Outlast 2
Essere cameraman non è un’impresa facile in generale, ma quando si pensa al contesto horror ideato da Red Barrels nel 2013 le cose si complicano, e non poco. Outlast è stato infatti un titolo particolarmente acclamato dai giocatori, in particolar modo quando si tiene conto di un genere piuttosto discusso negli ultimi anni, che si è evoluto al punto di fondere al suo interno interessanti meccaniche legate al gameplay.
Premesse come queste hanno un valore predominante nel panorama videoludico, fattore che sicuramente ci ha condotto di fronte alla recensione con moltissime aspettative positive. Riuscirà questo secondo capitolo di Outlast a terrorizzarci come il suo predecessore?
Da Mount Massive all’Arizona
Dopo aver esplorato a fondo il terribile manicomio di Mount Massive, gli sviluppatori hanno pensato di farci nuovamente vestire i panni di cameraman d’assalto, questa volta alle prese con un terribile omicidio avvolto nel mistero. Jane Do era una donna incinta fuggita da un villaggio misterioso situato tra i canyon dell’Arizona ed il nostro alter ego, insieme alla moglie Lynn, cercheranno di far luce sulla questione, ignari di ciò che li aspetta tra quelle inospitali montagne.
Un rocambolesco incidente in elicottero sarà solo il primo problema ad accoglierci, dato che ben presto scopriremo che gli eventi in corso saranno un vero e proprio disastro in bilico tra eresie, riti satanici e perverse mutazioni fisiche. Ma se nel secondo caso un po' il primo Outlast ci aveva già svezzato a dovere, nel secondo invece notiamo una profonda maturazione della scrittura, che vede la sua ispirazione in un evento realmente accaduto (quello del suicidio di massa a Jonestown nel 1978) dove morirono in circostanze misteriose ben 913 persone.
Quello a cui andiamo incontro nel gioco ricalca leggermente tale vicenda, inscenando però una narrazione incalzante dove il protagonista acquista coscienza, in un tremendo crescendo, di eventi incomprensibili capaci di scuotere chiunque. Ed il giocatore, come sempre inerme, può solamente far uso della sua fida telecamera per cercare di sopravvivere il più a lungo possibile, tentando al contempo di salvare la nostra compagna sparita nel nulla dopo l’incidente in elicottero.
Questa corsa spasmodica verso l’ignoto è il focus del gameplay, che gli sviluppatori questa volta hanno fatto evolvere eliminando lievemente la presenza di jump scare per lasciare spazio ad ambienti più ampi, addobbati per suscitare continue sensazioni di angoscia. Le persone torturate del vecchio manicomio lasciano il posto a vili crocifissioni, accompagnati da membri di sette sataniche pronti a banchettare con la nostra pelle senza pensarci due volte. E se da un lato questo clima di sventura lo riconosciamo nel gameplay nato in casa Red Barrels, dall’altro notiamo che il fine ultimo non viene mai svelato palesemente, venendo invece centellinato grazie ad una serie di documentazioni e discorsi tra personaggi non giocanti.
La storia è fatta per avvolgervi totalmente, ma la maturità è tale che in alcuni punti disarma lasciando il giocatore piuttosto ammutolito. Fanatismo religioso, crudezza delle morti, pedofilia e molto altro, sono tutti temi che vengono ripresi senza freni, regalando quel senso di perdizione che difficilmente si riesce ad avvertire all’interno di un gioco di questa tipologia.
Duracell dura di più!
La struttura legata al gameplay è rimasta essenzialmente la stessa. Come accennato poche righe sopra, Blake può far uso della propria telecamera per riprendere il paesaggio circostante, utilizzando al contempo il visore ad infrarossi per vedere ciò che nasconde il buio intorno a lui.
A rendere più credibili, a livello di gioco per l’appunto, l’ambientazione più “aperta” del gioco interviene il microfono, una nuova funzione della telecamera capace di far percepire al giocatore la direzione dei rumori che sentiamo, oltrepassando inoltre porte o mura regalandoci un minimo vantaggio nelle scene più clou, soprattutto quando è importante decidere se partire con uno scatto verso una zona sicura. Le bende servono chiaramente per curarci, ma ben presto vi accorgerete che la ricerca di queste risorse consumabili risulta spesso come un depistaggio, piacevole però quando vi imbattere in qualche documento nascosto.
Oltre a queste funzionalità già note, almeno in parte, è stata inserita una funzione di registrazione che in presenza di alcune aree, autonomamente, comincia ad annotare queste sequenze, rendendole disponibili per una visione in un secondo momento. Messo da parte un gusto del macabro discutibile per chi se le riguarderà, tale funzione vuole piuttosto andare incontro ai cacciatori di achievement, che magari esploreranno qualunque angolo per ricercare persino tutti i documenti presenti nel gioco.
Ogni avversario nasconde un proprio moveset prestabilito, ma è doveroso sottolineare la metodologia con cui gli sviluppatori hanno caratterizzato i boss presenti nel gioco. Oltre infatti ad avere ognuno una caratteristica piuttosto peculiare, in termini puramente visivi, intervengono inoltre elementi di gameplay legati ai loro attacchi, che variano dai minion sia per potenza fisica (one shot, one kill) che per movimento sulla mappa.
Anche l’utilizzo dei nascondigli diventa una mano santa quando si tratta di fuggire dai propri inseguitori, ma l’evoluzione dell’ambiente aperto ha portato anche delle coperture più fantasiose, magari semplicemente legate ad un albero cavo oppure ad un campo di grano. Tali rifugi migliorano in un certo senso l’angoscia provata durante gli inseguimenti, proprio perché i nemici sembrano avere un fiuto piuttosto sensibile a questo genere di elementi in game.
Tante belle parole avranno già decretato il lascia passare per il terreno dei must-buy al day one, ma anche nel caso di questo Outlast 2 si avvertono delle note stonate nel pentagramma, legate a delle scelte alquanto discutibili.
Occhio, Malocchio, Prezzemolo e..
Esplorando le montagne dell’Arizona si avverte certamente un senso di paura, smorzato però dal comportamento dei nemici piuttosto prevedibile, che li fa muovere sul terreno di gioco come se fossero montati su dei binari. Capita spesso di morire in circostanze poco piacevoli, ma l’incessante auto salvataggio (che comunque non dispiace) pone spesso il giocatore nella posizione di “non preoccuparsi” troppo delle scelte sbagliate. Avendo a disposizione delle micro-sequenze tra un salvataggio e l’altro, quel clima avverso tanto funzionante nel primo capitolo viene leggermente smorzato in questo, invitando il giocatore a ripetere anche più volte la stessa morte solo per capire la strada migliore da percorrere.
Anche durante i cambi più repentini di ambientazione (soprattutto durante i flashback, ma non vi diciamo altro) il nostro alter ego si trova a confrontarsi con creature al di fuori della propria portata, senza però rendersi conto di aver a disposizione una serie di vite infinite da poter utilizzare.
Piccoli difetti, che però acquistano importanza quando si parla di survival horror più spinto, dove la componente di realismo viene spesso accompagnata dalla frustrazione della sconfitta, unita al cercare di dare il meglio durante ogni movimento. Anche gli enigmi legati al ritrovamento degli oggetti sono risultati un po' grossolani, se non altro perché diventa facilmente intuibile la posizione in relazione allo spawn del boss di turno. Vedere uscire un energumeno da un sentiero nella foresta vi farà capire subito che, alle sue spalle, ci sarà il luogo da raggiungere anche a costo della propria vita.
Va comunque sottolineato come, su console Xbox One, il titolo si comporti egregiamente a livello puramente tecnico, regalando scorci notevolmente dettagliati con una fluidità impressionante, sinonimo che il motore grafico Unreal Engine 3 è stato spremuto a dovere per essere perfettamente letto dall’hardware a disposizione.
Una volta tolta la visuale notturna, infatti, noterete panorami mozzafiato (sembra un controsenso quando si parla di cadaveri smembrati e roba simile) ricchi di pathos, coadiuvati da un comparto d’illuminazione ottimo che non perde un colpo anche a livello di framerate. Certo, possiamo interagire veramente con pochissime cose presenti nello scenario di gioco, ma questo non deve certo penalizzare l’ottimo lavoro svolto dagli sviluppatori, che sicuramente ha ragionato a fondo nel realizzare uno spettacolo horrorifico che doveva (in primis) fare colpo proprio sul primo dei cinque sensi. Se poi ci accorpiamo una colonna sonora azzeccata fino all’ultima nota più alta, insieme ad un doppiaggio in lingua originale veramente strepitoso, il gioco è fatto.
Da segnalare l’ottima localizzazione in lingua italiana, motivo che farà certamente sentire a casa anche i nemici giurati dell’idioma anglosassone.
Voto
Redazione