Pride: fighting championship
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Atipico. È l'unico aggettivo che viene in mente cominciando a giocare. Il Pride Fighting Championships è un campionato capace di offrire gli incontri legali più violenti in assoluto: le regole sono le stesse del vale tudo, non si possono strappare pezzi di pelle o cavare gli occhi e, ovviamente, non si può uccidere l'avversario, ma tutto il resto è permesso. Credo che sia la prima volta che una disciplina sportiva così poco conosciuta e praticata diventi la protagonista di un gioco che viene catalogato come picchiaduro, ma che fin da subito mostra le caratteristiche di una simulazione di lotta.
L'abito fa il monaco, talvolta.
L'aspetto grafico non è dei migliori, anzi, in certi casi ci si trova davanti ad un livello talmente povero che si fatica a credere si tratti di un gioco per PS 2. Le mancanze sono evidenti sin dall'inizio del gioco: il primo aspetto negativo si nota già una volta che ci si trova davanti alla presentazione dell'atleta, che precede l'incontro vero e proprio; la scenografia virtuale, che ricorda le arene del noto programma sul wrestling, Velocity, appare da subito povera d'effetti di luce e piatta nell'aspetto dei protagonisti. Si continua con l'incontro vero e proprio, dove la grafica è pari, se non peggiore, a quella della presentazione. I modelli tridimensionali risultano legnosi nei movimenti e troppo squadrati, e benché gli stili di lotta siano vari, anche un praticante d'arti marziali potrebbe non notare differenze sostanziali tra i vari tipi di pugno e calcio, annoiandosi subito.
La ciliegina sulla torta si gusta quando, durante il combattimento, la telecamera resta immobile su una sola inquadratura, concedendoci il solo lusso di una zoomata quando i lottatori si avvicinano l'uno all'altro, particolare che non ammette scusanti (anche se la ripresa impostata parzialmente dall'alto alleggerisce un po' i problemi causati dall'inquadratura statica). I combattenti, pur essendo realistici e somiglianti all'atleta realmente esistente e preso a modello, ad un esame più approfondito presentano difetti delle texture ben visibili ad occhio nudo. Sia chiaro che non bastano gli ovvi compromessi dovuti alla possibilità di creare il proprio personaggio per giustificare un tale pressappochismo del generale aspetto grafico del gioco. Persino l'audio denota una quasi totale mancanza d'interesse da parte dei programmatori: in pratica assente, se si esclude la presentazione dei lottatori alla loro entrata nel ring e il filmato iniziale, almeno questi con musiche interessanti. Ignorare a tal punto la musica di contorno è, a mio modesto parere, non perdonabile, e addirittura la campionatura degli effetti sonori, semplicistica e banale, si presenta come un'aggravante nel momento della valutazione del sonoro.
Qualcosa d'originale.
L'unica parametro sufficientemente curato da potersi considerare accettabile è quello della giocabilità.
L'estremo realismo ottenuto dagli sviluppatori permette al giocatore di affrontare come meglio crede il suo avversario: al contrario di quello che normalmente accade nei classici picchiaduro (ovvero si sceglie un personaggio e si studiano tutte le mosse per effettuarle nel minor tempo possibile), in questo gioco diventa essenziale lavorare maggiormente sulla strategia e sullo studio dell'avversario, oltre che del suo stile di lotta. Una delle differenze presenti rispetto ad altri titoli consiste nella barra dell'energia, che è formata da due distinti valori: la resistenza, costituita da una barra azzurra, e la vitalità, rappresentata da una rossa.
La barra azzurra calerà sia che voi colpiate il vostro avversario, sia che veniate colpiti, ma, evitando il combattimento, la barra si ripristinerà in poco tempo. La barra rossa, invece, calerà esclusivamente nel momento in cui accuserete un colpo, e non potrà essere reintegrata durante il round. La barra rossa, una volta esaurita, comporterà il KO.