Mercenari: Pagati per Distruggere
di
Giuseppe Schirru
Giusto il tempo per riflettere sul gigantismo delle ultime produzioni ludiche, in termini di budget, esose risorse hardware ed elargizione di divertimento, che Pandemic segue l'apripista Rockstar e imbocca la statale GTA passando per il casello più affollato del panorama videoludico. La formula vincente del million seller applicata allo sparatutto in terza persona, con cui Pandemic, dopo l'ottimo Full Spectrum Warrior e il discreto Star Wars Battlefront, torna a far parlare di sé. Lo fa ancora una volta con un titolo battagliero, dimostrando di aver appreso con diligenza i dettami dell'arte della guerra e di averli saputi sfruttare in un prodotto multisfaccettato. Certo è che, se da provinciale del panorama videoludico GTA ne ha fatto di strada, Mercenari esce con l'incombente necessità di dimostrarsi subito maturo. E il frutto, a voler ben vedere, non cade distante dall'albero.
Non di rado l'intuizione dell'anno si trasforma nella farsa del decennio. Fortuna che Pandemic non è Luxoflux (True Crime, 2003), né la Illusion Softworks delle conversioni dozzinali, il Team Soho (The Getaway, 2002), né tantomeno l'Atari dell'imbarazzante Driv3r. Le premesse statistiche sono una sfida alla scaramanzia, ma a conti fatti, l'innesto di questa formula in un concept da sparatutto 3D, è vitamina pura. Anzi, creatina. Un'arma impropria che crivella con pallottole di divertimento un videogiocatore privo di giubbotto antiproiettile. Ma dietro all'arguzia dell'idea, sia chiaro, si celano i virtuosismi di programmatori d'indubbio spessore. Pandemic è Pandemic, una delle nuove realtà di questa generazione, realtà con cui ben presto altre software house si scontreranno.
Il titolo che rilancia Lucasarts a grandi livelli non è un ciclo continuo di metamorfosi ludiche, perchè laddove San Andreas profuma di tutto, di racing game, di rpg (con alcune venature alla Fable), di beat'em up o di action, Mercenari al confronto è inodore e il suo decoder abilitato prevalentemente sull'aspetto bellico. Il repertorio ludico è meno vasto, ma più concentrato. Non c'è spazio per la smania collezionistica di vestiario, né le città pullulano di prostitute da abbordare: in Mercenari si spara, si combatte, si radono al suolo palazzi e ci si allea con determinate fazioni. Poco importa stare dall'una o l'altra parte della barricata, interessano i soldi (per incrementare il nostro armamentario o il parco veicoli). Mercenari non sacrifica nemmeno un pizzico del suo io sparatutto in nome della deambulazione perpetua. Mercenari non volta le spalle in nessun istante alla sua natura, proponendo sempre il nostro alter ego con un arma in mano, lo stick sinistro adibito alla locomozione e quello destro allo spostamento del mirino o telecamera. In GTA le sezioni sparattutto si immolano sull'altare della quantità a scapito della qualità, ma Pandemic gioca buona parte delle sue carte sull'aspetto meramente bellico.
Lo scenario di gioco dalle dimensioni immani, poco ha da invidiare a San Fierro, Las Venturas e Los Santos. E se intermini di estensione il paragone è ancora fattibile, più distaccato è il confronto tra i due repertori ludici, col prodotto Pandemic che concentra i propri sforzi su sparatorie e quello Rockstar decisamente più sfaccettato. Di missione in missione, verremo assoldati per uccidere vari personaggi, distruggere palazzi o far fuori nemici appostati fuori dalla base alleata. I mezzi di fortuna si sprecano, e la possibilità è quella di salire a bordo di veicoli civili quali automobili, bus o camion, o militari quali numerose varianti di jeep, mezzi cingolati o elicotteri, per un numero complessivo davvero lodevole. La deambulazione infinita non è uno specchietto per le allodole atto a mascherare la pochezza di idee alla base del progetto, è la concreta possibilità di mettere in scena subquest di svariata natura e concedere libertà al giocatore. L'assenza di un plot narrativo, e giusto l'inserimento di uno scenario su cui varie fazioni si battagliano, alimentano le innumerevoli possibilità di svago lasciate al giocatore. L'assenza di un qualsivoglia plot narrativo si riflette in game evitando restrizioni al giocatore, non più veicolato di missione in missione ma emancipato da poter scegliere la fazione con cui schierarsi, la subquest da portare a termine o la divagazione all'interno dell'immenso scenario. Parafrasando le parole di Aristotele vien da dire: la libertà ludica non serve a nulla; ma sappiate che proprio perchè priva del legame di servitù é la feature più nobile.
Flussi positivi sono dati dalle sezioni prettamente belliche (dove la distruzione impera sovrana) e da alcune missioni davvero riuscite, quelli negativi arrivano da una storyboard minimalista e una ripetitività che a lungo andare comincia a farsi sentire. La dimensione dei flussi positivi è innegabilmente maggiore rispetto a quella dei negativi, ma purtroppo, solo quando maggiore importanza verrà affidata ad aspetti concernenti trama e altre piccole inezie rintracciabili qua e là (vedi IA poco curata), potremo parlare di capolavoro. Ma sia ben chiaro: il divertimento non è a dieci chilometri dalla città, e una volta preso in mano il titolo Pandemic, è davvero difficile staccarsi. Non è tutto. Quel che su Ps2 è un engine grafico claudicante, che fa fare straordinari alla PS2 e lungo turnover ai caricamenti, è qua motore grafico stabile in grado anch'esso di gestire porzioni di mappa immani, con caricamenti relegati ai soli dopo missione e un aggiornamento video che copre distanze ben maggiori. Specie a bordo di mezzi aerei l'abuso dell'effetto fogging è evidente, ma non si può additare l'xbox per l'incapacità di vantare un orizzonte visivo alla Far Cry. Laddove San Andreas è fedele ricostruzione cittadina, Mercenari è possibilità di interazione e semidistruttibilità dell'ambiente circostante, con palazzi, monumenti e ringhiere che vengono giù a colpi di cannonate o tramite detonazione di C4. Il culmine della ricreazione si esplica attraverso la fantasia del giocatore, a cui il gioco concede libertà amene al capolavoro Rockstar. Da avere.
Non di rado l'intuizione dell'anno si trasforma nella farsa del decennio. Fortuna che Pandemic non è Luxoflux (True Crime, 2003), né la Illusion Softworks delle conversioni dozzinali, il Team Soho (The Getaway, 2002), né tantomeno l'Atari dell'imbarazzante Driv3r. Le premesse statistiche sono una sfida alla scaramanzia, ma a conti fatti, l'innesto di questa formula in un concept da sparatutto 3D, è vitamina pura. Anzi, creatina. Un'arma impropria che crivella con pallottole di divertimento un videogiocatore privo di giubbotto antiproiettile. Ma dietro all'arguzia dell'idea, sia chiaro, si celano i virtuosismi di programmatori d'indubbio spessore. Pandemic è Pandemic, una delle nuove realtà di questa generazione, realtà con cui ben presto altre software house si scontreranno.
Il titolo che rilancia Lucasarts a grandi livelli non è un ciclo continuo di metamorfosi ludiche, perchè laddove San Andreas profuma di tutto, di racing game, di rpg (con alcune venature alla Fable), di beat'em up o di action, Mercenari al confronto è inodore e il suo decoder abilitato prevalentemente sull'aspetto bellico. Il repertorio ludico è meno vasto, ma più concentrato. Non c'è spazio per la smania collezionistica di vestiario, né le città pullulano di prostitute da abbordare: in Mercenari si spara, si combatte, si radono al suolo palazzi e ci si allea con determinate fazioni. Poco importa stare dall'una o l'altra parte della barricata, interessano i soldi (per incrementare il nostro armamentario o il parco veicoli). Mercenari non sacrifica nemmeno un pizzico del suo io sparatutto in nome della deambulazione perpetua. Mercenari non volta le spalle in nessun istante alla sua natura, proponendo sempre il nostro alter ego con un arma in mano, lo stick sinistro adibito alla locomozione e quello destro allo spostamento del mirino o telecamera. In GTA le sezioni sparattutto si immolano sull'altare della quantità a scapito della qualità, ma Pandemic gioca buona parte delle sue carte sull'aspetto meramente bellico.
Lo scenario di gioco dalle dimensioni immani, poco ha da invidiare a San Fierro, Las Venturas e Los Santos. E se intermini di estensione il paragone è ancora fattibile, più distaccato è il confronto tra i due repertori ludici, col prodotto Pandemic che concentra i propri sforzi su sparatorie e quello Rockstar decisamente più sfaccettato. Di missione in missione, verremo assoldati per uccidere vari personaggi, distruggere palazzi o far fuori nemici appostati fuori dalla base alleata. I mezzi di fortuna si sprecano, e la possibilità è quella di salire a bordo di veicoli civili quali automobili, bus o camion, o militari quali numerose varianti di jeep, mezzi cingolati o elicotteri, per un numero complessivo davvero lodevole. La deambulazione infinita non è uno specchietto per le allodole atto a mascherare la pochezza di idee alla base del progetto, è la concreta possibilità di mettere in scena subquest di svariata natura e concedere libertà al giocatore. L'assenza di un plot narrativo, e giusto l'inserimento di uno scenario su cui varie fazioni si battagliano, alimentano le innumerevoli possibilità di svago lasciate al giocatore. L'assenza di un qualsivoglia plot narrativo si riflette in game evitando restrizioni al giocatore, non più veicolato di missione in missione ma emancipato da poter scegliere la fazione con cui schierarsi, la subquest da portare a termine o la divagazione all'interno dell'immenso scenario. Parafrasando le parole di Aristotele vien da dire: la libertà ludica non serve a nulla; ma sappiate che proprio perchè priva del legame di servitù é la feature più nobile.
Flussi positivi sono dati dalle sezioni prettamente belliche (dove la distruzione impera sovrana) e da alcune missioni davvero riuscite, quelli negativi arrivano da una storyboard minimalista e una ripetitività che a lungo andare comincia a farsi sentire. La dimensione dei flussi positivi è innegabilmente maggiore rispetto a quella dei negativi, ma purtroppo, solo quando maggiore importanza verrà affidata ad aspetti concernenti trama e altre piccole inezie rintracciabili qua e là (vedi IA poco curata), potremo parlare di capolavoro. Ma sia ben chiaro: il divertimento non è a dieci chilometri dalla città, e una volta preso in mano il titolo Pandemic, è davvero difficile staccarsi. Non è tutto. Quel che su Ps2 è un engine grafico claudicante, che fa fare straordinari alla PS2 e lungo turnover ai caricamenti, è qua motore grafico stabile in grado anch'esso di gestire porzioni di mappa immani, con caricamenti relegati ai soli dopo missione e un aggiornamento video che copre distanze ben maggiori. Specie a bordo di mezzi aerei l'abuso dell'effetto fogging è evidente, ma non si può additare l'xbox per l'incapacità di vantare un orizzonte visivo alla Far Cry. Laddove San Andreas è fedele ricostruzione cittadina, Mercenari è possibilità di interazione e semidistruttibilità dell'ambiente circostante, con palazzi, monumenti e ringhiere che vengono giù a colpi di cannonate o tramite detonazione di C4. Il culmine della ricreazione si esplica attraverso la fantasia del giocatore, a cui il gioco concede libertà amene al capolavoro Rockstar. Da avere.
Mercenari: Pagati per Distruggere
8.5
Voto
Redazione
Mercenari: Pagati per Distruggere
Il punto di forza del prodotto Pandemic è l'intelaiatura di base del gameplay, saggiamente presa in prestito dal million seller di casa Rockstar e ancora più saggiamente aggiornata secondo i dettami degli sparatutto 3D. Nessuna caduta di ritmo, divertimento alle stelle e uno scenario immane dove la locomozione del giocatore è ancora una volta deputata ai mezzi di fortuna, civili, militari, terrestri o aerei che siano. La bellezza colpisce l'occhio, ma il merito conquista il cuore. Da avere.