Muramasa: The Demon Blade

di Davide Tognon
Già ad un primo sguardo, Muramasa - The Demon Blade riesce a calamitare a sé l'attenzione. Con la sua bidimensionalità, sembra voler andare controcorrente rispetto alla maggior parte dei videogames odierni, che si sfidano a colpi di poligoni; ma non é questo che colpisce. La sua forza attrattiva risiede infatti nella meraviglia dei paesaggi, pervasi da una accentuata indole giapponese, dai quali l'osservatore viene come catturato, invitato a perdersi nella contemplazione.
Siamo agli inizi del Settecento.

Il paese del Sol Levante, governato da uno Shogun dispotico, ha il carattere di terra feudale rimasta saldamente ancorata alle proprie tradizioni. Ben lungi dall'urbanizzazione odierna, il panorama é dominato dalle campagne, dalle foreste intricate e dalle montagne inospitali. In tale contesto si svolgono le storie dei due protagonisti: Kisuke, un ninja rinnegato che ha smarrito la memoria, ma dovrà fare i conti col suo passato; Monohime, una esile principessa posseduta dallo spirito del guerriero Jinkuro. Entrambi intraprendono un viaggio attravero l'Impero (per la precisione, solo sull'isola di Honshu, la maggiore), ordinato in base alla storica suddivisione in province. Ciascuna provincia é a sua volta formata da tanti piccoli quadri (scenari), che si susseguono tracciando una o più strade da percorrere: si determina così una esplorazione lineare, ma non troppo.



La via verrà spesso sbarrata da gruppi di nemici, che rievocano le classi più note della società dell'epoca: samurai, ninja, monaci. Ad essi si affiancano orde di oni (demoni) dalle sembianze disparate, sommati ad altri mostri prelevati direttamente dal folklore nipponico. I combattimenti procedono secondo le meccaniche classiche degli action 2D, ossia attacchi a catena, parate e salti repentini da una piattaforma all'altra. Singolare come si faccia quasi tutto con un singolo tasto, sia per quanto riguarda la difesa che l'offesa. Questa peculiarità non concede molto spazio ai tecnicismi; eppure, é consentita una buona varietà di mosse. Si possono eseguire colpi alti e bassi, colpi caricati, combo, riprendere al volo un malcapitato scaraventato in aria (e impedirgli di toccare il suolo per un bel po'), respingere proiettili...

Inoltre, quando il contendente é poderoso, un approccio non ragionato come la carica a testa bassa conduce ad una probabile sconfitta. Se circondati, occorre preoccuparsi innanzitutto di pararsi le spalle e di schivare (se non rispedire al mittente) gli strumenti da lancio, come le temibili bombe. Tenendo presente che, mentre si infierisce su un avversario, ci si rende vulnerabili a tutti i rimanenti. Ciò non significa che si debba rinunciare all'iniziativa: un atteggiamento passivo si rivela perfino peggiore, poiché la guardia viene spezzata con sconfortante facilità. Quanto di buono congegnato rischia però di vedersi vanificato dalla discutibile assenza del game over. Se si viene sbaragliati, si ritorna alla situazione subito precedente la battaglia, senza la minima conseguenza negativa: tale scelta disincentiva l'impegno dell'utente, che anche in caso di sconfitta non ha nulla da perdere.

Come si evince fin dalla copertina della confezione, l'arma a disposizione dei protagonisti é la spada, anzi, le spade. Se ne equipaggiano tre, a scelta fra le oltre cento accumulabili nel corso del gioco. Se si escludono le poche ricevute distruggendo i boss, la massima parte della collezione si otterrà rivolgendosi al mitico fabbro Muramasa, che forgerà la lama desiderata. Ovviamente, non é consentito produrre da subito le più letali: bisogna partire dalle più fiacche e progredire seguendo un diagramma ad albero. A dispetto del numero elevato, le katane sono riconducibili a due soli modelli (ossia, due soli stili di lotta): corta e lunga. Differiscono fra loro per il danno inferto, per l'esp (un potere supplementare che portano in dote, ad esempio la resistenza alle alterazioni di stato -bruciato, avvelenato ecc...-) e per l'arte segreta, una supermossa molto più potente di quelle standard. Le creazioni di Muramasa nascondono una peculiarità: sono dotate di un'anima, che si riduce se parano o se si usa la super. Nell'ipotesi in cui si consumi completamente, esse si rompono e vanno riposte nel fodero (dove, trascorso qualche tempo, si rigenerano per magia), sostituendole con la successiva delle tre. Questo elemento, che talvolta impone una gestione oculata delle armi, introduce una ulteriore opportunità di tatticismo.



Le boss battle costituiscono forse la parte meglio riuscita in assoluto. Spesso e volentieri enormi (i più esagerati manco ci stanno, nello schermo), con un insano quantitativo di energia (circa quattro barre vitali, causa di duelli interminabili), dotati di attacchi devastanti (non si arriva allo "one shot one kill", ma poco ci manca)... Affrontare i boss, impararandone gli schemi di comportamento e i punti deboli, é semplicemente un piacere, il più grande che questo videogame sappia offrire.
Muramasa possiede una decisa vocazione per il gioco di ruolo; la commistione di generi ludici, sebbene per certi versi giovi (nessuno si lamenta del disporre di un nutrito novero di spade), in ultima analisi rappresenta un ostacolo. Un nemico é troppo forte? Basterà girare a zonzo per la mappa, cercando combattimenti superflui, quindi ritornare dopo aver scalato qualche livello d'esperienza. Oppure, restituirsi in continuazione la vita perduta con decine di strumenti di recupero. Le prerogative RPG dilatano inutilmente la portata della battaglia, allontanandosi da quel nucleo fondamentale -colpire, e non essere colpiti- che, nella sua immediatezza, racchiude l'autentica bellezza dello scontro. Va aggiunto che, terminata la storia di Kisuke o Monohime, si potrà porre un rimedio che farà felici i più incalliti hardcore gamer (e qui mi fermo, onde evitare spoiler).

Mentre si esplorano le province, oltre a picchiare qualche ostinato samurai, ci si può dedicare ad una serie di attività collaterali: cucinarsi un pranzetto delizioso, o farselo preparare in un ristorante, piuttosto che sostare alle terme per un bagno rigenerante. Siparietti che incidono poco nell'economia del gioco, veri e propri fronzoli che però sanno farsi apprezzare in quanto curati dettagli di questo affresco del Giappone.

Può apparire banale l'associazione d'idee secondo cui, ad un videogame vecchio stampo, dovrebbe corrispondere un controller tradizionale. Ma é esattamente così. Il Classic Pad, con la sua grande croce direzionale, si conferma l'opzione migliore fra i comandi selezionabili. Il pad del Gamecube soddisfa, pur pagando la leggera imprecisione dell'analogico rispetto al primo. Chi confida nell'accoppiata Wiimote+Nunchuck, non disperi: non é inservibile, soltanto un po' più scomoda dei controller abituali.

Veniamo alla grafica. In introduzione, é sembrato doveroso citare l'impatto che la visione di Muramasa desta nell'osservatore. La magnificenza dei castelli medievali, la schiuma delle onde del mare in tempesta, la vegetazione gentile che ricopre i campi, non sarebbe sufficiente l'intera recensione per descrivere tutte le immagini evocative che popolano lo schermo, con un gusto per l'estetica che seduce irresistibilmente l'occhio. I personaggi sono disegnati con stile che si rifà all'animazione nipponica, e merita complimenti perché estremamente rifinito nei dettagli. Il sonoro propone ottime musiche, oltre al parlato rigorosamente in giapponese. Per concludere, due parole saltano alla mente quando si parla di Muramasa: fatto bene. Guardandolo, viene da chiedersi perché tutti i videogames bidimensionali non possano essere così, belli e curati, se non addirittura incantevoli. Consigliato a tutti, senza riserve.