Martian Gothic Unification

di Redazione Gamesurf
Nell' immaginario collettivo, il tema horror è da sempre indissolubilmente legato ad ambientazioni tardo medioevali e goticheggianti, scendendo a volte, per la verità, in comuni stereotipi di cui in fondo non ci lamentiamo. Negli ultimi anni, poi, si sono aggiunte anche situazioni contemporanee strettamente legate a circostanze lugubri, che mantengono comunque un solido e quasi necessario legame con la tradizione precedente. Nulla a che fare con il futuro, lasciato a tutt'altro genere di realizzazioni. Derogando però a questa tacita norma, Talonsoft presenta un titolo che, prendendo le distanze da una regola che fino ad ora ha fatto da padrona, decide di trattare il tema dell'horror ambientandolo in un futuro non troppo prossimo, addirittura su un altro pianeta, quale se non Marte?


Siamo nell'anno 2019, e la base spaziale Vita non da più alcun segno di vita. Tre intrepidi astronauti sono così mandati sul pianeta rosso per accertarsi sulle condizioni dell'equipaggio e segnalare i guasti eventuali. Tuttavia strani messaggi sono arrivati dalla base: "state separati, sarete vivi", e, alla luce di questa frase ermetica, i tre scienziati decidono di giungere a destinazione per vie separate senza disobbedire alla misteriosa raccomandazione. Arrivati, finalmente, un indicibile orrore vi aspetta, un mistero deve essere risolto. Concluso il filmato iniziale, apprenderete subito che, fedelmente a quanto illustrato, tre saranno i personaggi da controllare, e questa decisione è tutt'altro che indipendente dalla struttura di gioco. Essa, infatti, non si limita, come si potrebbe pensare, alla canonica scelta di uno soltanto nella rosa disponibile, col quale portare avanti, in solitario, la vostra missione. Martian Gotic introduce viceversa un elemento assolutamente esclusivo, e che rialza i toni di un gameplay che sarebbe potuto essere eccessivamente simile ad altre esperienze di questo tipo. La novità di cui il titolo può fregiarsi è quella di costringere il giocatore ad utilizzare contemporaneamente e sistematicamente tutti i personaggi, attraverso una collaborazione continua e necessaria senza la quale è preclusa ogni via di successo.
E' bene precisare che, come da triste copione, l'impianto di gioco rimane classico, un'avventura dinamica in tre dimensioni con fondali pre-renderizzati, sui quali si muovono liberamente i personaggi poligonali
Le citazioni dalla più famosa serie di Resident Evil prendono il volo proprio a partire dalla componente strutturale, ed inizialmente gli ambienti si presentano anche eccessivamente simili alla famosa mansione di casa Capcom, benché, in questo caso, ci si trovi all'interno di una base spaziale. Anzi, l'ambientazione futuristica sembra solo un pretesto dal quale in realtà i programmatori non si sono voluti vincolare, preferendo invece disegnare le ambientazioni senza costrizioni. Progressivamente però, il gioco acquista un carattere proprio mostrando locazioni ben più evocative e consone alla costruzione narrativa di fondo.


L'ombra di Resident Evil, con il quale Martian Gothic deve per forza confrontarsi, rimane soprattutto per la resa visiva degli zombie e dei loro movimenti, oltre che per un dipanarsi della trama legato al fatidico virus che dà l'avvio alla macchina narrativa. Le differenze, però, iniziano ad affiorare, come detto, con il proseguire del gioco, quando Martian Gothic dà mostra di sé e di tutto il suo carattere
La struttura di gioco, apparentemente canonica ed inflazionata, finalmente esibisce enigmi tutt'altro che banali. A dispetto delle ormai famose leve da tirare e pulsanti da azionare, questi richiedono effettivamente un serio impegno della materia grigia e un utilizzo attivo dell'inventario. Non ci troviamo di fronte ad enigmi mascherati, come avveniva in Tomb Raider; viceversa i puzzle sono più facilmente accostabili a quanto ci aveva offerto il favoloso The Nomad Soul
La varietà di situazioni può poi giovare della felice intuizione di mettere a disposizione del giocatore tre diversi personaggi con i quali interagire. Molto presto apprenderete infatti che il virus "protagonista" induce alla pazzia prima, e alla morte poi, fino a diventare dei veri e propri zombie, ma solo se i soggetti affetti si trovino a contatto con altre persone. Fino a quando invece si rimarrà separati, nulla potrà scalfire la salute dei personaggi. E questo espediente narrativo giustifica fino in fondo la necessità di operare contemporaneamente con tutti e tre i personaggi senza che possano mai incontrarsi. Gli avventurieri allora si scambieranno oggetti e "favori", come ad esempio l'apertura di porte meccaniche che blocchino un determinato personaggio, il cui meccanismo risulti accessibile solo da un compagno. Lo scambio di oggetti può avvenire chiaramente lasciandoli per terra, salvo poi raccoglierli con l'avventuriero interessato, ma anche utilizzando una pompa pneumatica che collega tutta la base e che funge, attraverso un sistema di tubature, da sistema di trasporto.
I personaggi possono essere facilmente selezionati in ogni momento, e quando ormai la vostra mente non riesce a suggerirvi alcuna via di fuga in quel di una situazione inespugnabile, certamente la collaborazione con i compagni offrirà una valida soluzione
Tuttavia, di fronte a tale entusiasmo, è giusto stemperare i toni alla luce di quelli che sono gli elementi meni riusciti. In particolare, seguendo i più recenti sviluppi del mercato, è triste notare come l'interazione con l'ambiente sia di nuovo ancorata ad una concezione ormai vecchia del gameplay. Il sistema di controllo, ad esempio, è praticamente lo stesso di quello utilizzato in Resident Evil: viene da sé che le azioni a disposizione sono fortemente limitate. Oltre ai classici pulsanti per selezionare la posizione di attacco, per l'accesso all'inventario e per compiere le azioni in generale, null'altro è offerto all'iniziativa dell'utente, e gli sfondi pre-renderizzati non offrono nulla di più di quanto non si sia già visto. Gli enigmi, quindi, non possono che essere risolti in maniera univoca senza lasciare al giocatore la possiblità di esprimere impulsi personali, né di intervenire decisivamente sul dipanarsi del tessuto narrativo