Rain

di Massimiliano Pacchiano
Molti giocatori ricorderanno lo splendido Ico di Fumito Ueda, titolo di nicchia che riuscì ad elevare l'allora neonata PlayStation 2 a baluardo dell'art-gaming. Alla faccia di chi dice che i videogiochi non sono arte, recentemente il Museo MoMA di New York ha eposto alcuni dei videogiochi più iconici come vere e proprie opere, partendo da
Tetris e Pacman fino ad arrivare a titoli più recenti quali Another World e Portal. Ma se in questi casi si parla di giochi a tutto tondo, considerati artistici dal punto di vista del design, nel corso degli anni é emerso un nuovo filone di videogiochi esplicitamente finalizzati a veicolare messaggi e sensazioni. Ebbene, oggi questo genere di giochi “espressivi” ha trovato la loro dimensione ideale nel digital delivery, che consente di vendere titoli più brevi da fruire e di proporli ad un prezzo ridotto. Ultimo di questa ormai nutrita schiera é proprio Rain, il quale riprende alcune atmosfere ed idee dal già citato Ico. Ma andiamo con ordine.

Presentato per la prima volta più di un anno fa al Gamescom di Colonia, Rain si é subito distinto per lo stile elegante e per il gameplay singolare. Pubblicato da Japan Studio ma realizzato dal team PlayStation C.A.M.P. (già responsabili di Ecochrome e Tokyo Jungle), questo originale titolo non ha mancato di attirare le attenzioni del popolo videogiocante, nonché qualche perplessità. Infatti i più lungimiranti si chiesero come sarebbe stato possibile rendere giocabile un titolo dove il protagonista é spesso invisibile, dubbio che crucciava anche il sottoscritto. Ed ecco finalmente la risposta tra le nostre mani, visto che abbiamo potuto testare a fondo il nuovo titolo Sony.



Rain si presenta come un raffinato ed affascinante erede di Ico, ma con una spruzzatina di Metal Gear. Vestiremo i panni di un bambino senza nome costretto a letto da una malattia, il quale decide di uscire dalla sua finestra in forma incorporea. Questa premessa ricorda la trama dello sperimentale Cloud, realizzato da Jenova Chen all'inizio della sua sfolgorante carriera, ben prima di pubblicare Flower e Journey sotto l'etichetta That Game Company. Tuttavia anziché librarsi nei cieli della sua immaginazione, il nostro piccolo amico dovrà attraversare una solitaria ed uggiosa città alla ricerca di una bambina intravista dalla finestra, la quale viene inseguita da una misteriosa e terrificante creatura chiamata semplicemente l'Oscuro.

Il fulcro del gameplay é rappresentato dal fatto che il giovane protagonista é totalmente invisibile tranne quando si trova sotto la pioggia, occasione in cui l'acqua sul suo corpo lo fa apparire come una sorta di fantasma semitrasparente. Questa dicotomia visibile/invisibile viene utilizzata prevalentemente per sfuggire alle creature che ci danno la caccia, ma non manca di fare da spunto per altre trovate, visive e non, che rendono il gioco estremamente singolare ed affascinante. Ad esempio, come avevamo previsto, le fasi all'asciutto dove saremo invisibili saranno decisamente spiazzanti ad un primo impatto, soprattutto se accompagnate da repentini cambi di inquadratura come accade ad inizio gioco. Non vedere il personaggio che muoviamo é straniante, ci si sente persi, ma immediatamente ci accorgeremo che egli lascia impronte o sbuffi di polvere sul terreno al suo passaggio. Una volta aguzzata la vista e individuato il nostro effimero avatar, saremo comunque sorpresi e piacevolmente soddisfatti nel vederlo colpire e spostare involontariamente oggetti sul suo cammino: sedie, tavoli o bottiglie si muoveranno e cadranno realisticamente, mostrando quella fisicità che ci viene visivamente negata.

Nei primi livelli, il cuore del gameplay é indubbiamente l'aspetto stealth, che va ad affiancare quello puzzle-platform di base. I luoghi asciutti e riparati dalla pioggia avranno la funzione di nasconderci, ricoprendo il ruolo che in altri titoli analoghi é assegnato al buio ed alle ombre: Metal Gear Ueda, insomma. Talvolta dovremo persino attirare le creature o farle allontanare da un punto di interesse: ci possono essere diversi modi per farlo, ad esempio potremo sfruttare le pozzanghere a tale scopo, ma avanzando avremo anche altri sistemi per distrarre gli avversari. Non mancano fasi in cui dovremo fuggire da un assalitore seriale (generalmente il già citato Oscuro), aiutare la bambina a fuggire azionando elementi ambientali, e naturalmente momenti platform-puzzle alla Ico nei quali dovremo trovare il modo di avanzare tra salti, piattaforme e piccoli enigmi logici.



Come si conviene a titoli del genere, solitamente tanto brevi quanto ricchi di situazioni e meccaniche eterogenee, avremo anche altre intuizioni che fanno capolino di tanto in tanto. Ad esempio avremo posti in cui nascondersi alla Clock Tower, o la raccolta e l'utilizzo di certi oggetti (che saranno visibili rivelando la nostra posizione), o ancora lo sfruttamento di determinate creature “non ostili” e persino fasi a tempo dove dovremo salvare la nostra compagna di viaggio prima che accada l'irreparabile. Addirittura ci saranno punti in cui saremo totalmente o parzialmente visibili a causa di acquitrini fangosi che ci sporcheranno (spettacolare vedere piedi e caviglie che camminano in giro). Tutto sommato gli enigmi sono molto semplici, e le poche volte che avremo difficoltà ad avanzare non sarà per la difficoltà dei puzzle ma quasi sempre per colpa di una non perfetta intelligibilità della situazione o dell'ambiente (difetto a cui si poteva facilmente ovviare). Fortunatamente abbiamo un sistema di hint in tempo reale: se sbaglieremo diverse volte una medesima fase avremo la possibilità di premere un tasto per ottenere un consiglio su come proseguire, cosa che comunque non é strettamente necessaria, dal momento che anche nelle fasi più difficili bastano pochi tentativi per venire a capo della situazione.

Il gioco quindi scorre tra eventi, situazioni suggestive ed enigmi ambientali, un po' come faceva il vecchio Another World ma in maniera decisamente più facile da affrontare. Molto belli i momenti in cui i due protagonisti collaborano o si aiutano a vicenda, che ci hanno ricordato da vicino le opere di Fumito Ueda. Ciò che invece non ci ha proprio convinto del gameplay é la presenza di numerosi vicoli ciechi, strade inutili e pareti invisibili, che inizialmente sembrano avere l'unico scopo di farci perdere tempo e spezzare la “magia” del gioco: a che serve mostrarci una strada libera che non possiamo percorrere? Come mai l'inquadratura non ci segue se andiamo dietro quell'angolo e dobbiamo (anche stavolta) procedere alla cieca per poi tornare sui nostri passi? Ed infine, a che servono i vari vicoletti dove possiamo avventurarci ma che ci costringono a tornare indietro? Non sarebbe stato meglio chiudere questi falsi bivi con degli oggetti per rendere il tutto più scorrevole e non distrarre il giocatore? Il flusso del gameplay é infatti irrimediabilmente spezzato da questi svarioni di game design; ma comunque, ci crediate o meno, hanno un loro senso.

Infatti la longevità prevedibilmente bassa (circa 3 ore di gioco) può essere allungata da una seconda partita, dove verranno aggiunti dei collectibles chiamati “Ricordi”. Questi si troveranno generalmente all'interno dei suddetti vicoli ciechi tanto odiati alla prima tornata, che sarà quindi necessario esplorare, e stavolta con un motivo. Questi “Ricordi” sono delle sfere luminose che sbloccheranno delle piccole immagini con del testo, le quali ci racconteranno la vita dei protagonisti prima degli eventi illustrati dal gioco o ci illustreranno dei particolari riguardanti ambientazione e trama. Un metodo molto interessante di promuovere la rigiocabilità stimolando la curiosità del giocatore, quindi.



La parte del leone é comunque rappresentata dalla presentazione incredibilmente elegante ed evocativa: la colonna sonora alterna brani originali ad alcuni caposaldi della musica classica, come Clair De Lune di Debussy che funge un po' da tema principale. La grafica dallo stile elegante ma cupo ci illustra una grigia città in stile anni '30 dove si muovono figure eteree in cerca del proprio destino. Peccato per le texture scarsamente definite e per alcuni difetti nell'interpolazione delle animazioni, che comunque di solito sono molto particolareggiate e curate (notevole vedere i protagonisti che si fanno cenni o che toccano con le mani le pareti che costeggiano). Tecnicamente parlando il gioco non é nulla di spettacolare, ma é lo stile raffinato e l'attenzione al dettaglio a farla da padrone. Addirittura avremo alcuni cartelli e scritte sui muri in italiano, cosa non dovuta alla localizzazione ma presente anche nell'edizione originale: le strade sono costellate di particolari che rimandano ad una non precisata cittadina mitteleuropea, quindi avremo scritte in italiano, in tedesco e in inglese.

Il gioco non ha voci, ma solo parole in sovraimpressione che si muovono di pari passo con l'inquadratura (effetto già visto in diversi film e videoclip). Tali frasi sono ben tradotte, ma l'impressione é che siano proprio i testi originali a non essere particolarmente ispirati, peccando di un'ingenuità tipicamente nipponica. Infine una parola su narrazione ed atmosfera, che rappresentano un po' il fulcro di questo genere di giochi: Rain ci trasporta in una dimensione effimera ed ovattata indubbiamente affascinante, che ci offre alcuni momenti genuinamente evocativi e toccanti. Purtroppo a nostro avviso si perde in una fase finale un po' prolissa che ci conduce ad un epilogo adeguato ma sin troppo semplice. Come mai il nostro protagonista é invisibile, e cosa lo aspetta alla fine del suo viaggio? Tutte le domande che ci eravamo posti in sede di preview trovano delle risposte piuttosto prevedibili. Credevamo che “Essere invisibili é forse l'unico modo di essere al sicuro, ma é anche il modo più facile di rimanere soli”; ma alla fine del nostro viaggio metafisico (e si, come in Ico anche qui abbiamo dei rimandi a De Chirico) il rassicurante finale, per quanto poetico, non lascia spazio a riflessioni esistenziali particolarmente ardite.