Shift 2 Unleashed
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Dopo un primo netto cambio di rotta intrapreso dalla serie Need for Speed tramite la saga denominata “Shift”, ecco che con questo secondo capitolo assistiamo ad un nuovo cambio, questa volta di marcia. Shift 2 infatti non solo cambia nome, svestendosi della denominazione “Need for Speed” come a voler rinfrancarsi più nettamente dall'alone arcade di cui la saga da sempre si ammanta, ma cambia anche rapporto, effettuando un ulteriore step verso la simulazione, anche se questo passo é molto più corto di quanto gli sviluppatori vogliano far credere con i loro proclami sul realismo.
Di nuovo molte attenzioni sono state spese nel riuscire a ricreare un realismo di tipo “situazionale”, ovvero immergendo il giocatore all'interno di un ambiente in grado di trasmettere molte delle emozioni tipiche delle discipline motoristiche. Ma queste emozioni sono veicolate da sensazioni soprattutto visive. Il primo esempio di ciò é l'inserimento della così detta “Helmet cam”, ovvero la visuale che simula una sorta di head tracking, puntando laddove nella realtà puntano le pupille del pilota. Questo espediente, senz'altro incantevole nel suo proposito, in realtà ottiene l'effetto opposto dal punto di vista della simulazione, poiché l'inquadratura mobile rispetto al telaio della vettura, oltre a generare effetti cinetici disorientanti, non permette di monitorare con efficacia le reazioni del veicolo alle sollecitazioni, e finisce con l'attenuare la possibilità di gestire con precisione e sensibilità la nostra auto.
Fortunatamente non si tratta dell'unica visuale dall'abitacolo: una classica con posizione fissa é presente e molto meglio sfruttabile per ottenere buone prestazioni. Encomiabile il tentativo, ma si é dimostrato che evoluzioni in questo senso non potranno essere gestite automaticamente tramite software, ma andranno demandate a soluzioni esterne che consentano al giocatore di avere la propria autonomia nel gestire la visuale. Ovviamente ci riferiamo alle possibilità che un head tracking attraverso la rilevazione di sistemi quali Kinect possono offrire. Un altro esempio di realismo situazionale visivo é quello offerto dall'attenzione verso alcuni particolari: i detriti, i trucioli di gomma che si depositano su asfalto sono qui rappresentati, e capita che qualcuno possa finire sul parabrezza dell'abitacolo sporcandolo. Visivamente l'effetto é gratificante, ma ciò non deriva da pattern simulati: quello che vogliamo dire é che non c'é un progressivo depositarsi dello sporco con il passare delle auto, così come non c'é una traiettoria che si fa pulita, uscendo dalla quale si peggiorano le condizioni effettive di attrito. cco quello che intendiamo: diversi aspetti molto belli a vedersi, molto intriganti per l'immersione del giocatore in un abitacolo rovente , che sa di benzina e gomma bruciata, ma che non corrispondono altrettanta simulazione al tatto, l'aspetto tecnicamente più pressante a livello di gameplay quando si parla di real driving simulators.
Quando infatti passiamo ad esaminare il coinvolgimento di Shift 2 sul piano dell'engine fisico, ecco emergere le prime smorfie di disappunto. Intendiamoci, di passi avanti rispetto al primo capitolo ne sono stati fatti, eccome. Ma il primo gioco sapeva diventare a tratti inguidabile, vuoi per via dello scivolamento dell'auto sull'asfalto a tratti surreale, vuoi per un'iper-reattività dei comandi che, associati ad un effetto “perno” abbastanza accentuato, tramutavano lo smanacciamento al volante in un qualcosa che rasentava a tratti la comicità. L'effetto perno, aihmé, é ancora la feature più distinguibile dell'engine fisico proposto, che sostanzialmente é rimasto quello, ma sono state smussate le asperità cheaffliggevano il primo capitolo. Ora la vettura non é più soggetta a pattinamenti artici, il chesignifica chel'autoé finalmentegovernabile.
E' possibile gestire le staccate e gli inserimenti in curva con una certa precisione, dosando freno e gas nel rispetto dei gradi di angolazione fatti acquisire allo sterzo. Questo però non significa che il gioco raggiunga la precisione di simulazioni più raffinate come quelle di Forza Motorsport o Gran Turismo. Oltre ad un engine che danza su più di qualche compromesso, come ad esempio un attrito alquanto “ballerino”, ci sono i 30 fps, che inevitabilmente marchiano in modo piuttosto univoco le scarse aspirazioni del gioco nel rappresentare lo strumento chirurgico con il quale trarre le maggiori soddisfazioni in un attacco al tempo nei vari circuiti messi a disposizione.
Di nuovo molte attenzioni sono state spese nel riuscire a ricreare un realismo di tipo “situazionale”, ovvero immergendo il giocatore all'interno di un ambiente in grado di trasmettere molte delle emozioni tipiche delle discipline motoristiche. Ma queste emozioni sono veicolate da sensazioni soprattutto visive. Il primo esempio di ciò é l'inserimento della così detta “Helmet cam”, ovvero la visuale che simula una sorta di head tracking, puntando laddove nella realtà puntano le pupille del pilota. Questo espediente, senz'altro incantevole nel suo proposito, in realtà ottiene l'effetto opposto dal punto di vista della simulazione, poiché l'inquadratura mobile rispetto al telaio della vettura, oltre a generare effetti cinetici disorientanti, non permette di monitorare con efficacia le reazioni del veicolo alle sollecitazioni, e finisce con l'attenuare la possibilità di gestire con precisione e sensibilità la nostra auto.
Fortunatamente non si tratta dell'unica visuale dall'abitacolo: una classica con posizione fissa é presente e molto meglio sfruttabile per ottenere buone prestazioni. Encomiabile il tentativo, ma si é dimostrato che evoluzioni in questo senso non potranno essere gestite automaticamente tramite software, ma andranno demandate a soluzioni esterne che consentano al giocatore di avere la propria autonomia nel gestire la visuale. Ovviamente ci riferiamo alle possibilità che un head tracking attraverso la rilevazione di sistemi quali Kinect possono offrire. Un altro esempio di realismo situazionale visivo é quello offerto dall'attenzione verso alcuni particolari: i detriti, i trucioli di gomma che si depositano su asfalto sono qui rappresentati, e capita che qualcuno possa finire sul parabrezza dell'abitacolo sporcandolo. Visivamente l'effetto é gratificante, ma ciò non deriva da pattern simulati: quello che vogliamo dire é che non c'é un progressivo depositarsi dello sporco con il passare delle auto, così come non c'é una traiettoria che si fa pulita, uscendo dalla quale si peggiorano le condizioni effettive di attrito. cco quello che intendiamo: diversi aspetti molto belli a vedersi, molto intriganti per l'immersione del giocatore in un abitacolo rovente , che sa di benzina e gomma bruciata, ma che non corrispondono altrettanta simulazione al tatto, l'aspetto tecnicamente più pressante a livello di gameplay quando si parla di real driving simulators.
Quando infatti passiamo ad esaminare il coinvolgimento di Shift 2 sul piano dell'engine fisico, ecco emergere le prime smorfie di disappunto. Intendiamoci, di passi avanti rispetto al primo capitolo ne sono stati fatti, eccome. Ma il primo gioco sapeva diventare a tratti inguidabile, vuoi per via dello scivolamento dell'auto sull'asfalto a tratti surreale, vuoi per un'iper-reattività dei comandi che, associati ad un effetto “perno” abbastanza accentuato, tramutavano lo smanacciamento al volante in un qualcosa che rasentava a tratti la comicità. L'effetto perno, aihmé, é ancora la feature più distinguibile dell'engine fisico proposto, che sostanzialmente é rimasto quello, ma sono state smussate le asperità cheaffliggevano il primo capitolo. Ora la vettura non é più soggetta a pattinamenti artici, il chesignifica chel'autoé finalmentegovernabile.
E' possibile gestire le staccate e gli inserimenti in curva con una certa precisione, dosando freno e gas nel rispetto dei gradi di angolazione fatti acquisire allo sterzo. Questo però non significa che il gioco raggiunga la precisione di simulazioni più raffinate come quelle di Forza Motorsport o Gran Turismo. Oltre ad un engine che danza su più di qualche compromesso, come ad esempio un attrito alquanto “ballerino”, ci sono i 30 fps, che inevitabilmente marchiano in modo piuttosto univoco le scarse aspirazioni del gioco nel rappresentare lo strumento chirurgico con il quale trarre le maggiori soddisfazioni in un attacco al tempo nei vari circuiti messi a disposizione.