Ma gli androidi sognano la recensione di Nobody Wants to Die?

Amate Blade Runner e le atmosfere dei noir anni '40? Allora, benvenuti a casa

di Claudio Magistrelli

Diversi anni fa, durante la prima lezione di un seminario di critica cinematografica organizzato da un rivista allora di culto, mi fu insegnato come la sequenza di apertura di un film sia spesso sufficiente per individuarne i toni e le intenzioni. Pur trattandosi di un videogioco (anche se credo avremo di che parlare), Nobody Wants to Die aderisce perfettamente a questa regola. C’è tutto in quei primi istanti in cui facciamo conoscenza del detective caduto in disgrazia James Karra, attraverso la sua voce roca che commenta una vecchia pellicola di sbirri e gangster, proiettata in un drive-in per auto volanti a strapiombo sulla New York del 2329.   

Nobody Wants to Die in Blade Runner 2077  

Il nuovo gioco di Critical Hit Games dunque non fa affatto mistero delle sue fonti di ispirazione e omaggia fin da subito il cinema noir anni ‘40-’50 e i complotti criminali in salsa sci-fi, ovvero il terreno in cui l’avventura grafica di Nobody Wants to Die affonda le radici in profondità. È una contaminazione inizialmente straniante, berline che paiono uscite da un documentario sulla Seconda Guerra Mondiale lievitano placide nel irrespirabile aria di una New York che ormai si espande in ogni direzione, avendo smarrito la concezione di sopra e sotto. Le facciate dei palazzi, freddamente illuminate da neon e ologrammi e avvolte dalle scie rosse delle delle colonne di auto che si muovono a stormi, nascondono al loro interno ambienti caldissimi arredati in stile liberty.   

Se la città che lo ospita è un brodo ribollente di contraddizioni, James Karra non è da meno. Fenomeno del baseball ormai più di un secolo fa, Karra si è reinventatato detective dopo aver trovato sistemazioni meno atletiche per la sua icorite. Se vi sembra che vi stia sfuggendo qualcosa, non preoccupatevi, è esattamente l’effetto che Nobody Wants to Die ricerca. Fin da subito, con un incipit che semina un paio di punti fermi prima che da un tv in sottofondo arrivi la notizia dell’abbassamento a 20 anni dell’abbonamento obbligatorio a un nuovo corpo. Ma cosa diavolo significa? E chi ci guadagna?. Come in Blade Runner con i corpi sostitutivi invece dei replicanti, Karra si ritrova coinvolto in un’indagine in cui qualcosa non torna proprio, sarà che alcuni dei pezzi grossi delle mega-corp che lavorano col governo stanno cadendo come mosche. La costruzione del contesto, o worldbulding per dirla con un termine più attuale, è senza dubbio alcuno la componente più forte di Nobody Wants to Die, il gancio attraverso cui cattura l’attenzione del giocatore e, senza dubbio, il principale motivo per cui vi consigliamo di giocarci. Se invece siete qui per le indagini, aspettate ancora un momento prima di mettere mano al portafoglio e saltate al prossimo paragrafo.  

A spasso nel tempo  

Come forse avrete intuito, il buon James Karra è finito con entrambi i piedi nel bel mezzo di un complotto e se intorno a lui alcuni degli uomini più potenti del pianeta stanno finendo col cervello abbrustolito, forse conviene stare molto attento ai dettagli se ci tiene a portare a casa la pelle. Gli strumenti a sua disposizione sono una lampada UV, un visore a raggi X e il versatile ricostruttore. Quest’ultimo è il vero pezzo forte del poliziotto del futuro, un ninnolo che si aggancia al braccio e attraverso il quale è possibile riavvolgere il tempo sulla scena del crimine e cogliere così dettagli altrimenti inaccessibili: in qualche modo ricorda i poteri di Quantum break (immeritatamente sottovalutato, ma questa è un’altra storia), per capirci. Muovendoci in prima persona attraverso gli occhi di Jack saremo dunque chiamati a visitare una serie di scenari, spesso scene del crimine, da analizzare e ricostruire seguendo il filo degli indizi sparsi o nascosti.   

È qui, nel cuore delle sue meccaniche, che si annidano tutte le contraddizioni di Nobody Wants to Die Alone. Da un lato, il gioco di Critical Hits si premura - praticamente per l’intera durata - di guidare per mano il giocatore delle indagini, esplicitando sempre quando è il momento di usare uno strumento oppure un altro, privandoci del divertimento di un approccio più libero e sperimentale (come visto in Shadows of Doubt). Di contro, il funzionamento del ricostruttore o di quelle sezioni in cui bisogna collegare gli indizi (tipo lavagna coi fili, ma con gli ologrammi sul parquet) è relegato a un paio di pop-up di una manciata di righe che conducono più facilmente allo spaesamento che alla comprensione.   

Allora stesso modo, un elevato standard grafico viene mantenuto quasi per l'intero gioco (i modelli umani si muovono in zona uncanny Valley, ma magari è normale per i corpi in cui è bastato trasferito un altro cervello, vai a sapere), eppure tutti gli scenari sono sostanzialmente dei diorami, sorta di modellini bellissimi e curatissimi, ma in cui non si può toccare nulla.  


In fondo, tutto si riduce a scelte. Nobody Wants to Die rientra infatti in quella categoria ormai al tramonto dei AA, titoli medi che possono contare su un budget contenuto a cui fanno seguito ambizioni commisurate. Ecco dunque che di colpo tutto assume un senso. Non si può avere tutto, inevitabile dunque che le indagini libere siano sacrificate sull'altare dell'accessibilità e i livelli siano di fatto stanze sconnesse, molto più semplici (ed economiche) da gestire rispetto a un open world. Di contro, però, ci si può permettere il graficone, che la sua figura la fa sempre.   

Nobody Wants to Die è un gioco che parla della rinuncia e lo fa attraverso le proprie stesse rinunce. Nel suo 2329, chi può permetterselo ha accesso all’eternità, un corpo dopo l’altro. Ma quando la morte non è più un’eventualità da temere, etica e morale sfumano fino a disfarsi. Forse è azzardato sostenere che come umanità troviamo nei limiti il nostro scopo, ma nel caso del gioco di Critical Hit Games la lezione che si legge tra le righe di dialogo e di codice potrebbe essere proprio questa.