Prison City, fuga da Detroit – Recensione PC
La recensione del run and gun 8-bit di Retroware, un fantastico omaggio al genere di fine anni ‘80, ricco di idee e personalità, con giusto un paio di collisioni fuori posto
1994: la città di Detroit viene abbandonata dalla popolazione. 1995: il territorio viene circondato da enormi mura e trasformato in una città-prigione, dove i peggiori criminali vengono mandati per scontare la propria pena. 1997: un gruppo di terroristi si infiltra nell’area e crea un esercito, armando i carcerati e minacciando la sicurezza nazionale.
Prison City, fascino nostalgico
No, non è la trama dello spin-off di un certo film di John Carpenter ambientato a New York, bensì la premessa di Prison City, il nuovissimo run and gun con veste grafica 8-bit di Retroware e Programancer, ispirato a titoli come Contra e Power Blade, una lettera d’amore a quel periodo in cui i giochi d’azione picchiavano duro e si limitavano a tre concetti fondamentali: correre, sparare e schivare. Abbiamo dunque a che fare con un dolce tuffo nel mare dei ricordi oppure un tonfo sordo nella solita operazione nostalgia? Scopriamolo.
Prison City rientra di diritto nella categoria dei “giochi preferiti in cui fai schifo”. Dopo un tutorial piuttosto elaborato e un avvincente livello introduttivo, il titolo ci porta nella schermata di selezione dei livelli che fa tanto Mega Man, con 8 scenari molto diversi tra di loro che precludono l’accesso all’area finale. Tetti tra i sobborghi, autostrade in rovina, stadi, riserve naturali, fabbriche, laboratori, c’è davvero di tutto, e ogni ambiente porta la sua particolare “gimmick” per variare la formula di gioco e offrire sfide sempre nuove. Si può scegliere quello che si preferisce, ma non importa da dove si parte, le legnate non tarderanno ad arrivare.
Inutile girarci intorno, Prison City non è per palati “moderni”. La difficoltà impenna sin da subito, con stanze che non lasciano spazio a errori, nemici che respawnano al cambio d’inquadratura, trappole e burroni in ogni dove, vite e continua limitati e checkpoint spesso molto distanti dalla meta. Per avere la meglio occorre memorizzare le insidie, padroneggiare al meglio il sistema di controllo e non avere paura di buttarsi a capofitto nell’azione, poiché esitare assicura un volo nel vuoto o un pallettone nel grugno.
Il gioco garantisce per fortuna una certa flessibilità dal livello di difficoltà standard, in richiamo al periodo di riferimento e senza sconti per il giocatore, con una modalità “moderna”, con parametri più generosi, e una “facile” con salute maggiorata e vite infinite, nemici più mansueti e in generale un tasso di sfida più abbordabile, ideale per approcciarsi al titolo in totale sicurezza e prendere confidenza con comandi e layout dei livelli. Vorrei potermi vantare di non averne avuto bisogno, ma per la mia sanità mentale ho preferito attivarla, così da saggiare quanto il titolo ha da offrire, prima di tornare sui miei passi per una seconda sessione alla vecchia maniera.
Il protagonista, Hal, è armato con un chakram, un disco che può sparare in diverse direzioni e mantenere a mezz’aria per per qualche secondo prima che torni indietro, una soluzione che combina il boomerang di Power Blade con la catena di Castlevania. L’obiettivo di ogni livello è trovare il nostro infiltrato in qualche angolo remoto, che ci fornità una chiave d’accesso per il boss dell’area, uno dei Guardiani della città-prigione.
Prison City, gameplay e acciacchi d'annata
Pad alla mano (ma anche la tastiera non è una cattiva opzione se avete memorie ai tempi del Commodore 64), l’azione incessante e violenta riporta alla mente il buon vecchio Contra, dove scansare colpi e far fuori energumeni e robot non è sufficiente per proseguire, ma occorre anche navigare ambienti diroccati, tra appigli da afferrare al volo, corrimano da cui saltare e pertugi in cui infilarsi scivolando. Il sistema di controllo è reattivo al punto giusto, con input puntuali e un ottimo posizionamento dei vari elementi a schermo, in modo che tutto sia perfettamente raggiungibile con un salto mirato o un lancio di chakram dalla giusta angolazione, ma siamo leggermente perplessi dalle collisioni.
Può capitare infatti che Hal non afferri correttamente una sporgenza, con conseguenza disastrose, e la sua hitbox ci è sembrata leggermente più grande del necessario, un problema che si manifesta soprattutto contro i boss, che richiedono mano ferma e movimenti chirurgici per scansare i numerosi pattern di cui sono dotati.
Un dettaglio non da poco, che va a minare un quadro altrimenti eccellente, tanto da giocare quanto da ammirare, con una veste grafica 8-bit piena di stile e personalità, che simula numerosi trucchetti dell’epoca per creare atmosfera senza snaturare la magia di essere alle prese con un’opera proveniente da un’era ormai perduta, con tanto di filtri per simulare gli schermi dei catodici. Azzarderei che alle volte la presentazione risulta addirittura troppo dettagliata, rendendo difficile distinguere pareti ed aree inaccessibili da oggetti distruttibili e piattaforme a tiro. Di nuovo, una bega non trascurabile laddove è richiesta precisione.
Ottima la colonna sonora e gli effetti sonori, che incapsulano perfettamente i sound chip dell’epoca, con motivetti molto orecchiabili e un “pixelloso” trambusto di proiettili ed esplosioni 8-bit. Stona un po' la canzone dei titoli di coda, ma per celebrare un’impresa così ardua glielo concediamo.
Versione Testata: PC
Voto
Redazione
Prison City
Non fosse per alcune collisioni fallaci, Prison City sarebbe un eccellente run and gun di fine anni '80, sorprendentemente accessibile e dannatamente divertente. L'opera di Retroware incapsula perfettamente ciò che rendeva indimenticabili le produzioni dell'epoca, ma con un occhio di riguardo alla scena contemporanea, con diversi livelli di difficoltà che lo rendono fruibile (quasi) da chiunque, il tutto incorniciato da un motore grafico 8-bit e una spendida colonna sonora che rendono onore al periodo di riferimento; non reinventerà nulla, ma quello che propone è realizzato con sapienza e stile. Per i fan del genere che hanno già spolpato l'intero catalogo del NES e bramano nuove esperienze, anche se i problemi lamentati potrebbero creare qualche grattacapo di troppo.