Rainbow Six Lockdown
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Può Lockdown rappresentare l'inizio del crepuscolo per la serie che ha inventato il concetto stesso del tactical shooter moderno? Una domanda la cui risposta lasciamo volentieri ai signori di Ubisoft che nei prossimi anni avranno l'importante compito di riportare in auge una saga che con Lockdown ha toccato il punto più basso dopo anni di onorato servizio. O si tratta forse dell'ennesimo titolo sacrificato sull'altare delle vendite per compiacere un pubblico di più vaste dimensioni? La trasposizione di Rainbow Six sull'universo console (viatico praticamente obbligatorio per la sopravvivenza delle specie), aveva portato in dote alcuni cambiamenti sostanziali di primaria importanza, primo fra tutti la rinuncia definitiva alla gestione di tutti quegli elementi tattico/strategici che avevano caratterizzato le prime uscite della serie ideata da Tom Clancy su PC.
Malgrado questo, però, Rainbow Six 3 riusciva ad avere abbastanza personalità e carisma per riuscire ad essere gradito anche dai più irriducibili fan, nella speranza che il nuovo corso della serie potesse, in futuro, riguadagnare qualche nuovo approccio capace di accontentare chi da un tactical shooter apprezza maggiormente la prima parte della definizione, lasciando invece il "grilletto facile" a chi di competenza. Inutile dire che Lockdown dimostra come la famiglia "allargata" del mondo delle console mal si adatta ad acogliere i profughi del tactical shooting della vecchia scuola Red Storm, regalandogli un nuovo capitolo di una serie che inizia ad evidenziare una profonda crisi d'identità.
Certo, i tratti caratteristici delle classiche opere di Clancy ci sono tutti, a partire dalla solita trama elaborata e sofisticata, capace di relazionare governi e terroristi in svariate parti del mondo come solo l'ex assicuratore di Baltimora sa fare. C'è il solito Dingo Chavez al comando del manipolo dei Rainbow chiamato a sventare l'ennesima minaccia planetaria e c'è il rinnovato sistema di gioco che dal terzo episodio della serie in poi (il primo ad apparire anche su Xbox), ha sostituito il collaudato gameplay "team based" che aveva invece contraddistinto le primissime produzioni. Ding contro tutti, quindi, ancora una volta. Ucciso lui, fine dei giochi e tutti a casa. Un buon equilibrio, quindi, tra azione solitaria e subordinata ai vostri compagni di team avrebbe dovuto essere il perno centrale di questa nuova produzione affidata alle sapienti mani di Ubisoft Montreal.
Il condizionale, però, è d'obbligo perché stavolta il team "arcobaleno" sembra presentare più ombre che luci. Il sistema di comando vocale, così ben implementato nel primo episodio (seppure con ampi margini di miglioramento), in Lockdown fa acqua da tutte le parti, togliendo molto fascino all'intera opera. Sempre attivi e operativi, comunque, i comandi manuali che però evidenziano molte delle beghe che riguardano l'intelligenza artificiale dei proprio compagni, equiparabile solo a quella dei nostri nemici. Entrambe fortemente scriptate, le AI riservati ai personaggi giocanti di Lockdown faranno si che i nostri compagni si interpongano quasi puntualmente alla nostra "line of fire", con tanto di pesanti insulti in cuffia, e veda i nostri avversari non avvertire la nostra presenza ad un metro dai loro occhi o di mancarci clamorosamente da pochi passi.
Inutile dire, quindi, che con tali premesse Lockdown non risulti particolarmente gradevole o divertente da giocare. Inoltre, nel tentativo di abbracciare un pubblico che poco ha a che vedere con i tactical shooter, Ubisoft ha deciso di riservare alla serie Rainbow un approccio maggiormente arcade rispetto alla serie "parallela" Ghost Recon. Mentre in quest'ultimo, per esempio, il comandante della missione subirà i danni fisici riportati, rallentando il passo, o accusando pesanti ripercussioni sulla mira, in Lockdown le ferite riportate da Chavez non andranno in alcun modo ad influirie sulle sue attività militaresche. Solo quando si troverà ad un passo dalla fine, alcune crepe sulla sua visiera andranno in qualche modo ad infastidire la visuale. Una trovata più scenica che funzionale, che ha il pesante demerito di essere ovviamente poco credibile e altamente fastidiosa per l'andamento delle vostre operazioni.
Inoltre l'armamento a disposizione dei nostri soldati, da sempre punto d'onore della saga, è stato pesantemente limitato in termini numerici, dando però modo al giocatore di sbloccare nuovi e potenti armamenti grazie ai punti "Intelligence" che premieranno il nostro operato in base ai successi ottenuti e alle valigette reperite nel corse delle 14 missioni che rappresenteranno l'ossatura dell'intero gioco. Missioni che, per la prima volta, ci consentiranno anche di non impersonare Chavez, permettendoci di vestire i panni di un'infallibile cecchino chiamato a proteggere i movimenti del nostro team da una postazione adeguatamente al riparo dal fuoco nemico. Un buon tentativo, nel complesso, che però forse non ha ricevuto l'adeguato approfondimento concettuale che forse avrebbe meritato.
Largo uso, invece, dei gadgets tecnologici che se nei primi episodio andavano ad occupare preziosi slot dell'armamento di base dei nostri soldati (i giocatori erano chiamati per esempio a decidere se portare dietro una seconda arma o il rilevatore dei battiti cardiaci), in Lockdown faranno parte dell'assetto di base del kit da battaglia, facilitando il compito di un giocatore che potrà sapere con largo anticipo movimenti e posizioni dei propri avversari. Anche il versante tecnico di Lockdown appare sottotono rispetto a quanto visto, per esempio, in Ghost Recon 2 e relativa espansione, proseguendo nello stile artistico utilizzato anche in Rainbow Six 3, ma dimostrandosi incapace di evolversi in maniera significativa, come invece fatto dai "dirimpettai". Sempre ad ottimi livelli, invece, la mappatura del pad che risponde in maniera consona alle sollecitazioni e agli ordini da impartire ai nostri subordinati. Dove invece Lockdown riguadagna qualche punto a suo favore è nella modalità multiplayer, ancora una volta presente in grande spolvero, dove le nuove modalità di gioco previste si vanno ad aggiungere a quelle storicamente presenti da sempre. Il buon codice rete e l'elevata giocabilità del multigiocatore faranno sicuramente di questo nuovo episodio dei Rainbow uno dei titoli multiplayer più giocati fino ai nuovi titoli previsti per Xbox 360.
Il team Rainbow saluta l'attuale generazione di console (sarà difficile vedere un nuovo episodio su Xbox o Ps2), con il punto più basso dell'intera produzione. Il volersi affacciare ad un pubblico non più di nicchia, come quello affezionato ai tactical shooter, ha portato Ubisoft a porre troppo l'accento sulla seconda metà del termine con il diretto risultato che Lockdown prenda sempre più le distanze da quanto di buono visto in relazione a questo brand storico. Ed è un peccato.
Malgrado questo, però, Rainbow Six 3 riusciva ad avere abbastanza personalità e carisma per riuscire ad essere gradito anche dai più irriducibili fan, nella speranza che il nuovo corso della serie potesse, in futuro, riguadagnare qualche nuovo approccio capace di accontentare chi da un tactical shooter apprezza maggiormente la prima parte della definizione, lasciando invece il "grilletto facile" a chi di competenza. Inutile dire che Lockdown dimostra come la famiglia "allargata" del mondo delle console mal si adatta ad acogliere i profughi del tactical shooting della vecchia scuola Red Storm, regalandogli un nuovo capitolo di una serie che inizia ad evidenziare una profonda crisi d'identità.
Certo, i tratti caratteristici delle classiche opere di Clancy ci sono tutti, a partire dalla solita trama elaborata e sofisticata, capace di relazionare governi e terroristi in svariate parti del mondo come solo l'ex assicuratore di Baltimora sa fare. C'è il solito Dingo Chavez al comando del manipolo dei Rainbow chiamato a sventare l'ennesima minaccia planetaria e c'è il rinnovato sistema di gioco che dal terzo episodio della serie in poi (il primo ad apparire anche su Xbox), ha sostituito il collaudato gameplay "team based" che aveva invece contraddistinto le primissime produzioni. Ding contro tutti, quindi, ancora una volta. Ucciso lui, fine dei giochi e tutti a casa. Un buon equilibrio, quindi, tra azione solitaria e subordinata ai vostri compagni di team avrebbe dovuto essere il perno centrale di questa nuova produzione affidata alle sapienti mani di Ubisoft Montreal.
Il condizionale, però, è d'obbligo perché stavolta il team "arcobaleno" sembra presentare più ombre che luci. Il sistema di comando vocale, così ben implementato nel primo episodio (seppure con ampi margini di miglioramento), in Lockdown fa acqua da tutte le parti, togliendo molto fascino all'intera opera. Sempre attivi e operativi, comunque, i comandi manuali che però evidenziano molte delle beghe che riguardano l'intelligenza artificiale dei proprio compagni, equiparabile solo a quella dei nostri nemici. Entrambe fortemente scriptate, le AI riservati ai personaggi giocanti di Lockdown faranno si che i nostri compagni si interpongano quasi puntualmente alla nostra "line of fire", con tanto di pesanti insulti in cuffia, e veda i nostri avversari non avvertire la nostra presenza ad un metro dai loro occhi o di mancarci clamorosamente da pochi passi.
Inutile dire, quindi, che con tali premesse Lockdown non risulti particolarmente gradevole o divertente da giocare. Inoltre, nel tentativo di abbracciare un pubblico che poco ha a che vedere con i tactical shooter, Ubisoft ha deciso di riservare alla serie Rainbow un approccio maggiormente arcade rispetto alla serie "parallela" Ghost Recon. Mentre in quest'ultimo, per esempio, il comandante della missione subirà i danni fisici riportati, rallentando il passo, o accusando pesanti ripercussioni sulla mira, in Lockdown le ferite riportate da Chavez non andranno in alcun modo ad influirie sulle sue attività militaresche. Solo quando si troverà ad un passo dalla fine, alcune crepe sulla sua visiera andranno in qualche modo ad infastidire la visuale. Una trovata più scenica che funzionale, che ha il pesante demerito di essere ovviamente poco credibile e altamente fastidiosa per l'andamento delle vostre operazioni.
Inoltre l'armamento a disposizione dei nostri soldati, da sempre punto d'onore della saga, è stato pesantemente limitato in termini numerici, dando però modo al giocatore di sbloccare nuovi e potenti armamenti grazie ai punti "Intelligence" che premieranno il nostro operato in base ai successi ottenuti e alle valigette reperite nel corse delle 14 missioni che rappresenteranno l'ossatura dell'intero gioco. Missioni che, per la prima volta, ci consentiranno anche di non impersonare Chavez, permettendoci di vestire i panni di un'infallibile cecchino chiamato a proteggere i movimenti del nostro team da una postazione adeguatamente al riparo dal fuoco nemico. Un buon tentativo, nel complesso, che però forse non ha ricevuto l'adeguato approfondimento concettuale che forse avrebbe meritato.
Largo uso, invece, dei gadgets tecnologici che se nei primi episodio andavano ad occupare preziosi slot dell'armamento di base dei nostri soldati (i giocatori erano chiamati per esempio a decidere se portare dietro una seconda arma o il rilevatore dei battiti cardiaci), in Lockdown faranno parte dell'assetto di base del kit da battaglia, facilitando il compito di un giocatore che potrà sapere con largo anticipo movimenti e posizioni dei propri avversari. Anche il versante tecnico di Lockdown appare sottotono rispetto a quanto visto, per esempio, in Ghost Recon 2 e relativa espansione, proseguendo nello stile artistico utilizzato anche in Rainbow Six 3, ma dimostrandosi incapace di evolversi in maniera significativa, come invece fatto dai "dirimpettai". Sempre ad ottimi livelli, invece, la mappatura del pad che risponde in maniera consona alle sollecitazioni e agli ordini da impartire ai nostri subordinati. Dove invece Lockdown riguadagna qualche punto a suo favore è nella modalità multiplayer, ancora una volta presente in grande spolvero, dove le nuove modalità di gioco previste si vanno ad aggiungere a quelle storicamente presenti da sempre. Il buon codice rete e l'elevata giocabilità del multigiocatore faranno sicuramente di questo nuovo episodio dei Rainbow uno dei titoli multiplayer più giocati fino ai nuovi titoli previsti per Xbox 360.
Il team Rainbow saluta l'attuale generazione di console (sarà difficile vedere un nuovo episodio su Xbox o Ps2), con il punto più basso dell'intera produzione. Il volersi affacciare ad un pubblico non più di nicchia, come quello affezionato ai tactical shooter, ha portato Ubisoft a porre troppo l'accento sulla seconda metà del termine con il diretto risultato che Lockdown prenda sempre più le distanze da quanto di buono visto in relazione a questo brand storico. Ed è un peccato.