Otogi 2: Immortal Warrior

di Giuseppe Schirru
Un silenzio irreale viene frantumato in mille particelle di sublime rappresentazione raffigurativa. L'intro è la perfetta sintetizzazione dell'anima di Otogi, il cui ego più profondo attinge a piene mani dal patrimonio mitologico giapponese, che ancora una volta sdogana le sue ambientazioni fascinose, e i fiori di ciliegio, e i templi, e le leggende, fanno vibrare vigorosamente le corde dell'immaginazione, con un eloquenza visiva amena alle software house occidentali. Referenziato da un primo capitolo sopra le righe, From Software vitaminizza il seguito, veicolando il giocatore in un tripudio di luci e colori e dando libero accesso all'infervoramento della fantasia. Raffinatezza tecnica ed eleganza stilistica sono lussi che non tutti possono permettersi. Otogi 2 li possiede entrambi. La piccola perla From Software è una coltre di fumo espirata dai programmatori (che il giocatore inala a pieni polmoni) dopo lunghe tirate di level design e stilysh. Ovvero: Otogi 2 è un calcio nel fondoschiena alla concezione di potenza grafica e un inno alla cultura del bello, un bello non edificato tramite mera potenza di calcolo. Perché laddove Halo è potenza bruta alla Adriano, Otogi 2 è fantasia stilistica e pennellata all'incrocio dei pali alla Roberto Baggio. Il divin codino.


Partendo dal modello classico di beat'em up 3D, From Software sviluppa un concentrato di azione e combattimenti che culmina nell'intera distruttibilità dei fondali, una trama di fondo ben caratterizzata (e non localizzata in lingua nostrana) e un'epopea visiva raramente rintracciabile nei suoi diretti colleghi, seppur illustri. Il leitmotiv delle missioni è la totale eliminazione dei nemici, che raramente lascia la scena a obbiettivi differenti, scadendo quindi nella ripetitività assoluta e concedendo poco spazio a fattori come la perlustrazione dell'aree di gioco. La logica impone che la componente degli scontri goda di un'accuratezza tale da giustificare l'inserimento di Otogi 2 nell'Olimpo della categoria action. E' questo il suo biglietto d'ingresso. All'insegna della spettacolarità, il sistema di scontri è esaltato da un turbinio di luci e colori impetuoso, come una danza briosa in tempo ternario che scandisce le combo a mezz'aria eseguite con spade, alternate a magie ad alta gradazione scenografica.

L'iconografia severa e glaciale, come un gameplay esacerbato da un sistema di scontri che pare fare il verso a Ninja Gaiden (Team Ninja, 2004) per il grado di difficoltà di alcune missioni, rende disagevole il cammino del giocatore con una learning curve non perfettamente equilibrata. Parvenza di semplicità è data dalla possibilità di optare tra sei personaggi per il superamento di ogni missione, ma l'eventuale esternazione d'angoscia del giocatore, dovuta presumibilmente all'elevata difficoltà del titolo o a un sistema di telecamere non esente da prevedibili criticismi, macchia di sugo il celestiale kimono dell'esperienza ludica. L'assenza di checkpoint e la ripetizione costante di alcuni stage rende, alla lunga distanza, il titolo foriero di noia e frustrazione al giocatore occasionale. La possibilità di back-tracking assume valevole importanza ai fini dello sviluppo dei vari combattenti. Secondo un accrescimento d'esperienza rubato al genere RPG, i personaggi di Otogi 2 migliorano le proprie caratteristiche, con possibilità di comprare potenziamenti e ammennicoli vari.


Tecnicamente siamo su livelli altissimi. Otogi 2 ammalia il giocatore colpendolo al cuore con ambientazioni pulsanti, sottolineando la spettacolarità dell'azione ed evidenziandola con effetti grafici da capogiro, un sistema di combattimento coreografico e un level design evocativo. Un'epopea visiva affascinante, abbacinante, con una sontuosità grafica che sorge prepotentemente da combo fulgenti, animazioni esemplari, abuso di bumpmapping e mitigata dalla forza di gravità di alcuni rallentamenti dell'engine che lo fan scivolare da quella sorta di iperuranio in cui soggiornava, per riportarlo alla dura realtà del pianeta terra. La sua astrazione avrebbe meritato una collocazione nel mondo delle idee, quell'iperuranio ludico dove il suo ego atipico sarebbe stato maggiormente apprezzato, mentre qua, nel nostro mercato, rimane un prodotto snobbabile dai più, una piccola perla non da tutti apprezzabile. "Arte e merda sono la stessa cosa. E c'è sempre qualcuno che riesce a venderle, sia l'una che l'altra". Non capita di rado che nel mercato videoludico la seconda si venda addirittura meglio.