Prey (2006)
di
Gabriele Cazzulini
Ancora una volta un fps, ma questa volta l'etichetta sta bene solo sulla confezione. Per la prima volta la storia è una vendemmia di differenti tradizioni che producono un mosto corposo e fruttato, che va oltre le bollicine con cui le storie dei vecchi fps inebriavano ai primi sorsi per poi lasciare il palato asciutto. E' la volta di una giocabilità naturale su cui vengono innestati i rami di geniali novità, senza però fuoriuscire dai canoni. Che sia la volta buona per aggiungere un nuovo anello alla storica quercia degli fps?
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TORO SEDUTO VA NELLO SPAZIO
Prima era semplice: il nucleo tematico di ogni fps degno di fregiarsi di questo nobile titolo era inscatolettato come il tonno appena uscito dalla catena di produzione. Adesso si cambia, perché Prey scrive la sua storia attuando una contaminazione di generi diversi: il tema dominante restano gli ufo che rapiscono gli umani per abusarne in senso alimentare. Insomma gli umani sono vite di scarto da prelevare, consumare e poi disfarsi. Chi diceva che i marziani sono anche marxisti, si sbagliava gli alieni di Prey sono feroci consumisti galattici. Ogni secondo di gioco è impregnato della mistica ufologica, come le caverne dei primitivi erano ammantate di graffiti che descrivevano una precisa cosmologia. Prey non si sottrae e fornisce una sofisticata visione dell'universo che ha anche il pregio di dosarsi gradualmente, rendendo il gioco una storia che sviluppa il suo respiro facendo del giocatore anche un lettore.
Ufo quindi, ma non solo. Il protagonista, uno tra innumerevoli sventurati, è un nativo americano che tuttavia ha ripudiato le sue discendenze Tommy è un ex meccanico dell'esercito a stelle e strisce sull'orlo di una crisi di nervi per l'asfissia di una vita senza senso in una sperduta riserva indiana, accanto a Jen, la sua fidanzata, e al nonno, l'icona più classica del vecchio e saggio capo indiano.
Era una sera buia e tempestosa, come recitano i romanzi da viaggio, e il bar dove si trovano i tre è circondato da fasci luminosi che finiscono per risucchiare le tre vittime dentro a quella che scoprono essere una mastodontica astronave aliena. I tre, insieme ad altri umani, sono carne avviata al macello quando improvvisamente s'intravede un umano fuggitivo che sabota l'infernale meccanismo e blocca il cammino che separa i protagonisti dal finire maciullati. Tommy si salva dalla morte sicura che invece attende il nonno da lì a poco. Resta da salvare Jen, oltre alla propria pelle. Il gioco parte qui: tornare vivi sulla Terra.
MAI FIDARSI DELLE APPARENZE
Il solito fps metterebbe in mano al giocatore l'arma più elementare, come si fa con il neopatentato che ha bisogno di una macchinina per farsi le ossa. Anche Prey lo fa, ma i tempi per uscire da questo stato di assoluta inferiorità sono fulminei, e soprattutto conducono ad esiti stupefacenti. La via maestra dell'fps era anche l'unica: vai avanti. Prey non intende stravolgere questa impostazione; semplicemente la vuole complicare. La principale diramazione è la variabilità del principio di gravità, che farà rivoltare Newton nella sua tomba e anche le budella delicate di qualche giocatore, ma che è comunque un colpo di genio. Basta fare fuoco su appositi sensori, e il piano d'appoggio si ribalterà secondo una rotazione di novanta gradi facendo precipitare tutto e tutti. Utilissima variante è la possibilità di camminare sulle pareti seguendo appositi corridoi. Sono stratagemmi efficaci per superare ostacoli, oltre che gustosi diversivi contro la noia e la labirintite che attacca non appena si perde la strada. Ovviamente è richiesto un senso dell'orientamento particolarmente affinato, ma anche le opportunità di gioco aumentano.
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Se l'astronave è un concentrato di ingegneria aliena, anche Tommy non è da meno, e qui entra in gioco la sua stirpe. Per sottrarsi all'ingrato destino di finire come cibo per alieni e salvare Jen, Tommy sarà iniziato dallo spirito del nonno all'utilizzo dei poteri magici degli antichi cherokee. Potrà così uscire dal corpo per far librare il suo spirito attraverso ostacoli fisici, acquistando invisibilità agli occhi dei nemici. E' un altro escamotage per evitare la solita minestra riscaldata delle porte che non si aprono e dei congegni da azionare. Niente più stop-and-go: il protagonista può sdoppiarsi per accedere a nuovi passaggi. Ma è anche una strategia per esplorare l'ambiente senza imbattersi sempre in scontri diretti. La stessa resistenza fisica di Tommy è nelle mani del suo spirito che, ogni volta si troverà in punto di morte, avrà un'ultima chance per ritornare in vita.
C'è infine un terzo elemento d'innovazione: l'inserimento di micro-portali che permettono il passaggio istantaneo tra punti diversi dell'astronave. Si tratta di autentici sbalzi spaziali percorribili una sola volta; sottoforma di specchi o di squarci trasparenti, servono a spezzare la tradizionale rigidità delle mappe di gioco.
CASA, DOLCE CASA: COSA VIENE DOPO
Descrivere le prime ore di gioco è importante, perché offre uno spaccato rappresentativo di cosa sarà il gioco. Nel caso di Prey è però riduttivo, perché le premesse fanno lievitare molte novità che incidono sulla valutazione globale. Basta poco perché Tommy realizzi che l'astronave è tutto fuorché un mezzo meccanico; è invece un complesso organismo vivente che ospita tecnologie evolute, combinando quindi una struttura essenzialmente organica con strutture inorganiche. Ancora di più: visitando la sua prigione stellare, Tommy rinviene decenni di storia umana attraverso i relitti prelevati dagli alieni, venendo a contatto con numerosi umani nelle sue stesse condizioni, fino al punto da scoprire un intero nucleo di "resistenza" umana che continua a sabotare gli alieni nella speranza di ritornare a casa. Ma sarà l'astronave a rivelare una sua identità autonoma, l'identità di una creatura femminile... basta con le anticipazioni: il viaggio di Tommy è molto lungo.
CAVALLO PAZZO ALIENI: 2-0
E' facile impratichirsi con i poteri magici e la gravità variabile; ma il loro uso continuo e sistematico accende l'inflazione del loro divertimento, declassandoli a routines comuni. Il rischio del deja-vu è concreto con un titolo sugli alieni, forzando il ricorso alle innovazioni. Questa continua componente esplorativa riduce l'approccio da massacro tipico dell'fps, laddove il succo del gioco era tutto spremuto nell'annientamento di ogni tipo di avversario. Qui gli avversari sono molto variegati e caratterizzati; eppure non sono così importanti quanto lo è il rapporto con l'intero cosmo alieno. Il ritmo di gioco è veloce perché il cammino è lungo, in ogni livello, e le armi, per quanto stravaganti, riflettono modelli "umani", forse troppo umani. L'unico potere indiano è invece quello dell'arco e della freccia. Lo scheletro di gioco è dunque spartano: gli alieni sono il punto di partenza, i poteri dello spirito sono il mezzo e salvare Jen è il fine ultimo. In mezzo a questa sequenza ci sono interstizi più o meno ampi, intermezzi più o meno riusciti: navicelle per spostarsi su lunghe distanze, piccoli ma rognosi enigmi basati sulla gravità e l'inserimento di boss che però non stanno a fine livello, e neppure sono coriacei.
Nel confessionale, Prey deve farsi perdonare per la scarsissima interattività con l'ambiente, che intacca la giocabilità e per uno sbiadito, ma efficace utilizzo del controller, perfettamente assimilato alla tradizionale impostazione di questo genere.
GLI OCCHI DELLO SPIRITO
Le visuali di Prey assomigliano a visioni barocche per il tripudio di dettagli e cromatismi, ma pagano senza dubbio un debito d'ispirazione verso la pittura di Goya, fosca e gotica, ossessionata da creature maligne e incomprensibili. Il chiaroscuro è la tonalità che pulsa in ogni pixel, comunicando l'angoscia e lo stupore di fronte ad un mondo ostile e sconosciuto. Il movimento è invece il tratto unificante: raramente ci sono spazi immobili. Questo vuol dire anche un ritmo più sostenuto di gioco, che non è incentrato solo sugli scontri diretti ma anche sull'esplorazione. Il design dei livelli comprende un abbondante catalogo di scenari, dagli antri più soffocanti agli spazi vertiginosi. Ci sono anche elementi meno decorativi e più funzionali, come il passaggio corpo-spirito, ben scandito graficamente con una sorta di visione spirituale nebulosa e tremolante. Difetti pochi e trascurabili, legati ad una realizzazione tecnica degli alieni che non brilla per l'impegno. Ma sono virgole poste in mezzo ad un discorso globale che resta persuasivo. La riposta è sì: le doti di xbox360 sono degnamente utilizzate.
IL VERDETTO
Innovazione senza rivoluzione; Prey bussa alla porta della novità, e bussa forte, ma senza sfondamenti. E' l'ennesima potenza del genere fps, dopo il forte overclock che ne incrementa l'appeal. Eppure Prey resta un perfetto prototipo di fps che non annoia perché non è mai monotono e banale; non è mai automatica la scoperta della via giusta, anche se resta sempre una soltanto ma ora c'è più gusto a scoprirla. Unico è anche il protagonista, Tommy, la cui maturazione psicologica resta allo stadio di una banana verde neppure quando è di fronte all'assolutamente incredibile. L'incrocio tra alieni e indiani è una prelibatezza che fa salivare la bocca di chiunque, ma la visione stereotipata degli alieni-nazisti che trasformano le loro navicelle in campi di concentramento è ormai ammuffita.
Qual è il sapore deposto sul fondo del palato una volta spenta la consolle bianca (che non è il dreamcast!)? Quello del fascino della scoperta, dell'emozione dell'angoscia e della curiosità che attrae continuamente l'attenzione a vedere cosa viene dopo. Fino all'epilogo. Romanticherie? Se non ci fossero, sarebbe il solito, vecchio fps!
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TORO SEDUTO VA NELLO SPAZIO
Prima era semplice: il nucleo tematico di ogni fps degno di fregiarsi di questo nobile titolo era inscatolettato come il tonno appena uscito dalla catena di produzione. Adesso si cambia, perché Prey scrive la sua storia attuando una contaminazione di generi diversi: il tema dominante restano gli ufo che rapiscono gli umani per abusarne in senso alimentare. Insomma gli umani sono vite di scarto da prelevare, consumare e poi disfarsi. Chi diceva che i marziani sono anche marxisti, si sbagliava gli alieni di Prey sono feroci consumisti galattici. Ogni secondo di gioco è impregnato della mistica ufologica, come le caverne dei primitivi erano ammantate di graffiti che descrivevano una precisa cosmologia. Prey non si sottrae e fornisce una sofisticata visione dell'universo che ha anche il pregio di dosarsi gradualmente, rendendo il gioco una storia che sviluppa il suo respiro facendo del giocatore anche un lettore.
Ufo quindi, ma non solo. Il protagonista, uno tra innumerevoli sventurati, è un nativo americano che tuttavia ha ripudiato le sue discendenze Tommy è un ex meccanico dell'esercito a stelle e strisce sull'orlo di una crisi di nervi per l'asfissia di una vita senza senso in una sperduta riserva indiana, accanto a Jen, la sua fidanzata, e al nonno, l'icona più classica del vecchio e saggio capo indiano.
Era una sera buia e tempestosa, come recitano i romanzi da viaggio, e il bar dove si trovano i tre è circondato da fasci luminosi che finiscono per risucchiare le tre vittime dentro a quella che scoprono essere una mastodontica astronave aliena. I tre, insieme ad altri umani, sono carne avviata al macello quando improvvisamente s'intravede un umano fuggitivo che sabota l'infernale meccanismo e blocca il cammino che separa i protagonisti dal finire maciullati. Tommy si salva dalla morte sicura che invece attende il nonno da lì a poco. Resta da salvare Jen, oltre alla propria pelle. Il gioco parte qui: tornare vivi sulla Terra.
MAI FIDARSI DELLE APPARENZE
Il solito fps metterebbe in mano al giocatore l'arma più elementare, come si fa con il neopatentato che ha bisogno di una macchinina per farsi le ossa. Anche Prey lo fa, ma i tempi per uscire da questo stato di assoluta inferiorità sono fulminei, e soprattutto conducono ad esiti stupefacenti. La via maestra dell'fps era anche l'unica: vai avanti. Prey non intende stravolgere questa impostazione; semplicemente la vuole complicare. La principale diramazione è la variabilità del principio di gravità, che farà rivoltare Newton nella sua tomba e anche le budella delicate di qualche giocatore, ma che è comunque un colpo di genio. Basta fare fuoco su appositi sensori, e il piano d'appoggio si ribalterà secondo una rotazione di novanta gradi facendo precipitare tutto e tutti. Utilissima variante è la possibilità di camminare sulle pareti seguendo appositi corridoi. Sono stratagemmi efficaci per superare ostacoli, oltre che gustosi diversivi contro la noia e la labirintite che attacca non appena si perde la strada. Ovviamente è richiesto un senso dell'orientamento particolarmente affinato, ma anche le opportunità di gioco aumentano.
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Se l'astronave è un concentrato di ingegneria aliena, anche Tommy non è da meno, e qui entra in gioco la sua stirpe. Per sottrarsi all'ingrato destino di finire come cibo per alieni e salvare Jen, Tommy sarà iniziato dallo spirito del nonno all'utilizzo dei poteri magici degli antichi cherokee. Potrà così uscire dal corpo per far librare il suo spirito attraverso ostacoli fisici, acquistando invisibilità agli occhi dei nemici. E' un altro escamotage per evitare la solita minestra riscaldata delle porte che non si aprono e dei congegni da azionare. Niente più stop-and-go: il protagonista può sdoppiarsi per accedere a nuovi passaggi. Ma è anche una strategia per esplorare l'ambiente senza imbattersi sempre in scontri diretti. La stessa resistenza fisica di Tommy è nelle mani del suo spirito che, ogni volta si troverà in punto di morte, avrà un'ultima chance per ritornare in vita.
C'è infine un terzo elemento d'innovazione: l'inserimento di micro-portali che permettono il passaggio istantaneo tra punti diversi dell'astronave. Si tratta di autentici sbalzi spaziali percorribili una sola volta; sottoforma di specchi o di squarci trasparenti, servono a spezzare la tradizionale rigidità delle mappe di gioco.
CASA, DOLCE CASA: COSA VIENE DOPO
Descrivere le prime ore di gioco è importante, perché offre uno spaccato rappresentativo di cosa sarà il gioco. Nel caso di Prey è però riduttivo, perché le premesse fanno lievitare molte novità che incidono sulla valutazione globale. Basta poco perché Tommy realizzi che l'astronave è tutto fuorché un mezzo meccanico; è invece un complesso organismo vivente che ospita tecnologie evolute, combinando quindi una struttura essenzialmente organica con strutture inorganiche. Ancora di più: visitando la sua prigione stellare, Tommy rinviene decenni di storia umana attraverso i relitti prelevati dagli alieni, venendo a contatto con numerosi umani nelle sue stesse condizioni, fino al punto da scoprire un intero nucleo di "resistenza" umana che continua a sabotare gli alieni nella speranza di ritornare a casa. Ma sarà l'astronave a rivelare una sua identità autonoma, l'identità di una creatura femminile... basta con le anticipazioni: il viaggio di Tommy è molto lungo.
CAVALLO PAZZO ALIENI: 2-0
E' facile impratichirsi con i poteri magici e la gravità variabile; ma il loro uso continuo e sistematico accende l'inflazione del loro divertimento, declassandoli a routines comuni. Il rischio del deja-vu è concreto con un titolo sugli alieni, forzando il ricorso alle innovazioni. Questa continua componente esplorativa riduce l'approccio da massacro tipico dell'fps, laddove il succo del gioco era tutto spremuto nell'annientamento di ogni tipo di avversario. Qui gli avversari sono molto variegati e caratterizzati; eppure non sono così importanti quanto lo è il rapporto con l'intero cosmo alieno. Il ritmo di gioco è veloce perché il cammino è lungo, in ogni livello, e le armi, per quanto stravaganti, riflettono modelli "umani", forse troppo umani. L'unico potere indiano è invece quello dell'arco e della freccia. Lo scheletro di gioco è dunque spartano: gli alieni sono il punto di partenza, i poteri dello spirito sono il mezzo e salvare Jen è il fine ultimo. In mezzo a questa sequenza ci sono interstizi più o meno ampi, intermezzi più o meno riusciti: navicelle per spostarsi su lunghe distanze, piccoli ma rognosi enigmi basati sulla gravità e l'inserimento di boss che però non stanno a fine livello, e neppure sono coriacei.
Nel confessionale, Prey deve farsi perdonare per la scarsissima interattività con l'ambiente, che intacca la giocabilità e per uno sbiadito, ma efficace utilizzo del controller, perfettamente assimilato alla tradizionale impostazione di questo genere.
GLI OCCHI DELLO SPIRITO
Le visuali di Prey assomigliano a visioni barocche per il tripudio di dettagli e cromatismi, ma pagano senza dubbio un debito d'ispirazione verso la pittura di Goya, fosca e gotica, ossessionata da creature maligne e incomprensibili. Il chiaroscuro è la tonalità che pulsa in ogni pixel, comunicando l'angoscia e lo stupore di fronte ad un mondo ostile e sconosciuto. Il movimento è invece il tratto unificante: raramente ci sono spazi immobili. Questo vuol dire anche un ritmo più sostenuto di gioco, che non è incentrato solo sugli scontri diretti ma anche sull'esplorazione. Il design dei livelli comprende un abbondante catalogo di scenari, dagli antri più soffocanti agli spazi vertiginosi. Ci sono anche elementi meno decorativi e più funzionali, come il passaggio corpo-spirito, ben scandito graficamente con una sorta di visione spirituale nebulosa e tremolante. Difetti pochi e trascurabili, legati ad una realizzazione tecnica degli alieni che non brilla per l'impegno. Ma sono virgole poste in mezzo ad un discorso globale che resta persuasivo. La riposta è sì: le doti di xbox360 sono degnamente utilizzate.
IL VERDETTO
Innovazione senza rivoluzione; Prey bussa alla porta della novità, e bussa forte, ma senza sfondamenti. E' l'ennesima potenza del genere fps, dopo il forte overclock che ne incrementa l'appeal. Eppure Prey resta un perfetto prototipo di fps che non annoia perché non è mai monotono e banale; non è mai automatica la scoperta della via giusta, anche se resta sempre una soltanto ma ora c'è più gusto a scoprirla. Unico è anche il protagonista, Tommy, la cui maturazione psicologica resta allo stadio di una banana verde neppure quando è di fronte all'assolutamente incredibile. L'incrocio tra alieni e indiani è una prelibatezza che fa salivare la bocca di chiunque, ma la visione stereotipata degli alieni-nazisti che trasformano le loro navicelle in campi di concentramento è ormai ammuffita.
Qual è il sapore deposto sul fondo del palato una volta spenta la consolle bianca (che non è il dreamcast!)? Quello del fascino della scoperta, dell'emozione dell'angoscia e della curiosità che attrae continuamente l'attenzione a vedere cosa viene dopo. Fino all'epilogo. Romanticherie? Se non ci fossero, sarebbe il solito, vecchio fps!
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