Little Big Adventure: Twinsen’s Quest, il ritorno di un classico in chiave moderna - Recensione

Un mondo affascinante e un gameplay rinnovato per Little Big Adventure: Twinsen’s Quest, ma non mancano i difetti

di Simone Rampazzi

Quando Little Big Adventure debuttò nel 1994, conquistò una nicchia di appassionati grazie al suo mondo originale, un gameplay ambizioso e una narrazione ricca di spunti inediti per l’epoca. Il gioco, seppur non privo di difetti, era considerato un piccolo gioiello, capace di far immergere i giocatori in un’avventura che miscelava elementi di esplorazione, puzzle e azione. Con il remake Little Big Adventure: Twinsen’s Quest, il team [2.21] tenta di ricreare quella magia, aggiornando grafica e controlli per renderli più adatti ai canoni moderni, ma senza tradire lo spirito dell’opera originale.

Il remake punta a restituire ai fan di vecchia data le emozioni di un tempo, cercando al contempo di attirare un nuovo pubblico con un’esperienza arricchita. Tuttavia, la decisione di rimanere fedeli al titolo del passato solleva dubbi sulla sua capacità di competere nel mercato odierno. Se da un lato l’amore per il materiale di partenza è evidente, dall’altro emerge la difficoltà di bilanciare nostalgia e innovazione, lasciando un prodotto che oscilla tra il fascino del ricordo e i limiti di un’epoca ormai lontana.

Una storia un filino riscritta, ma senza esagerare

La trama di Little Big Adventure: Twinsen’s Quest si svolge in un mondo unico, il pianeta Twinsun, sospeso tra due soli gemelli e diviso da una fascia di ghiaccio che separa gli emisferi. In questo ambiente vivono quattro razze antropomorfe, ciascuna caratterizzata da tratti distintivi e una cultura peculiare. Al centro della narrazione troviamo Twinsen, un giovane Quetch che, suo malgrado, si ritrova a essere l’unica speranza per liberare il pianeta dalla dittatura instaurata dal Dottor FunFrock. Grazie all’uso di un esercito di cloni e di una tecnologia che consente il teletrasporto, FunFrock ha trasformato un luogo ricco di vita e colori in un regno di oppressione e decadenza, minacciando non solo la libertà degli abitanti, ma anche la stabilità dell’intero pianeta.

La missione di Twinsen non si limita a combattere un nemico apparentemente invincibile; nel corso dell’avventura, il protagonista scopre antichi segreti legati alla sua famiglia, compreso il potere della sfera magica, e intraprende un viaggio che lo porta a esplorare ogni angolo del pianeta. Il racconto si sviluppa in modo lineare, seguendo una struttura chiara che guida il giocatore attraverso ambientazioni variegate, arricchite da un’atmosfera che riesce a trasmettere sia la bellezza del passato che il degrado imposto dalla dittatura.

Rispetto al gioco originale, il remake aggiunge nuovi dettagli narrativi, ampliando il ruolo di personaggi come Zoé, che non è più relegata al classico stereotipo della "donna da salvare", ma acquista maggiore spessore all’interno della storia. Tuttavia, il passaggio del testimone a Luna, la sorella di Twinsen, introduce dinamiche che sembrano preparare il terreno per sviluppi futuri, pur rimanendo ancorate al tema del “salvataggio” centrale alla trama.

Dal punto di vista della longevità, il gioco offre un’esperienza che si completa in circa dieci ore, un tempo equilibrato per un’avventura di questo tipo. Tuttavia, la linearità della narrazione e la mancanza di contenuti secondari o scelte significative limitano la rigiocabilità. Nonostante l’ampliamento di alcune sezioni e l’arricchimento di ambientazioni prima più spoglie, il remake non riesce a liberarsi completamente della struttura rigida del passato, lasciando poche possibilità di esplorazione oltre la storia principale.

Quando è legnoso, è legnoso!

Il gameplay di Little Big Adventure: Twinsen’s Quest si presenta come un mix di esplorazione, combattimenti ed enigmi ambientali, che mantiene la struttura del gioco originale ma introduce alcune modifiche volte a modernizzarne l’esperienza. Uno dei cambiamenti più significativi riguarda il sistema di controllo, da sempre un aspetto controverso della serie: ora Twinsen può essere guidato tramite la levetta analogica, rendendo i movimenti più fluidi e meno frustranti. Anche la gestione dei comandi, che nel titolo del 1994 richiedeva il passaggio manuale tra diverse modalità (azione, corsa, furtività), è stata semplificata in un unico layout, rendendo più intuitiva l’interazione con l’ambiente.

Nonostante queste migliorie, il gameplay mostra alcuni limiti evidenti. La schivata, introdotta come un omaggio al secondo capitolo della serie, aggiunge un elemento di dinamicità nei combattimenti, ma risulta lenta e imprecisa, portando a frustrazione in situazioni concitate. Anche la sfera magica, l’arma iconica di Twinsen, soffre di problematiche tecniche: le traiettorie spesso sono inaffidabili, e il tempo di lancio espone il protagonista agli attacchi nemici. Il sistema di lock automatico migliora la precisione, ma non elimina completamente la sensazione che i combattimenti siano ripetitivi e più una prova di pazienza che di abilità.

Gli scontri, che rappresentano una parte significativa dell’esperienza, sono penalizzati da un’intelligenza artificiale datata. I nemici si bloccano contro ostacoli, seguono pattern prevedibili, e i compagni, quando presenti, non riescono a gestire percorsi complessi o contribuire efficacemente nei combattimenti. Questi limiti rendono alcune sezioni un po’ avvilenti, soprattutto nei momenti in cui il gioco richiede precisione.

Gli enigmi ambientali, un tempo considerati un punto di forza, oggi risultano datati. La loro struttura semplice – blocchi da spingere, leve da attivare – non offre sfide significative ai giocatori di oggi, e alcune meccaniche, come la necessità di grindare denaro per acquistare oggetti essenziali, finiscono per interrompere il ritmo dell’avventura. Questo aspetto può alienare chi si aspetta un’esperienza più fluida e contemporanea.

Graficamente troppo ancorato al passato

Il comparto tecnico di Little Big Adventure: Twinsen’s Quest rappresenta uno degli aspetti più interessanti e, al tempo stesso, problematici di questo remake. Sul fronte visivo, il lavoro svolto dall’art director Paulo Torinno ha conferito al gioco un aspetto stilizzato e vibrante, simile a un collage animato, che riesce a rinnovare l’identità visiva dell’opera senza tradire l’atmosfera originale. L’uso di colori vivaci e dettagli ambientali, come alberi mossi dal vento o onde che interagiscono con gli oggetti, contribuisce a dare vita al mondo di Twinsun, rendendolo più immersivo rispetto al titolo del 1994.

Tuttavia, non tutto funziona come dovrebbe. Il supporto agli schermi ultrawide è carente: il ridimensionamento dell’immagine non si adatta correttamente, causando problemi di proporzione quando ingrandito a tutto schermo. Inoltre, alcune finestre di dialogo, presentate sotto forma di fumetto, non compaiono correttamente, interrompendo l’esperienza narrativa in momenti chiave. Questa mancanza, insieme all’assenza di un’opzione interna per modificare manualmente la risoluzione, rende l’esperienza visiva meno fluida di quanto ci si aspetterebbe da un titolo moderno.

Nonostante questi problemi tecnici, il restyling grafico delle ambientazioni e dei personaggi è degno di nota. Twinsen e il Dottor FunFrock, in particolare, hanno ricevuto un trattamento che esalta le loro caratteristiche distintive, rendendoli più espressivi e riconoscibili. Tuttavia, alcune animazioni soffrono di compenetrazioni e glitch occasionali, che minano l’immersività del gioco.

Un altro aspetto positivo è il lavoro svolto sulla colonna sonora, riarrangiata dal compositore originale Philippe Vachey. Sebbene le tracce abbiano perso parte della loro audacia rispetto alla versione anni ’90, l’approccio più ambientale e discreto si sposa bene con il nuovo stile visivo, creando un accompagnamento musicale piacevole, anche se meno memorabile.