Prince of Persia: Le sabbie del tempo

di Giuseppe 'Sovrano' Schirru

L'old style col new style. In ambito video-ludico qualcuno lo riterrebbe un abominio, come mischiare il sacro con il profano. E da un lato di sacro si tratta, visto che il ripescaggio stavolta tocca al vecchio Prince of Persia, pietra miliare mai dimenticata da milioni di fans, possessore della matrice del gameplay che sarà propria di innumerevoli titoli successivi. Ben due volte si è tentato di riportare in auge i fasti del primo episodio ma il disegno, naufragato a seguito dell'inadeguatezza delle varie software house autrici di giochi parassitari nei confronti del titolo originario, trova solo ora realizzazione grazie alla Ubi Soft Montreal. Due parentesi chiuse, un punto e a capo. Da un altro capoverso ricomincia la storia, stavolta scritta da diversi scrittori, o sviluppatori per meglio dire.


Gioite gente, perché non è stato un lavoro facile. Soggiogati dalle catene dell'inevitabile scorrere del tempo, i programmatori hanno dovuto accontentare i vecchi e i nuovi, realizzando un prodotto dal sapore antico ma dalle meccaniche di gioco moderne. Omaggiare il nobile gameplay che ha portato al successo la serie, amalgamandolo in un contesto più moderno è stata la carta vincente di questa produzione, assoldare una vecchia volpe come Jordan Mechner come supervisore, le quattro carte che completano la scala. Reale massima. Il primo Prince of Persia era il verbo, i due capitoli seguenti la conferma che un seguito non è mai all'altezza dell'originale. Le sabbie del tempo è invece la riprova che, il modo migliore per sfruttare un brand di successo è affidarlo a mani esperte. E la Ubi Soft Montreal, dopo Splinter Cell e Rainbow Six 3 ha riconfermato il suo valore.

Nei primi istanti di gioco è il principe a fare gli onori di casa illustrandoci passo passo tutte le azioni fattibili durante l'avventura, e basta poco per accorgersi di come l'atmosfera si sia ingigantita, proprio come il gameplay, che nel passaggio dal 2D al 3D ha subito un notevole aumento di spessore. Il castello, i duelli e le trappole sono dei rimandi fin troppo espliciti alla prima creazione di Jordan Mechner, ma le potenzialità delle nuove console a 128 bit regalano al giocatore possibilità inimmaginabili. Il gameplay riprende anche il concetto di linearità proprio dell'opera originale, ma non si può considerare un difetto quel che effettivamente non si percepisce. Il giocatore è catapultato in un susseguirsi di azioni a catena tale da rendere ogni passaggio di gioco un livello a sé, dove trovare la strada per proseguire comporterà una serie di operazioni, prima tra tutte quella di dover sfruttare il binomio strutture architettoniche\doti del principe. Tutto questo grazie all'enorme palcoscenico montato su misura dagli sviluppatori, un castello di proporzioni bibliche capace di dar libero sfogo al lato ginnico del nostro eroe.

Quel che nei primi istanti di gioco è un semplice correre sui muri ed evitare trappole, arriva in seguito a un vero e proprio rompicapo, dove solo un'attenta analisi delle possibilità offerte dall'ambiente circostante porterà al prosieguo dell'avventura. Ma il gameplay piano piano si articola sempre più, si ingarbuglia e trova un nuovo personaggio con cui interagire, la donzella di nome Farah. Le somiglianze che a primo acchito potrebbero ricordare il duo Ico/Yorda, piano piano sbiadiscono poiché il principe in confronto al ragazzino della SCEA ha una marcia in più, se non due, e Farah non interpreta il ruolo della donzella indifesa quanto più quello di spalla, o di braccio destro che dir si voglia. E se con Ico a tempo debito avevamo parlato di "una di quelle fiabe che si raccontano ai bambini che ogni sera si infilano nel pigiama del sogno prima di scomparire sotto le lenzuola della notte, una fiaba di amore e poesia", qua siamo di fronte a una novella di nuova generazione, con scontri, slow motion, controllo del tempo in stile Blinx, corse sui muri di matrixiana memoria o combattimenti Hong Kong style. E l'unica comunanza rimane quella del lieto fine.