Max: The Curse of Brotherhood

di Simone Azzarello
Vi é mai successo di desiderare che vostro fratello (o sorella, non vogliamo scontentare nessuno) più piccolo sparisse? Max l'ha fatto e, considerando quanto vi racconteremo a breve, gliene siamo profondamente grati.


Sviluppato dai ragazzi di Press Play, team indipendente recentemente acquisito da Microsoft, Max: the curse of brotherhood é il seguito “spirituale” di un gioco disponibile su smartphone: un platform 2D in cui é fondamentale disegnare delle strutture per poter progredire nei livelli e sbarazzarsi dei nemici.


Questa peculiare caratteristica la ritroviamo anche nel titolo Xbox One (e più avanti anche Xbox 360), ora arricchita dalla possibilità di utilizzare il pennarello non solo per disegnare degli oggetti, ma anche per sfruttarne i poteri magici con cui verrà potenziato nel corso dell'avventura.



La trama, perfettamente funzionale al tipo di esperienza, narra la storia di Mustacho: vecchio e pazzo stregone che ha rapito il giovanissimo Felix; perfetto, vista la sua giovanissima età, per il suo diabolico piano. A Max, pennarello alla mano, toccherà fermare Mustacho e fare ritorno a casa insieme al fratello.


Guadagnando “mezza dimensione” con il passaggio al grande schermo, il gioco offre una progressione da platform 2D, senza per questo rinunciare alla profondità - seppur solamente visiva- della terza dimensione. Una soluzione utilizzata con ottimi risultati da una serie di titoli di successo come Super Mario e Little Big Planet; titolo, quest'ultimo, a cui gli sviluppatori hanno dichiarato di essersi ispirati.


Tuttavia, a dispetto dell'impostazione generale e delle fonti di ispirazione (tra queste ricordiamo il bellissimo Heart of Darkness per PlayStation 1), non può essere considerato un platform “puro”, prendendo presto il sopravvento una riuscitissima componente puzzle fatta di enigmi ambientali ottimamente congegnati -anche se quasi mai proibitivi- da risolvere sfruttando i poteri del pennarello in nostro possesso.


Da una serie di punti prestabiliti sarà possibile disegnare rami, liane, torrenti d'acqua e lanciare palle di fuoco; alla combinazione di questi elementi, davvero ingegnosa nei livelli più avanzati, é legata l'essenza del gioco e la caratteristica che più lo distingue dagli altri esponenti del genere.
In più di un'occasione non nascondiamo di essere rimasti sorpresi dalla brillantezza di certi puzzle; capaci, una volta risolti (talvolta in più di un modo), di strapparci quel sincero sorriso di compiacimento che un tempo, soprattutto negli anni 90, dispensavamo sicuramente più spesso.




Sono tanti gli esempi che potremmo riportare ma, non volendovi rovinare parte dell'esperienza, lasciamo a voi il piacere della scoperta.


La fase del disegno tuttavia, nel passaggio da smartphone ad un sistema di controllo tradizionale, ha perso parte di quella naturalezza che é possibile ritrovare nel “prequel”; a guadagnarci invece sono le fasi platform e, più in generale, i movimenti del protagonista; adesso decisamente più reattivi, precisi e intuitivi.

Una sorta di compromesso che l'integrazione con smartglass avrebbe potuto agevolmente evitare, permettendo una gestione della parte “creativa” sicuramente meglio integrata. La risoluzione degli enigmi però -esaurendosi quasi sempre in pochi passaggi- mostra leggermente il fianco solo in alcune delle fasi più veloci (quelle di fuga in particolar modo); queste, spesso affrontate con un effetto slow-motion, non risultano tuttavia particolarmente penalizzate dall'utilizzo del pad. Una soluzione intelligente che mitiga il problema e aggiunge quel pizzico di spettacolarità che non guasta mai.




Alla grande varietà di enigmi si accompagna una ottima varietà di ambientazioni: dopo i soleggiati canyon dell'inizio, passerete attraverso paludi, foreste, buie caverne e altre che preferiamo non rivelarvi.

La realizzazione tecnica del gioco, affidata al motore Unity, riesce a dare un look molto piacevole al gioco, pur non restituendo (complice probabilmente la natura cross-platform) la sensazione di trovarsi di fronte ad un progetto next-gen. A dei colori bellissimi si accompagnano texture e shader quasi sempre molto definiti, una pulizia dell'immagine impeccabile e l'assenza totale (grazie ai 1080P nativi) di aliasing. Buona ma non perfetta la fluidità; i 60 fps, in particolar modo durante i filmati, mostrano qualche incertezza. Una menzione d'onore merita infine il sistema d'illuminazione, capace di mostrare un “gioco” di luci e ombre che non ci saremmo aspettati di una produzione “low-budget”, venduta al costo di soli 15 euro e unicamente in digitale.


Discreta e mai “invadente” la colonna sonora che, di tanto in tanto, interrompendo i suoni della natura e i rumori dell'ambiente in cui ci troviamo; é sempre pronta a sottolineare le fasi chiave della storia o i momenti più frenetici. Di buon livello il doppiaggio in inglese, anche se i dialoghi sono davvero molto limitati nel numero e nella durata.

Per completare il gioco, a patto di non incappare in qualche difficoltà legata alla soluzione degli enigmi, impiegherete circa 7 ore; tuttavia la rigiocabilità é mitigata dalla ricerca dei due tipi di collezionabili: i 75 occhi di Mustacho e i 18 pezzi di un amuleto magico.

Max: the curse of brotheerhood, come avrete avuto modo di capire se non siete partiti direttamente dalla fine (vergogna!), rappresenta forse la prima vera sorpresa di Xbox One. Un titolo fresco ma, allo stesso tempo, dal sapore e dal look retrò; capace di colmare un vuoto nella line-up della neonata console Microsoft, arricchendola ulteriormente. Se avete una Xbox One e non odiate il genere, non riusciamo a trovare alcun motivo per sconsigliarvi il download del titolo sviluppato da Press Play. Lo stesso consiglio é esteso ai possessori di Xbox 360, quando il gioco sarà disponibile nei primi mesi del 2014.