Kona II: Brume, la recensione. L'incubo di Carl Faubert giunge al termine
Nel gelo apparentemente eterno del Canada, l'investigatore troverà le risposte che cerca
Se siete tra coloro che hanno giocato a Kona e sono rimasti incuriositi (o scottati, dipende dai punti di vista) dal finale, l'attesa è finalmente giunta al termine. Kona II: Brume è un seguito talmente diretto da riprendere proprio dal punto in cui si è interrotto il predecessore. Questo significa soprattutto una cosa, ovvero che sarebbe utile aver prima giocato a Kona: non perché il secondo capitolo non abbia un efficace riassunto degli avvenimenti all'interno del gioco stesso tramite il diaro del protagonista, quanto per il fatto che data la tipologia (thriller narrativo) e il suo riprendere la storia da dove si era interrotta occorre avere familiarità con personaggi e situazioni. Questo non impedisce comunque di riprendere le fila, allineandosi con quanto successo e capendo così perché Kona II: Brume inizia con Carl Faubert ferito, in fuga lungo un lago alla ricerca di una salvezza che tuttavia è ancora lontana.
Il nostro investigatore privato, reduce della guerra di Corea e assunto, nel primo gioco, dal locale magnate del rame per indagare su alcuni atti di vandalismo ai suoi danni, si è ritrovato coinvolto in qualcosa di più grande e fuori dal suo controllo: gli eventi hanno preso una piega ultraterrena, il territorio attorno è stato avvolto da un gelo inspiegabile e una letale creatura sembra essere sulle sue tracce. L'idea sarebbe scappare e lasciarsi tutto alle spalle ma, vuoi per il fatto di non riuscirci o perché Faubert cerca comunque delle risposte, nel secondo capitolo ci troviamo intrappolati in una landa da cui non sembra esserci via di fuga: tutti i nodi verranno al pettine, a volte con una certa prevedibilità, collegando tra loro alcuni punti ma lasciandone troppi altri scoperti e privi di una spiegazione logica - unendo realtà e misticismo in maniera sfilacciata.
Ci sono alcuni momenti dove atmosfera e narrazione funzionano davvero bene, come nella villa di Hamilton pochi minuti dopo l'inizio dell'avventura, dove il gioco assume tinte molto più vicine all'horror psicologico che al thriller; altri invece in cui la dispersitività la fa da padrona, ovvero la maggior parte delle sezioni all'esterno in cui si è circondati da bianco a perdita d'occhio (normale, data la situazione in cui si trova) e che solo in rare occasioni premia l'esplorazione con qualche piccolo segreto. Certo, negli altri casi possiamo trovare risorse o mistanite (un minerale molto importante per la trama) ma alla lunga si sente il peso di doversi spostare in queste ampie mappe senza particolari eventi nel mezzo. Occasionalmente si può essere inseguiti dal wendigo ma il fatto che appaia molto lontano da noi e basti correre nella direzione opposta per seminarlo dopo pochi metri non concorre a mantenere quel senso di tensione che, invece, la citata villa di Hamilton imbastisce perfettamente.
Ecco, il modo più efficace per descrivere l'esperienza di Kona II: Brume è la mancanza di equilibrio tra le sezioni al chiuso e all'aperto: i due luoghi principali in cui siamo chiamati a entrare e isolarci dall'esterno, dunque la villa e il laboratorio sotterraneo, rappresentano esattamente quel tipo di esperienza che da un simile thriller ci si aspetta - anche in virtù di quanto accaduto nel primo capitolo. La pressoché totale assenza di persone, gli sporadici cadaveri che troviamo in giro (congeati e non), le visioni, il silenzio e in generale un buon sound design che, tra le quattro mura di questi edifici, pesa sui nostri nervi sono gli ingredienti perfetti per tenerci in costante tensione. Anche quando poi non succede nulla, viviamo nel costante timore che qualcosa possa sbucare da dietro l'angolo, che il wendigo venga a cercarci, che le allucinazioni possano spingersi al punto di animare i morti... insomma, il non aver idea di cosa possa accadere è il perno su cui si fondano queste sezioni e le rende ottime soprattutto se giocate in cuffia.
Il problema sorge, appunto, quando ci troviamo all'esterno (per meccaniche soprattutto ludiche che andremo a vedere tra poco) e per una narrazione che lascia troppi punti in sospeso a favore dei pochi risolti. Arriveremo a conoscere l'accaduto, sia a carattere generale sia dei singoli luoghi, ma tutto sembra essere stato costruito per rispondere alle domande lasciate dal gioco precedente e non con lo scopo di creare una narrazione coesa in cui i personaggi - vivi e non - hanno tutti un punto d'arrivo.
Se per alcuni il destino ci è noto, o lo intuiamo una volta giunti alla fine del gioco, altri non sappiamo ce fine abbiano fatto. Il che da un lato potrebbe contribuire al mistero, sulla falsa riga di Everydoby's Gone to the Rapture (che comunque le sue risposte le dà), ma dall'altro lascia la sensazione che certi elementi siano stati introdotti con il semplice scopo di incrementare l'aura di mistero senza una vera e propria risoluzione. Troviamo prove della presenza di chi, fino a poco prima, era in un dato luogo, a volte persino tramite tracce "eteree" di queste stesse persone, ma una volta giunti alla fine sentiamo di non aver avuto tutte le risposte che volevamo.
Dal punto di vista del gameplay, la prima criticità è la mancanza di spiegazioni: sebbene il gioco nei comandi sia piuttosto intuitivo (al netto di un bug che fortunatamente è stato risolto), alcuni elementi importanti come l'uso del diario per risolvere gli enigmi non vengono minimamente menzionati. Certo, se si viene dal primo gioco si capisce che l'impianto ludico è molto simile, tuttavia non è cosa da dare per scontata: al di là degli anni trascorsi e del fatto di scordarsi, legittimamente, come funziona cosa, va anche tenuta in conto la possibilità che qualcuno inizi a giocare Kona II: Brume senza aver provato il primo. Trovandosi, di fatto, buttato nel mezzo del gioco senza alcuna informazione. Non è un'esperienza complicata, d'accordo, ciò non toglie che le indicazioni di base vadano comunque fornite contestualmente a quanto stiamo vivendo.
Gli elementi survival sono stati drasticamente ridotti rispetto al primo, sebbene a questo ponga rimedio il fatto di poterlo giocare a diverse difficoltà e dunque stabilire in questo modo il peso di alcuni elementi sul gameplay. Io l'ho iniziato e finito a Normale, trovando l'ipotermia un elemento quasi accessorio: a patto di non andare in giro a piedi sempre e comunque quando si è all'esterno, e in ogni caso ci sono diversi falò o anche erbe con cui proteggersi riscaldars, è impossibile restare vittime del freddo.
L'unico altro pericolo è rappresentano dagli animali e dalla loro controparte di nebbia: se non vogliamo contribuire alla riduzione della fauna locale, possiamo girare al largo da lupi e orsi che occasionalmente troveremo sul cammino, oppure cominciare a correre nel caso in cui venissimo individuati. Proprio come con il wendigo, basta poco per seminarli e i danni che potremmo ricevere sono minimi.
Gli animali di nebbia sono invece la sola vera minaccia di cui dobbiamo sbarazzarci, con armi da fuoco o corpo a corpo, ma ancora una volta ci troviamo di fronte al problema di equilibrio tra interno ed esterno: nella villa di Hamilton, ad esempio, questi compaiono senza preavviso (o al massimo, prestando bene attenzione, si possono anticipare dalla variazione nella musica) e pur non rappresentando chissà quale sfida, perché in luoghi tanto chiusi appaiono soltanto lupi, si sommano alla tensione che accompagna queste sezioni. All'esterno, invece, la loro presenza è limitata ai punti in cui si trova la mistanite, rintracciabile attraverso il contatore Geiger, e di facile previsione poiché gli animali appaiono solo quando ci si trova molto in prossimità del minerale. Pur non potendo sapere cosa apparirà (se lupi, orsi o alci), basta girare con la carabina per risolvere il problema prima che questo ci raggiunga - sebbene il gunplay non risulti molto soddisfacente. Ancora una volta, dunque, le fasi all'esterno soffrono in confronto a quelle all'interno, non riuscendo a trasmettere né lo stesso senso di pericolo né il nervosismo di cui, al contrario, i luoghi chiusi abbondano.
Non mancano poi fastidiosi bug che obbligano al caricamento del salvataggio per essere risolti: il peggiore, a mio avviso, è quello che riguarda il trasporto di oggetti chiave per essere utilizzati altrove. Facendo un esempio pratico, nel laboratorio dobbiamo raccogliere cinque grosse batterie per alimentare diverse parti della struttura: queste non sono oggetti da inventario, vengono prese di peso da Faubert e starà poi a noi tornare fino al punto in cui utilizzarle. Come ho scoperto a mie spese, non si può eseguire nessun'altra azione nel mentre, fosse anche solo aprire il diario, pena la sparizione completa dell'oggetto: non viene appoggiato a terra per essere raccolto, né torna al suo posto (sarebbe stato odioso ma comunque meglio di nulla), semplicemente scompare e non può più essere ritrovato. Se non siete persone che salvano spesso, potreste trovarvi con una spiacevole sorpresa. L'unico punto in cui questi oggetti possono essere appoggiati, e dovete essere voi a farlo, è lo stesso da cui sono stati raccolti: in quel caso non succederà niente e potrete tornare a riprenderli in un secondo momento.
Infine, per quanto apprezzi moltissimo l'utilizzo di un narratore esterno per raccontare le vicende, mi sarebbe piaciuto che Faubert fosse doppiato come lo sono tutti gli altri personaggi (che, molto coerentemente, parlano francese canadese). Invece le poche interazioni che abbiamo, con dei testi molto piccoli e posti sulla sinistra dello schermo non sempre in modo nitido, si risolvono in un semplice cliccare sul testo per ricevere risposta dal nostro interlocutore. Il fatto che non si possano velocizzare i dialoghi o passare al successivo, poiché in genere la velocità di lettura è superiore a quella della recitazione, è un altro aspetto che avrebbe meritato più attenzione: per fortuna non ci sono moltissime interazioni e possiamo anche arrenderci all'evidenza di dover ascoltare tutto fino in fondo.