Onimusha: Dawn of Dreams

di Antonio Norfo
Il prologo dell'alba dei sogni conduce il giocatore in un Giappone del 1596 tutto particolare.
Il delicato momento storico (a cavallo fra il periodo Azuchi-Momoyama e quello successivo -Tokugawa-), insomma, è ridipinto in modo teatrale da una Capcom che di certo non si pone problemi nel chiamare in causa personaggi storici e leggendari del paese di Amaterasu (ovviamente, chi conosce la serie Onimusha non si stupisce).


Hideyoshi è letteralmente posseduto e sfoggia pertanto due occhi di brace.
Sulla sua strada, contro l'ingiustizia, ecco giungere Soki (alias Hideyasu Yuki).
Costui, chiamato con molti nomi ed epiteti ma pur sempre figlio adottivo di Hideyoshi, verrà spalleggiato da Akane "Jubei" Yagyu (una kunoichi), da Tenkai (misterioso lanciere che trova in Soki il salvatore che andava cercando), dalla graziosa Ohatsu (la quale si serve di armi da fuoco del XVI secolo) e, infine, da Roberto.
I cinque sopraccitati rappresentano complessivamente, dal punto di vista ludico, una delle più apprezzabili componenti del titolo in esamina, sia sotto il profilo della pura azione sia sotto quello della risoluzione di enigmi che, per quanto elementari e spesso scontati, concedono al ritmo una buona varietà.
Meritano poi una citazione delle semplici ed efficaci abilità non combattive: Jubei, ad esempio, sfrutta il suo agile corpo per intrufolarsi in passaggi agli altri preclusi; il saggio Tenkai riesce a parlare con i morti (ottenendo da essi consigli ed oggetti) e, per fare un ultimo esempio, Ohatsu si serve di un rampino (è peraltro deputata a piazzare esplosivi al fine di aprire porte infestate e, ancora, a sparare contro interruttori troppo distanti per lame, calci e pugni).


Stando a quanto detto si capisce che, per la maggiore, non si esploreranno gli ambienti in solitario.
Il giocatore è infatti coinvolto nella gestione di uno dei personaggi ed affida alla cpu il proprio comprimario, impartendo a quest'ultimo semplici ordini con la pressione dei quattro tasti del D-Pad.
E' possibile far difendere il proprio alleato così da fargli ripristinare l'energia fisica; coinvolgerlo in attacchi forsennati; ordinargli di seguirci dedicandosi all'offesa e, infine, dare un ordine specifico.
Con la pressione di R2, si badi, si invertiranno in tempo reale i ruoli di "gestito" ed "autogestito" (accedendo agli Specchi Incantati dove, fra le altre cose, si salva e si potenziano gli equipaggiamenti, è possibile, qualora concesso, modificare l'assetto del "party").
Cinque personaggi giocabili hanno peraltro consentito agli sviluppatori di essere molto generosi circa il numero di armi messo a disposizione (numero che supera e non poco il centinaio).
Quest'ultima è una delle piccole prove a testimonianza del sodalizio oggi più che riuscito fra Onimusha ed il gioco di ruolo videoludico.
L'arsenale differisce anche per elemento d'appartenenza (il quale influenza così la natura delle magie) e, fino ad un certo livello, è possibile "nutrirlo" con le anime rosse rilasciate dai demoni abbattuti (stessa sorte per le armature).
La crescita di livello accompagna altresì i protagonisti, per i quali si potrà tramutare ciascun level up in una miglioria alle svariate skill (più si avanza e più se ne ottengono di nuove).
Tra uno stage e l'altro (i "capitoli" con cui è suddiviso Dawn of Dreams) si usufruirà dei benefici degli Hideout, nei quali si potrà scambiare qualche chiacchiera con il seguito di amici, fare acquisti nel "negozio" e colloquiare con Minokichi (l'esserino in questione è il "ponte" verso la rivisita dei luoghi già esplorati e verso il Dark Realm).


Non che manchino i deficit ludici, beninteso.
Va infatti citata in primo luogo la linearità, davvero sconcertante e solo in parte mascherata dalla cooperazione fra personaggi di cui si è parlato, ed in secondo luogo l'intelligenza artificiale dei nemici "comuni" (la quale poteva, alla luce del curriculum vitae degli sviluppatori, essere migliore di quella effettiva). Ma tant'è.