Project Zero 3

di Antonio Norfo
Project Zero (o Fatal Frame che dir si voglia) punta molto sulle sensazioni provate da chi gioca e sull'atmosfera messa a disposizione. Confida in una formula che alterna enigmi di facile risoluzione a combattimenti "particolari" e si serve di una struttura di fondo che, almeno per quanto concerne i movimenti dei protagonisti, lo designa fra gli iscritti alla "vecchia" scuola del survival horror.

La macchina fotografica, con cui i personaggi gestiti via pad sono armati, è la prima delle prove a sostegno sia della particolarità del battle system sia dello sgomento di cui la serie è foriera.
C'è, da parte del fruitore, un'invadente sensazione di debolezza, e non certo perché il codice sia avaro di oggetti curativi o perché il game over sia un avvenimento così frequente (molto dipende anche, a tal proposito, dalla difficoltà selezionata).
In effetti, si ha spesso l'ossessione di essere costantemente seguiti (il che è vero specie quando la telecamera tende ad avvicinarsi alle spalle dei personaggi).
Un motivo in più per essere indotti con estrema, irrequieta, naturalezza a credersi alla mercé di questi luoghi infestati, di questa Villa del Sonno al cui interno si è controvoglia ospitati (l'edificio in questione è un maniero antico ed oramai decaduto, edificato secondo stile nipponico ed imbrattato di un rimorso che quasi striscia lungo le pareti).

Rei Kurosawa (professione fotografa). Ha perso il fidanzato, Yuu Asou, per via di un incidente stradale con lei alla guida. Tempo pochi giorni e vivrà un incubo dal quale rischia di non potersi più svegliare. Contesa dal sonno e dalla veglia è lei l'indiscutibile protagonista del terzo Fatal Frame. Forse coscienti del fatto che sotto il profilo prettamente ludico vi siano alcuni deja vu, gli sviluppatori hanno deciso di deliziare i fan con chiari collegamenti alle vicissitudini narrate nel primo Project Zero (non che Crimson Butterfly venga trascurato, beninteso). Kei Amakura sposterà quegli oggetti troppo pesanti per Miku (che grazie al fisico minuto può intrufolarsi in stretti cunicoli) e per Rei. Egli saprà altresì sfruttare la sua abilità nel nascondersi (per poi osservare coloro che vanno minacciosamente cercandolo).

E laddove sua maestà Resident Evil 4 ha mostrato le sue debolezze horror sbilanciandosi troppo con un arsenale alla Rambo e con un affluenza eccessiva di nemici (ambedue elementi che causano nocumento non tanto alla difficoltà quanto semmai alla tensione che così viene smorzata eccessivamente), Project Zero 3 si palesa, in questo aspetto, complessivamente più ingegnoso, poiché catapulta il fruitore in un mondo angosciante, conteso dall'incubo e dalla veglia.
Magari i momenti vissuti da svegli, alla lunga, perdono il loro fascino iniziale, sebbene vada detto come, girovagando per casa Kurosawa, alcuni avvenimenti per quanto semplici (strane bambole cui crescono i capelli, visioni, ombre vaganti ed altro ancora) cerchino di contrastare lo scemare del ritmo causato dal fattore investigazione (sviluppare foto scattate da dormienti, rivolgersi a Miku, leggere lettere e preziosi documenti).

Ciononostante, il terzo capitolo della serie in questione inciampa seriamente in un solo punto: nell'insistere, come accennato, su una locomozione oramai desueta.
Voltare direzione e correre sono mansioni qui macchinose le quali, peraltro, non vanno d'accordo con l'imprevidibilità dei nemici che al contrario volteggiano per aria, si scagliano contro le loro vittime, vanno a rilento per poi apparire alle spalle.
E le inquadrature fisse, sì suggestive (merito anche di una direzione artistica encomiabile), spesso impediscono di evitare un fendente che semplicemente non si è potuto vedere.


Nel complesso, tuttavia, è questo un titolo convincente, se non altro per la varietà che impongono tre personaggi (con tanto di approcci all'azione ed all'esplorazione diversificati) e rispettive Macchine Obscure in dotazione (da upgradare separatamente con la consueta spesa di punti e con gli immancabili utensili dispensati dal gioco). Merito anche, ovviamente, di quanto si è detto nelle righe precedenti.

Per quanto concerne infine la trama, aldilà di quanto si è scritto nelle didascalie di questa pagina, sarebbe sgradevole anticipare qualcuno dei tratti che realmente la contraddistinguono.
Non manca il linguaggio formulare già usato in Crimson Butterfly e nel primissimo episodio: ossia tematiche folcloristiche miste ad altre più psicologiche ed intime (quali ad esempio il dolore provato nel separarsi dai cari).
Certamente il modo con cui il racconto è imbastito è degno di riconoscimenti, ma non solo per qualità prettamente narrative.
Perché un videogioco si giudica da ben altre componenti, ed esso vince, a maggior ragione se di matrice avventurosa, quando riesce nel far immergere il fruitore in una situazione di fantasia (rompete l'incantesimo della "credulità" -ossia il credersi parte, in quel momento, di quel mondo- ed il gioco è spacciato).