Metal Gear Survive
Ci eravamo lasciati con la serie Metal Gear Solid dopo l’uscita del quinto capitolo (quello che porta il nome The Phantom Pain, per intenderci), dopo di che si affacciarono ombre scure a seguito dell’annuncio del divorzio di Hideo Kojima (lo storico e geniale ideatore della serie), con la Casa madre Konami. Da allora gli appassionati hanno cominciato a provare apprensione sul futuro del marchio Metal Gear, senza contare le voci di corridoio che preannunciavano una inaspettata svolta nel gameplay di quello che si rivelerà uno spin-off della serie, alimentando ulteriormente un clima di inquietudine e distacco da parte degli appassionati.
Il 22 febbraio è scoccata finalmente l’ora x, giorno di pubblicazione del primo episodio sfoggiante il nome Metal Gear orfano del suo ideatore, che per l’occasione è stato battezzato Metal Gear Survive. Siccome una opportunità non si dovrebbe negare a nessuno, riteniamo fortemente che il metodo giusto per approcciarsi a questo Metal Gear Survive sia quello di dimenticare le vicissitudini della Softwarehouse con il creatore della serie, tralasciando per il momento il grosso fardello che il brand Metal Gear si porta dietro.
Singolarità
La sensazione che traspare dalle prime ore di gioco è quella che Konami dimostri una certa timidezza nel proporsi con questo Metal Gear Survive, il quale si dichiara apertamente distante da quanto proposto negli ultimi 20 anni dalla serie da cui eredita il nome, anche includendo dei clichè (come gli zombie) utili per attirare l’attenzione con poco sforzo.
La narrativa comincia subito dopo all’attacco alla Mother Base che abbiamo visto alla fine di Ground Zeros, dove una singolarità temporale apre una breccia verso una timeline parallela che prende il nome di Dite (in analogia all’inferno dantesco) distaccandosi nettamente da quanto raccontato dalle passate produzioni di Kojima. È in questo scenario che si colloca il vostro personaggio, che potrete creare con tutta una serie di dettagli per personalizzarne l’aspetto e anche la voce, il quale si rivela essere uno dei sopravvissuti alla singolarità.
Comincerete a districarvi tra le rovine della Base, tentando di sfuggire ai Vaganti, una forma di zombie generati da un misterioso morbo che infetta gli esseri umani rendendoli (onestamente) non troppo intelligenti ma particolarmente sensibili ai rumori. Quindi i primi tutorial vi insegneranno a sgattaiolare e colpire alle spalle questi strani mutanti, anche se non dovrete illudervi, in quanto l’impronta stealth si rivelerà ben lontana dall’essere la protagonista del gameplay, in quanto le uccisioni furtive sono sì presenti, ma piuttosto rare.
Gestionale
Giunti al campo base, infatti, la vera natura del gameplay si svela suggerendovi di andare in un tal punto dell’area per raccogliere risorse utili a costruire armi, andare a caccia, recuperare cibo e anche acqua utili al fine di tenere sotto controllo le due nuove barre dedicate a mostrare lo stato di sete e fame del giocatore, indicatori particolarmente veloci nell’evoluzione da imporvi una continua attività nella ricerca di ulteriori risorse. Se invece decideste di trascurarle vi accorgerete come la visuale diventerà man mano offuscata (come recita la famosa pubblicità delle merendine), muoversi diventerà più difficoltoso, così come districarsi nelle missioni si rivelerà sempre più complesso.
Oltre ad occuparvi della fame del vostro personaggio, potrete anche recuperare risorse utili per costruire difese e strutture per ampliare la capacità del vostro campo base ma non solo: soccorrendo altri sopravvissuti potrete assegnare loro degli incarichi quali il recupero di altre risorse, la cura delle coltivazioni e della depurazione dell’acqua e così via. Ciascuno di loro rappresenterà una ulteriore bocca da sfamare che ridurrà leggermente le risorse prodotte, ma moltiplicherà di fatto le braccia impiegate nel portare avanti le attività quotidiane grazie a un meccanismo capace di funzionare senza il vostro intervento diretto, consentendovi quindi di dedicarvi alle missioni utili per far evolvere la trama.
Nuovi progetti
Le missioni si rivelano principalmente nel recupero di dati in schede di memoria che spiegheranno l’evoluzione della storia, senza dimenticare l’energia Kuban, che potrete recuperare dai cadaveri dei Vaganti (ma non solo). L’energia può essere utilizzata per migliorare statistiche del personaggio, senza dimenticare le nuove abilità che vengono sbloccate, così come scoverete i progetti per strumenti medicali, senza dimenticare armi più efficaci come le pistole e le bombe incendiarie per aumentare la vostra potenza di fuoco.
L’intera struttura funziona alla grande, invogliando il giocatore a continuare in tutte le attività volte ad ampliare il campo base, e se a tutto ciò aggiungiamo una narrativa capace di inscenare cambi di rotta, colpi di scena ed ampliamenti delle aree di gioco (particolarmente impegnative in quanto prevedono di muoversi con bombole di ossigeno in zone particolarmente impervie, con scarsa visibilità) proprio quando la monotonia sta per prendere piede, si capisce come la campagna in single player sia ben congeniata, capace di catturare l’attenzione del giocatore. Peccato per la necessità di rimanere connessi ala rete anche per la campagna single player.
Co-op monotono
Finita la campagna, che vi terrà impegnati per una trentina di ore, avrete a disposizione la modalità multiplayer in co-op, nella quale voi e tre vostri amici dovrete costruire un team il più variegato possibile per utilizzare le risorse a disposizione per piazzare le torrette automatiche e le mine a difesa della base, le postazioni di fuoco fisse che dovrete sfruttare per sopravvivere a tre ondate sempre più agguerrite di nemici.
Mentre gli altri saranno impegnati a contrastare l’avanzata dei morti viventi, uno dei giocatori potrà anche allontanarsi dal campo per portare a termine missioni secondarie che porteranno ad ottenere munizioni e risorse addizionali. Ciononostante il livello di difficoltà non si rivelerà mai banale, anche se va detto tuttavia che la monotonia si affaccerà ben presto relegando la modalità multiplayer un semplice comprimario utile per recuperare ulteriore energia ed eventuali elementi di equipaggiamento unici o leggendari.
Tecnicamente il gioco si rivela un riuso di quanto mostrato da The Phanotm Pain, con ben poche evoluzioni tecniche. Il frame rate è assestato sui 60 fps, garantendo una buona fluidità che non si vede praticamente mai in difficoltà.
Voto
Redazione