Metal Gear Solid 3: Snake Eater
di
Antonio Norfo
Una volta raggiunti i titoli di coda con Snake Eater è innegabile pensare a quanto avvenne nella medesima circostanza in Sons of Liberty. I due epiloghi prendono decisamente l'uno le distanze dall'altro in termini di messaggio ed esperienze, per poi ricongiungersi al filo narrativo intessuto da Kojima (creativo genericamente tanto osannato da alcuni quanto poco apprezzato da altri).
Già, perché mentre le sontuose note di Harry Gregson-Williams scorrono sulle corde rievocando il tema principale, quell'intricata questione dei "Patriots" (e/o "Philosophers") torna a galla nella sua effettiva chiave di lettura. Il monologo conclusivo è qui chiaro, esente da voli pindarici; esso illumina quanto espresso dal passato della serie. Adesso o allora non ha importanza; quando vestiremo i panni di "Naked Snake" sarà il 1964 ed il fantomatico progetto "Les Enfants Terribles" non sarà causa, ma effetto delle vicissitudini cui andremo incontro. La guerra fredda impazza e la crisi missilistica di Cuba è riassunta in spezzoni di filmato, al pari del ricordo dei due blocchi: simbolo e minaccia della scissione cui gran parte del mondo, sconfitto o vittorioso che fosse dopo il secondo conflitto mondiale, contribuì alla formazione. Nei legami con Snake, nei vincoli con la patria: la figura di The Boss emerge maestosa dal Big Bang del Novecento, "il secolo buio", sfondo da cui il nuovo esponente dello "Tactical Espionage Action" attinge preziosa linfa vitale.
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Si è accennato al metodo narrativo, ed il cambiamento è invero tangibile. Non si può parlare di rivoluzione, in quanto se così fosse stato la natura del titolo non gioverebbe più d'una sua forza motrice: laddove, checché se ne dica, nel bene e nel male Metal Gear Solid rimane il videogioco scenico per eccellenza. E però, a suo appannaggio troviamo una meglio diluita presenza di sessioni non interattive, la cui durata (non certo esigua) è comunque superata in termini anche solo prettamente quantitativi dalla pratica videoludica dell'infiltrazione spionistica. Singolare che il game designer cui si deve genesi ed evoluzione della saga in questione, spesso accusato o agli antipodi encomiato per velleità cinematografiche, abbia qui concesso una seconda voce, ossia quella del giocatore che, mediante la pressione del tasto R1, può spesso accedere alla scena attraverso la prospettiva di Snake/sé (talvolta la possibilità di effettuare una simile intromissione è indicata visivamente dall'icona del tasto, talaltra non lo è). Trascendendo da questi aspetti (sì più permissivi e meno invasivi del passato) sono altre le componenti che enucleano l'essenza del determinismo di Snake. Il provetto Rambo si avvale del novero di arti e mezzi marziali aggiornati al periodo di riferimento, i quali spaziano da sensori e visori vari, armi da taglio e da fuoco. Quest'ultime risulteranno tanto più usate quanto più saranno silenziose. Non è un caso pertanto che i silenziatori si consumino con il continuo usufruirne e non è strano che, almeno nel rispetto del genere, il primo pensiero non sia sopraffare il nemico, ma trovare un utile nascondiglio. Ecco perché la scelta morale, già presente nel capitolo precedente, è qui riproposta ed ampliata (con una scena in un tal fiume degna d'un accenno), giacché spaventare, stordire o addormentare un oppositore può evitare ai più magnanimi di togliere una vita virtuale.
L'ambientazione è invero l'arma in più, non solo per l'evidente fasto visivo che scaturisce (insieme ad anatomie e gesticolazioni il marchio dell'esemplare ricerca estetica compiuta da Konami) o per i rumori cui dà vita (peculiarità che si fondono con dei pentagrammi eccezionali e con una recitazione anglosassone di assoluto prim'ordine). Foreste e montagne (ma anche luoghi "civili", ossia basi scientifiche e militari) concedono infatti al giocatore di dare sfoggio al mimetizzarsi, con pitture facciali e tute da scovare o da rinvenire dallo zaino (da cui, peraltro, occorrerà prelevare di volta in volta sedici oggetti complessivamente). Spesso essere un tutt'uno con la natura (prezioso insegnamento di un altro ben tratteggiato personaggio del titolo) è il diktat della vittoria e averne certezza tramite la percentuale posta in alto sullo schermo aiuta (e non poco) al retto progredire dell'avventura. Si immagini un passo falso cui segue una corsa e magari, non visti dal nemico, un silenzioso celarsi sulla sommità d'un albero; quando poi ogni sistema d'allerta sarà cessato, si tornerà alla missione ed allo sgattaiolare, amalgamando corpo e volto nell'erba più fitta. A tal proposito si fa conoscenza dei problemi strutturali legati a tali mansioni. Il primo è legato alla gestione macchinosa delle inquadrature, che alternandosi fra prima e terza persona danno spesso un effetto più caotico che positivo (non tanto nel far fuoco ma quando, da accovacciati, sarebbe salvifico un rapido spostamento).
L'altra magagna dipende dall'accedere ai menu del vestiario, passaggio che detta il mettere pausa e che arreca, in definitiva, un ritmo sfaccettato e poco uniforme. Stesso discorso vale per l'altra aggiunta rilevante: cioè tener conto della propria salute, sia in termini di lacerazioni, indigestioni o fratture (da bendare, lenire e disinfettare), sia in termine più schietti di fame, cerca di viveri e relativa sazietà.
Si badi però che cacciare animali o raccogliere frutti richiede un loro consumo più o meno rapido, giacché il tempo scorre insieme all'orologio interno della console.
Esaurimento della stamina e moto delle lancette decretano infine le varie alternative dell'affrontare e sconfiggere i boss, di per sé bastevoli per almeno una seconda esperienza (il fattore rigiocabilità, dunque, ne giova esponenzialmente). Si può essere codardi o coraggiosi, pazienti od irruenti: comunque ci si comporti, nell'uno contro uno sono molte le particolarità che spingono a saziare la propria curiosità. Certo, i più pretenziosi avanzeranno dubbi su alcuni eccessi di inverosimiglianza (discutibili soprattutto nel caso in cui questi siano sconnessi ad esigenze narrative), ma è una fenomenologia cui non solo si è giocoforza abituati, ma il cui giudizio spetta ad ogni singolo gusto personale. Il risultato finale dà forza a varie teorie, quella della linearità della storia e della forza dei personaggi (non che tutti siano parificabili in grandezza) e quella del desiderio esaudito di un'esperienza che sia diretta e non passivamente subita. Nell'uno e nell'altro aspetto i passi compiuti sono stati decisivi ed apprezzabili, pur con potenziali limature da rimandare sì alla prossima occasione, ma ottenebrate dalla magnificenza complessiva e dalla voglia di passeggiare per l'ultima volta, ancora una volta, in quella rigogliosa giungla.
Già, perché mentre le sontuose note di Harry Gregson-Williams scorrono sulle corde rievocando il tema principale, quell'intricata questione dei "Patriots" (e/o "Philosophers") torna a galla nella sua effettiva chiave di lettura. Il monologo conclusivo è qui chiaro, esente da voli pindarici; esso illumina quanto espresso dal passato della serie. Adesso o allora non ha importanza; quando vestiremo i panni di "Naked Snake" sarà il 1964 ed il fantomatico progetto "Les Enfants Terribles" non sarà causa, ma effetto delle vicissitudini cui andremo incontro. La guerra fredda impazza e la crisi missilistica di Cuba è riassunta in spezzoni di filmato, al pari del ricordo dei due blocchi: simbolo e minaccia della scissione cui gran parte del mondo, sconfitto o vittorioso che fosse dopo il secondo conflitto mondiale, contribuì alla formazione. Nei legami con Snake, nei vincoli con la patria: la figura di The Boss emerge maestosa dal Big Bang del Novecento, "il secolo buio", sfondo da cui il nuovo esponente dello "Tactical Espionage Action" attinge preziosa linfa vitale.
Si è accennato al metodo narrativo, ed il cambiamento è invero tangibile. Non si può parlare di rivoluzione, in quanto se così fosse stato la natura del titolo non gioverebbe più d'una sua forza motrice: laddove, checché se ne dica, nel bene e nel male Metal Gear Solid rimane il videogioco scenico per eccellenza. E però, a suo appannaggio troviamo una meglio diluita presenza di sessioni non interattive, la cui durata (non certo esigua) è comunque superata in termini anche solo prettamente quantitativi dalla pratica videoludica dell'infiltrazione spionistica. Singolare che il game designer cui si deve genesi ed evoluzione della saga in questione, spesso accusato o agli antipodi encomiato per velleità cinematografiche, abbia qui concesso una seconda voce, ossia quella del giocatore che, mediante la pressione del tasto R1, può spesso accedere alla scena attraverso la prospettiva di Snake/sé (talvolta la possibilità di effettuare una simile intromissione è indicata visivamente dall'icona del tasto, talaltra non lo è). Trascendendo da questi aspetti (sì più permissivi e meno invasivi del passato) sono altre le componenti che enucleano l'essenza del determinismo di Snake. Il provetto Rambo si avvale del novero di arti e mezzi marziali aggiornati al periodo di riferimento, i quali spaziano da sensori e visori vari, armi da taglio e da fuoco. Quest'ultime risulteranno tanto più usate quanto più saranno silenziose. Non è un caso pertanto che i silenziatori si consumino con il continuo usufruirne e non è strano che, almeno nel rispetto del genere, il primo pensiero non sia sopraffare il nemico, ma trovare un utile nascondiglio. Ecco perché la scelta morale, già presente nel capitolo precedente, è qui riproposta ed ampliata (con una scena in un tal fiume degna d'un accenno), giacché spaventare, stordire o addormentare un oppositore può evitare ai più magnanimi di togliere una vita virtuale.
L'ambientazione è invero l'arma in più, non solo per l'evidente fasto visivo che scaturisce (insieme ad anatomie e gesticolazioni il marchio dell'esemplare ricerca estetica compiuta da Konami) o per i rumori cui dà vita (peculiarità che si fondono con dei pentagrammi eccezionali e con una recitazione anglosassone di assoluto prim'ordine). Foreste e montagne (ma anche luoghi "civili", ossia basi scientifiche e militari) concedono infatti al giocatore di dare sfoggio al mimetizzarsi, con pitture facciali e tute da scovare o da rinvenire dallo zaino (da cui, peraltro, occorrerà prelevare di volta in volta sedici oggetti complessivamente). Spesso essere un tutt'uno con la natura (prezioso insegnamento di un altro ben tratteggiato personaggio del titolo) è il diktat della vittoria e averne certezza tramite la percentuale posta in alto sullo schermo aiuta (e non poco) al retto progredire dell'avventura. Si immagini un passo falso cui segue una corsa e magari, non visti dal nemico, un silenzioso celarsi sulla sommità d'un albero; quando poi ogni sistema d'allerta sarà cessato, si tornerà alla missione ed allo sgattaiolare, amalgamando corpo e volto nell'erba più fitta. A tal proposito si fa conoscenza dei problemi strutturali legati a tali mansioni. Il primo è legato alla gestione macchinosa delle inquadrature, che alternandosi fra prima e terza persona danno spesso un effetto più caotico che positivo (non tanto nel far fuoco ma quando, da accovacciati, sarebbe salvifico un rapido spostamento).
L'altra magagna dipende dall'accedere ai menu del vestiario, passaggio che detta il mettere pausa e che arreca, in definitiva, un ritmo sfaccettato e poco uniforme. Stesso discorso vale per l'altra aggiunta rilevante: cioè tener conto della propria salute, sia in termini di lacerazioni, indigestioni o fratture (da bendare, lenire e disinfettare), sia in termine più schietti di fame, cerca di viveri e relativa sazietà.
Si badi però che cacciare animali o raccogliere frutti richiede un loro consumo più o meno rapido, giacché il tempo scorre insieme all'orologio interno della console.
Esaurimento della stamina e moto delle lancette decretano infine le varie alternative dell'affrontare e sconfiggere i boss, di per sé bastevoli per almeno una seconda esperienza (il fattore rigiocabilità, dunque, ne giova esponenzialmente). Si può essere codardi o coraggiosi, pazienti od irruenti: comunque ci si comporti, nell'uno contro uno sono molte le particolarità che spingono a saziare la propria curiosità. Certo, i più pretenziosi avanzeranno dubbi su alcuni eccessi di inverosimiglianza (discutibili soprattutto nel caso in cui questi siano sconnessi ad esigenze narrative), ma è una fenomenologia cui non solo si è giocoforza abituati, ma il cui giudizio spetta ad ogni singolo gusto personale. Il risultato finale dà forza a varie teorie, quella della linearità della storia e della forza dei personaggi (non che tutti siano parificabili in grandezza) e quella del desiderio esaudito di un'esperienza che sia diretta e non passivamente subita. Nell'uno e nell'altro aspetto i passi compiuti sono stati decisivi ed apprezzabili, pur con potenziali limature da rimandare sì alla prossima occasione, ma ottenebrate dalla magnificenza complessiva e dalla voglia di passeggiare per l'ultima volta, ancora una volta, in quella rigogliosa giungla.
Metal Gear Solid 3: Snake Eater
9
Voto
Redazione
Metal Gear Solid 3: Snake Eater
Nei legami con Snake, nei vincoli con la patria: la figura di The Boss emerge maestosa dal Big Bang del Novecento, "il secolo buio", sfondo da cui il nuovo esponente dello "Tactical Espionage Action" attinge preziosa linfa vitale.
Onnipresenti e nebulose domande poste in passato trovano finalmente una risposta chiara ed esente da voli pindarici, con dei personaggi sì non tutti parificabili nelle qualità, ma in due, tre casi rappresentanti il meglio di quanto Kojima abbia fin qui tratteggiato. Lenire le proprie ferite o la propria fame (al pari del camuffarsi) dà perlatro una discreta varietà ed una notevole spinta concettuale al genere interpretato (non fosse per il dover mettere troppo spesso in pausa, mansione negativa ai fini dell'uniformità del ritmo). Ad emergere sono anzitutto le varie alternative concesse dal passare del tempo reale (complementare pertanto alle lancette interne della console), poi, in maniera esponenzialmente superiore, la voglia di scoprire, esplorare ed essere in definitiva perfetti nella pratica spionistico-eroica. Meticolose scelte visive ed una colonna sonora meritevole d'ogni lode fanno il resto, così come in fin dei conti fa parlare di sé l'altalenante sistema d'inquadrature. Ciò che importa, tuttavia, è la globalità del titolo, garante di un'esperienza che sconsigliare sarebbe quantomeno follia.
Onnipresenti e nebulose domande poste in passato trovano finalmente una risposta chiara ed esente da voli pindarici, con dei personaggi sì non tutti parificabili nelle qualità, ma in due, tre casi rappresentanti il meglio di quanto Kojima abbia fin qui tratteggiato. Lenire le proprie ferite o la propria fame (al pari del camuffarsi) dà perlatro una discreta varietà ed una notevole spinta concettuale al genere interpretato (non fosse per il dover mettere troppo spesso in pausa, mansione negativa ai fini dell'uniformità del ritmo). Ad emergere sono anzitutto le varie alternative concesse dal passare del tempo reale (complementare pertanto alle lancette interne della console), poi, in maniera esponenzialmente superiore, la voglia di scoprire, esplorare ed essere in definitiva perfetti nella pratica spionistico-eroica. Meticolose scelte visive ed una colonna sonora meritevole d'ogni lode fanno il resto, così come in fin dei conti fa parlare di sé l'altalenante sistema d'inquadrature. Ciò che importa, tuttavia, è la globalità del titolo, garante di un'esperienza che sconsigliare sarebbe quantomeno follia.