Pro Evolution Soccer 2009
di
PES2009 funziona. Esprime un calcio videoludico ben mediato tra la pura immediatezza e un certo sapore simulativo (quest'ultimo da intendersi nella capacità di cogliere la dinamica, lo spirito, più che di rappresentare con estrema dovizia diparticolari la controparte reale), lasciando la facoltà di forzare giocate individuali prolungate e talvolta sopra le righe o di dedicarsi, invece, ad una più elaborata costruzione dell'azione, sempre con pieno, diretto controllo sui propri uomini; senza dimenticarsi di catturare quella componente di casualità che impedisce di governare l'andamento dei fatidici episodi che decidono le partite, proprio come il vero calcio insegna.
Il problema é che PES2009 funziona né più né meno quanto funzionavano buona parte delle precedenti annate della serie, restando indefessamente ancorato all'originale matrice di progetto per PS2; si ha a che fare per l'ennesima volta con il medesimo impianto ludico ed una qualità della rappresentazione che ancora non vuole o non può beneficiare in modo convincente del cambio generazionale nel settore console.
Konami ha rimandato, tra le altre cose,il tentativo di tagliare nuovi traguardisul versante audiovisivo; il miglioramento della resa dei volti e della figura intera degli atleti é apprezzabile nelle inquadrature ravvicinate, virando nel praticamente inavvertibile sotto la canonicapanoramica in-game, dalla quale non possono che trasparire le datate soluzioni tecnologiche dell'engine - a partire dallo scarso dettagliodegli stadi e dei modelli poligonali per arrivare all'illuminazione, passando per le texture piuttosto slavate del manto erboso.
Il movimento a otto direzioni su cui il la tradizionale configurazione di controllo fa affidamento, accompagnandosi ad un parimenti invariato set di animazioni di base, restituisce ormai una certa legnosità che travalica il solo aspetto estetico; i giocatori disegnano spesso dei percorsi fatti di linee spezzate, con bruschi cambi di rotta che a discapito della fluidità (e alla faccia dei teorici limiti articolari delle ginocchia umane) rimangono la via più efficace per il dribbling e la conquista dello spazio di manovra. Qualche rifinitura é stata apportata, per quanto riguarda alcune transizioni nella sequenza delle movenze o l'incrementata dose di tocchi e vari gesti atletici, ma di fronte all'obsolescenza macroscopica di fondamentali come la corsa, al solito rigida, ripetitiva e ostica da orientare una volta lanciata,cose simili diminuiscono di rilevanza.
Permangono altresì quelle invisibili traiettorie preferenziali lungo le quali pallone ed atleti tendono ad incanalarsi, fattore messo in luce sia da certe geometrie dei passaggi, che non cancellano l'impressione d'essere almeno parzialmente guidate, sia da quegli attimi di incertezza della cpu (e d'impiccio del giocatore) in occasione di palloni vaganti da recuperare.
Ad alimentare il contrasto tra un sistema dalle comprovate qualità e l'esigenza di un significativo passo in avanti che metta una pietra sopra gli altrettanto noti limiti, c'é la ricalibrazione di velocità ed inerzia, la prima leggermente ridotta, la seconda aumentata rispetto alla scorsa incarnazione; tali scelte sono certamente felici, ma si possono anche interpretare come un relativo ritorno al passato, non certo come un'evoluzione di fatto. E' come se gli sviluppatori di uscita in uscita si dedicassero alla regolazione dei vari parametri dell'interfaccia nascosta dietro l'immutabile motore di gioco, senza decidersi, se non a ricominciare da zero, almeno a metter mano agli ingranaggi; il tira e molla tra diverse gradazioni della componente arcade, di norma sintetizzabili in ritmi più o meno sostenuti e in un gioco individuale più o meno incisivo rispetto a quello di squadra, fa pensare ad un classico caso di coperta troppo corta.
E' nell'ottica dello stallo del franchise nella sua struttura intima che le modalità facenti bella mostra di se nel menu iniziale, per quanto siano intriganti e promettano di dosi copiose di intrattenimento, diventano difficili da accogliere come elementi sostanziali dell'esperienza. L'acquisizione della licenza Champions League non ha colmato le lacune realative a certe squadre, come manifestato dall'inquietante ritorno di North e South London nel campionato inglese, né sembra essersi accompagnata con una esauriente applicazione del regolamento in campo, visto qualche problema con il concetto di fuorigioco passivo - anche se simili sviste arbitrali potrebbero anche prendersi come una concessione al realismo.
Al di là delnoto campionato master si fa notare il cosiddetto “Crea un mito”, in cui mettersi nei panni di un esordiente, dopo averne stabilito nazionalità, ruolo e attributi fisici con l'apposito editor, e guidarlo singolarmente durante l'intera carriera, con l'ulteriore prospettiva di gettare nella mischia dell'online la propria creatura. Tenere la posizione in campo e dare il massimo nel numero relativamente ridotto delle occasioni a propria disposizione, con in mente la crescita statistica e il giudizio assegnato a fine prestazione, é affascinante; un po' meno affascinante é stare a guardare gli altri 21 in campo (governati dalla cpu) e aspettare che finalmente la palla arrivi, specie se si gioca da prima punta o da portiere.
Il problema é che PES2009 funziona né più né meno quanto funzionavano buona parte delle precedenti annate della serie, restando indefessamente ancorato all'originale matrice di progetto per PS2; si ha a che fare per l'ennesima volta con il medesimo impianto ludico ed una qualità della rappresentazione che ancora non vuole o non può beneficiare in modo convincente del cambio generazionale nel settore console.
Konami ha rimandato, tra le altre cose,il tentativo di tagliare nuovi traguardisul versante audiovisivo; il miglioramento della resa dei volti e della figura intera degli atleti é apprezzabile nelle inquadrature ravvicinate, virando nel praticamente inavvertibile sotto la canonicapanoramica in-game, dalla quale non possono che trasparire le datate soluzioni tecnologiche dell'engine - a partire dallo scarso dettagliodegli stadi e dei modelli poligonali per arrivare all'illuminazione, passando per le texture piuttosto slavate del manto erboso.
Il movimento a otto direzioni su cui il la tradizionale configurazione di controllo fa affidamento, accompagnandosi ad un parimenti invariato set di animazioni di base, restituisce ormai una certa legnosità che travalica il solo aspetto estetico; i giocatori disegnano spesso dei percorsi fatti di linee spezzate, con bruschi cambi di rotta che a discapito della fluidità (e alla faccia dei teorici limiti articolari delle ginocchia umane) rimangono la via più efficace per il dribbling e la conquista dello spazio di manovra. Qualche rifinitura é stata apportata, per quanto riguarda alcune transizioni nella sequenza delle movenze o l'incrementata dose di tocchi e vari gesti atletici, ma di fronte all'obsolescenza macroscopica di fondamentali come la corsa, al solito rigida, ripetitiva e ostica da orientare una volta lanciata,cose simili diminuiscono di rilevanza.
Permangono altresì quelle invisibili traiettorie preferenziali lungo le quali pallone ed atleti tendono ad incanalarsi, fattore messo in luce sia da certe geometrie dei passaggi, che non cancellano l'impressione d'essere almeno parzialmente guidate, sia da quegli attimi di incertezza della cpu (e d'impiccio del giocatore) in occasione di palloni vaganti da recuperare.
Ad alimentare il contrasto tra un sistema dalle comprovate qualità e l'esigenza di un significativo passo in avanti che metta una pietra sopra gli altrettanto noti limiti, c'é la ricalibrazione di velocità ed inerzia, la prima leggermente ridotta, la seconda aumentata rispetto alla scorsa incarnazione; tali scelte sono certamente felici, ma si possono anche interpretare come un relativo ritorno al passato, non certo come un'evoluzione di fatto. E' come se gli sviluppatori di uscita in uscita si dedicassero alla regolazione dei vari parametri dell'interfaccia nascosta dietro l'immutabile motore di gioco, senza decidersi, se non a ricominciare da zero, almeno a metter mano agli ingranaggi; il tira e molla tra diverse gradazioni della componente arcade, di norma sintetizzabili in ritmi più o meno sostenuti e in un gioco individuale più o meno incisivo rispetto a quello di squadra, fa pensare ad un classico caso di coperta troppo corta.
E' nell'ottica dello stallo del franchise nella sua struttura intima che le modalità facenti bella mostra di se nel menu iniziale, per quanto siano intriganti e promettano di dosi copiose di intrattenimento, diventano difficili da accogliere come elementi sostanziali dell'esperienza. L'acquisizione della licenza Champions League non ha colmato le lacune realative a certe squadre, come manifestato dall'inquietante ritorno di North e South London nel campionato inglese, né sembra essersi accompagnata con una esauriente applicazione del regolamento in campo, visto qualche problema con il concetto di fuorigioco passivo - anche se simili sviste arbitrali potrebbero anche prendersi come una concessione al realismo.
Al di là delnoto campionato master si fa notare il cosiddetto “Crea un mito”, in cui mettersi nei panni di un esordiente, dopo averne stabilito nazionalità, ruolo e attributi fisici con l'apposito editor, e guidarlo singolarmente durante l'intera carriera, con l'ulteriore prospettiva di gettare nella mischia dell'online la propria creatura. Tenere la posizione in campo e dare il massimo nel numero relativamente ridotto delle occasioni a propria disposizione, con in mente la crescita statistica e il giudizio assegnato a fine prestazione, é affascinante; un po' meno affascinante é stare a guardare gli altri 21 in campo (governati dalla cpu) e aspettare che finalmente la palla arrivi, specie se si gioca da prima punta o da portiere.