Prince of Persia Spirito Guerriero
di
La fiaba si tinge di nero e toni cupi e dark ammantano il cielo stellato della Persia. Messe da parte le scene da sentimentalismo affettato, il principe che salva la sua bella, o la storyboard da eroe dell'umanità, gli sceneggiatori UbiSoft mettono una feroce bestia alle calcagna del principe e già dalle premesse un "the end" che non si prospetta ingentilito dal lieto fine. Stavolta il principe sarà impossibilitato dal fare gli onori di casa durante l'esaustivo tutorial, perché l'incipit ha luogo in una nave attaccata da una schermaglia di nemici e saremo chiamati in prima persona a debellare la minaccia, una gentil donzella dal posteriore parlante, quasi scolpito nel marmo, che può essere inserito al secondo posto dopo i seni di Rachel che sfidano la forza di gravità nella classifica delle trovate piccanti di dubbio gusto. O indubbio, a seconda dei casi.
Portare a termine Spirito Guerriero lascia al fruitore un retrogusto amaro, perché la sensazione che i programmatori abbiano aggiunto qualche piccola variazione e inserito il pilota automatico sfornando un clone del primo capitolo, nonostante gli accenti dark, rimane decisamente forte. Privato dello slancio di originalità ravvisabile ne "Le Sabbie del Tempo", Prince of Persia stavolta più che fare il verso all'eroina pettoruta di casa Eidos, o alla sublime opera SCEA (Ico, 2001) i cui rimandi nella passata edizione erano palesemente evidenti, trovano nella filosofia guerresca del ninja Hayabusa la loro musa ispiratrice. Ormai archiviata la riproposizione in chiave ludica moderna del capostipite della serie (Prince of Persia, 1989) col terrore di sfatare la poesia del gioco nel passaggio dalla seconda alla terza dimensione, i programmatori per l'occasione aggiungono anche la quarta e strizzano l'occhio al capolavoro Team Ninja (Ninja Gaiden, 2003), riprendendone combattimenti ed enfatizzando la componente degli scontri fino all'inverosimile, in un tripudio di spadate, schivate, parate e combo altamente coreografiche.
Mentre il capolavoro di Tomonobu Itagaki è il museo videoludico dell'arte del combattimento, con nemici dai pattern d'attacco elaboratissimi e un sistema di controllo praticamente esente da pecche, tacendo di una difficoltà degna dei videogiochi d'altri tempi, Spirito Guerriero è "solamente" un libro di storia dell'arte, che propone immagini sbiadite delle sezioni beat'em up che affollano NG. Il paragone non è fuori luogo, perché il gameplay unisce sapientemente action e beat'em up con un patto unilaterale, ma la vena pluriomicida del protagonista prende il sopravvento sulle fasi strettamente platform. Quel che in Ninja Gaiden può diventare fattore di frustrazione perfino per il giocatore navigato, rientrando nell'ottica dei vg vecchio stampo dove il grado di difficoltà si attesta su valori oramai dimenticati, Spirito Guerriero al confronto ha il sapore di una passeggiata sulla Sunset Boulevard con l'American Express in piena pronta a essere utilizzata per lo shopping. Nessun continuo avanti e indietro tra monasteri, nessun nemico bastardo che da solo possa farci sudare le proverbiali sette camicie, ma solo un quoziente di intelligenza veramente basso del 90% dei nemici, che pronostica un altrettanto 90% degli scontri a nostro favore.
La minusvalenza di questo secondo capitolo non è dovuta alla preponderanza delle fasi combattive a discapito di quelle puramente esplorative: associato a quello di Itagaki, il pensiero di Ubisoft Montreal riesce a fare grandi cose, imbastendo un action-adventure denso di combattimenti spettacolari (con possibilità di concatenare combo e utilizzare due armi simultaneamente), elementi platform, movenze di matrixiana memoria, definendosi come un concentrato d'azione e ragionamento. Il problema è che SG non si sforza nemmeno di allargare i propri orizzonti ludici oltre la linea immaginaria del già visto, riunendo mix e generi oramai stratificatisi nella moda videoludica odierna. Le Sabbie del Tempo era un omaggio al lavoro visionario di Jordan Mechner, Spirito Guerriero un seguito che non splende di luce propria ma riflessa dal predecessore, un titolo che piuttosto che ingegnarsi a innovare, si adagia sugli allori riciclando.
Il suo fascio luminoso non è certo monocromatico, ma la ripetizione di alcuni errori, nonostante le critiche mossegli contro, lascia adito a qualche dubbio. Ancora una volta i programmatori sono degli ottimi direttori d'orchestra, il problema risiede nel fatto che il protagonista deve seguire ossequiosamente i loro dettami, di passaggio in passaggio senza possibilità di fuga, continuando lungo un binario prestabilito. Perché tra le numerosissime analogie tra questo seguito e il predecessore, permane un gameplay all'insegna della linearità, dove il codice propone un'unica via. Solo in parte il senso di linearità è affievolito dalla possibilità di andare avanti o indietro nel tempo, trovandosi però spaesati circa il cammino da percorrere. In tal senso avrebbe giovato una mappa maggiormente dettagliata, mentre quella regalataci con cordialità dai programmatori ha la stessa inutilità di un freezer al polo sud. La densità ludica è di proporzioni enormi, concentrata però in un gameplay statico, nemmeno scosso dalla possibilità di modificare il corso del tempo, che non dà luce a molte soluzioni se non quelle di ripercorrere le stesse zone modificate strutturalmente.
Il gameplay di Spirito Guerriero è un andirivieni di rimandi e citazioni la cui intelaiatura di base poggia su un level design evocativo e quasi visionario. L'enigmatica conformazione del castello, che rende doveroso uno studio approfondito delle strutture architettoniche circostanti - ancora una volta sublimi per modellazione - sarebbe inutile senza le capacità acrobatiche del protagonista. Tali abilità, sostanzialmente invariate rispetto al carnet di mosse fattibili nel primo episodio, danno luogo a risvolti sempre nuovi nel superamento dei vari passaggi. Per quanto ben mascherato da una struttura di gioco priva di qualsiasi intervallo, il castello può essere sviscerato e suddiviso in tantissime sezioni stagne, dove ognuna è una storia a sé che richiede uno studio approfondito della situazione per essere superata.
Tecnicamente la Ubisoft punta ancora sulla redditizia pratica del multiformato, ma stavolta suona la chitarra con un plettro mosso più vigorosamente. I toni cupi non riescono a celare la fine vena stilistica dei programmatori, e quella su schermo è una girandola di paesaggi mozzafiato, strutture architettoniche sbalorditive e un level design che fa bruscamente vibrare le corde dell'immaginazione. Quelli che erano stili fiabeschi, quasi espressi a bassa voce, sussurrata, esplodono in urla, in toni energicamente più decisi. Non meno sbalorditivo dal punto di vista grafico rispetto al primo capitolo - anzi migliore dal punto di vista prettamente tecnico - anche se sicuramente meno ispirato e con meno ambientazioni da spaccamascella, Spirito Guerriero è un attestato di come la grafica non consista solo in un frame-rate stabile o un elevato numero di poligoni su schermo, abuso di effetti speciali o superficiali orpelli tecnici. Incivile da parte di UbiSoft fracassarci le orecchie con musiche metal e rock, e con un doppiaggio in italiano che definire patetico sarebbe riduttivo. Gabriel Garko, per quando ci riguarda, può tranquillamente tornare a recitare in qualche miniserie.
213
Portare a termine Spirito Guerriero lascia al fruitore un retrogusto amaro, perché la sensazione che i programmatori abbiano aggiunto qualche piccola variazione e inserito il pilota automatico sfornando un clone del primo capitolo, nonostante gli accenti dark, rimane decisamente forte. Privato dello slancio di originalità ravvisabile ne "Le Sabbie del Tempo", Prince of Persia stavolta più che fare il verso all'eroina pettoruta di casa Eidos, o alla sublime opera SCEA (Ico, 2001) i cui rimandi nella passata edizione erano palesemente evidenti, trovano nella filosofia guerresca del ninja Hayabusa la loro musa ispiratrice. Ormai archiviata la riproposizione in chiave ludica moderna del capostipite della serie (Prince of Persia, 1989) col terrore di sfatare la poesia del gioco nel passaggio dalla seconda alla terza dimensione, i programmatori per l'occasione aggiungono anche la quarta e strizzano l'occhio al capolavoro Team Ninja (Ninja Gaiden, 2003), riprendendone combattimenti ed enfatizzando la componente degli scontri fino all'inverosimile, in un tripudio di spadate, schivate, parate e combo altamente coreografiche.
Mentre il capolavoro di Tomonobu Itagaki è il museo videoludico dell'arte del combattimento, con nemici dai pattern d'attacco elaboratissimi e un sistema di controllo praticamente esente da pecche, tacendo di una difficoltà degna dei videogiochi d'altri tempi, Spirito Guerriero è "solamente" un libro di storia dell'arte, che propone immagini sbiadite delle sezioni beat'em up che affollano NG. Il paragone non è fuori luogo, perché il gameplay unisce sapientemente action e beat'em up con un patto unilaterale, ma la vena pluriomicida del protagonista prende il sopravvento sulle fasi strettamente platform. Quel che in Ninja Gaiden può diventare fattore di frustrazione perfino per il giocatore navigato, rientrando nell'ottica dei vg vecchio stampo dove il grado di difficoltà si attesta su valori oramai dimenticati, Spirito Guerriero al confronto ha il sapore di una passeggiata sulla Sunset Boulevard con l'American Express in piena pronta a essere utilizzata per lo shopping. Nessun continuo avanti e indietro tra monasteri, nessun nemico bastardo che da solo possa farci sudare le proverbiali sette camicie, ma solo un quoziente di intelligenza veramente basso del 90% dei nemici, che pronostica un altrettanto 90% degli scontri a nostro favore.
La minusvalenza di questo secondo capitolo non è dovuta alla preponderanza delle fasi combattive a discapito di quelle puramente esplorative: associato a quello di Itagaki, il pensiero di Ubisoft Montreal riesce a fare grandi cose, imbastendo un action-adventure denso di combattimenti spettacolari (con possibilità di concatenare combo e utilizzare due armi simultaneamente), elementi platform, movenze di matrixiana memoria, definendosi come un concentrato d'azione e ragionamento. Il problema è che SG non si sforza nemmeno di allargare i propri orizzonti ludici oltre la linea immaginaria del già visto, riunendo mix e generi oramai stratificatisi nella moda videoludica odierna. Le Sabbie del Tempo era un omaggio al lavoro visionario di Jordan Mechner, Spirito Guerriero un seguito che non splende di luce propria ma riflessa dal predecessore, un titolo che piuttosto che ingegnarsi a innovare, si adagia sugli allori riciclando.
Il suo fascio luminoso non è certo monocromatico, ma la ripetizione di alcuni errori, nonostante le critiche mossegli contro, lascia adito a qualche dubbio. Ancora una volta i programmatori sono degli ottimi direttori d'orchestra, il problema risiede nel fatto che il protagonista deve seguire ossequiosamente i loro dettami, di passaggio in passaggio senza possibilità di fuga, continuando lungo un binario prestabilito. Perché tra le numerosissime analogie tra questo seguito e il predecessore, permane un gameplay all'insegna della linearità, dove il codice propone un'unica via. Solo in parte il senso di linearità è affievolito dalla possibilità di andare avanti o indietro nel tempo, trovandosi però spaesati circa il cammino da percorrere. In tal senso avrebbe giovato una mappa maggiormente dettagliata, mentre quella regalataci con cordialità dai programmatori ha la stessa inutilità di un freezer al polo sud. La densità ludica è di proporzioni enormi, concentrata però in un gameplay statico, nemmeno scosso dalla possibilità di modificare il corso del tempo, che non dà luce a molte soluzioni se non quelle di ripercorrere le stesse zone modificate strutturalmente.
Il gameplay di Spirito Guerriero è un andirivieni di rimandi e citazioni la cui intelaiatura di base poggia su un level design evocativo e quasi visionario. L'enigmatica conformazione del castello, che rende doveroso uno studio approfondito delle strutture architettoniche circostanti - ancora una volta sublimi per modellazione - sarebbe inutile senza le capacità acrobatiche del protagonista. Tali abilità, sostanzialmente invariate rispetto al carnet di mosse fattibili nel primo episodio, danno luogo a risvolti sempre nuovi nel superamento dei vari passaggi. Per quanto ben mascherato da una struttura di gioco priva di qualsiasi intervallo, il castello può essere sviscerato e suddiviso in tantissime sezioni stagne, dove ognuna è una storia a sé che richiede uno studio approfondito della situazione per essere superata.
Tecnicamente la Ubisoft punta ancora sulla redditizia pratica del multiformato, ma stavolta suona la chitarra con un plettro mosso più vigorosamente. I toni cupi non riescono a celare la fine vena stilistica dei programmatori, e quella su schermo è una girandola di paesaggi mozzafiato, strutture architettoniche sbalorditive e un level design che fa bruscamente vibrare le corde dell'immaginazione. Quelli che erano stili fiabeschi, quasi espressi a bassa voce, sussurrata, esplodono in urla, in toni energicamente più decisi. Non meno sbalorditivo dal punto di vista grafico rispetto al primo capitolo - anzi migliore dal punto di vista prettamente tecnico - anche se sicuramente meno ispirato e con meno ambientazioni da spaccamascella, Spirito Guerriero è un attestato di come la grafica non consista solo in un frame-rate stabile o un elevato numero di poligoni su schermo, abuso di effetti speciali o superficiali orpelli tecnici. Incivile da parte di UbiSoft fracassarci le orecchie con musiche metal e rock, e con un doppiaggio in italiano che definire patetico sarebbe riduttivo. Gabriel Garko, per quando ci riguarda, può tranquillamente tornare a recitare in qualche miniserie.