Mortal Kombat: Armageddon
In generale, movimento, parata e sfoderamento dell'arma bianca si amministrano tramite l'analogico ed i grilletti del nunchuck, i colpi basici si effettuano tramite le quattro direzioni della croce digitale e la presa con il tasto A. Le istruzioni relative alle special move si impartiscono brandendo il remote, tramite rotazioni di 180° nei due sensi e scuotimenti basso-alto o sinistra-destra. Tale configurazione non fa che introdurre un fattore aggiuntivo di pura e semplice scomodità; posizionare il pollice sul piccolo tastierino direzionale e discernere con precisione i diversi imput diventa poco naturale; l'esecuzione di una banalissima fireball si tramuta in un gesto davvero troppo complicato, oltre che impegnativo in termini di posizionamento davanti al televisore, distraendo in maniera drammatica dall'aspetto difensivo e dalle ordinarie soluzioni offensive. Tanto più che i comandi mimici non vengono sempre percepiti in maniera corretta; che si tratti di scarsa precisione o al contrario di una eccessiva pignoleria nei confronti del giocatore, il risultato pratico è che le mosse "entrano" con frequenza irregolare, comportando una costante sensazione di scarsa fiducia nei propri mezzi in combattimento.
Fortunatamente, sono utilizzabili in alternativa il Classic Controller ed il pad Gamecube, dispositivi che pur annullando ogni summenzionato problema riconducono l'esperienza alla sua vera essenza, quella di titolo PS2 che sa di già visto ed è ben lontano dall'essere indimenticabile. Nei suoi caratteri ordinari, Armageddon rinuncia ad una qualsiasi evoluzione del sistema di lotta della serie, preferendo puntare su elementi di contorno ben poco sostanziali piuttosto che liberare gli scontri dalla schematicità e muoversi alla ricerca di un gameplay più profondo ed istintivo. Oltre ad accentuare la scelta d'appartenenza al filone trash - in discontinuità con i capitoli bidimensionali, stilisticamente affascinanti senza mettere da parte abbondanti dosi d'ironia - l'ultima creazione di Ed Boon pone l'enfasi definitiva sulla strategia della mera quantità. L'affollatissima schermata di selezione, navigabile tramite wiimote, include ogni combattente che abbia mai preso parte al torneo e aggiunge nella versione Wii l'ulteriore personaggio esclusivo Chamaleon (da MK Trilogy), ma il prezzo da pagare per una simile completezza storica è una minor cura riposta nelle singole caratterizzazioni.
Una diretta ripercussione all'abbondanza numerica è la riduzione degli stili di lotta da tre a due, con relativo riciclo e redistribuzione poco ponderata per non dire a casaccio di quelli in avanzo tra le new entry; considerando che a mani nude non si arrivano a mettere macchinosamente insieme più di un paio di colpi consecutivi e che il ritorno delle combo aeree costituisce una variante superficiale, il solito show sanguinolento non basta a nascondere una desolante pochezza di fondo.
Sono le sfide contro opponenti umani a salvare il salvabile, in considerazione di un singleplayer compromesso perfino nello schizofrenico boss finale e nell'impoverito versante di fatality mai così anonime e spersonalizzate. A tentare d'allungare l'interesse per il gioco in solitaria interviene il Konquest che, abbandonate le sfumature avventurose ed esplorative dell'esordio nel precedente Deception, diventa una sorta di beat 'em up a scorrimento; la telecamera recalcitrante, l'approssimazione tecnica e la ripetitività del pestaggio determinano come unico deterrente ad un rapido abbandono il ritrovamento di forzieri speciali e di mai troppo generose quantità di koin, atti a sbloccare gli immancabili contenuti extra.
Questi ultimi albergano nella Kripta, un cimitero di loculi i cui epitaffi riportano esplicitamente quale merce nascondano, rendendo immediata l'individuazione delle scelte più interessanti ma compromettendo parte del mistero e del gusto della scoperta.
L'editor di personaggi, come già sperimentato, è piuttosto versatile e consente di replicare fattezze estetiche familiari o bizzarre; le creazioni personalizzate si amalgamano ai modelli principali senza sfigurare, ma i meriti delle prime tendono a confondersi con la rozzezza dei secondi; l'attribuzione di mosse e stili non porta mai oltre un mix poco interessante di caratteristiche clonate dai combattenti protagonisti.
Chiude le danze il famigerato Motor Kombat, semplicistica rivisitazione in salsa splatter del classico arcade alla Mario Kart, che beneficia di un wiimote chiamato alla sola gestione della sterzata compito così elementare da essere effettivamente ben gestito; svariate piste irte di trappole esilaranti vedranno sfrecciare le versioni super-deformed dei soliti noti, in gare divertenti per non più degli iniziali cinque minuti.