la vita anche se questa sembra non esserci più. Peccato che non duri moltissimo, ma forse troppo avrebbe reso le sequenze meno genuine e fresche ed essere più copia-incolla, allo stesso tempo non di rado ci si incastra un po’ in alcune zone, ma nulla che un salto non possa sbloccare il personaggio, per il resto è solo bellezza che si muove, poesia, vento in faccia e la voglia di andare sempre oltre, superando ogni ostacolo come se fosse la montagna più irta da scalare.