Rainbow Skies, autoironia nociva – Recensione Switch
La recensione della riedizione per Nintendo Switch del JRPG uscito nel 2018 su console Sony, sequel di Rainbow Moon
In gergo “tecnico”, grindare significa ripetere più e più volte un'azione in particolare per raggiungere un determinato obiettivo, vuoi salire di livello, accumulare risorse, ottenere un trofeo o chissà cos’altro. Volenti o nolenti, è parte integrante dell’esperienza di numerosi titoli; alcuni gestiscono il tedio meglio di altri, così come alcuni giocatori lo digeriscono meglio di altri, ma sono abbastanza sicuro che a nessuno piaccia davvero come attività, in senso lato.
E se invece un intero gioco si basasse sul grinding? Se ogni singola meccanica fosse accompagnata da una barra dell’esperienza da riempire, e tutto il resto un pensiero lontano? È il piano malvagio ordito dagli sviluppatori di SideQuest Studios (e già il nome la dice lunga NdR) e il publisher EastAsiaSoft con il loro Rainbow Skies, JRPG già uscito nel 2018 su PS3, PS4 e Vita, e ora al debutto su Nintendo Switch. Qui c’è materiale sufficiente per centinaia di ore; avremo la pazienza per raggiungerle?
Quella di Rainbow Skies non è una storia da prendere sul serio, è una cosa che viene messa in chiaro sin dalle prime battute: i protagonisti si scornano a ogni occasione, battute fuori campo e rotture della quarta parete sono all’ordine del giorno, e non mancano continui riferimenti al genere e al prequel (Rainbow Moon).
Il titolo vuole quindi proporsi come una parodia dei JRPG, e alcuni scambi sono anche piuttosto spassose con il loro piglio farsesco, ma il copione tende a fossilizzarsi un po' troppo sulle gag, dimenticandosi che c’è uno spettatore al di là dello schermo che gradirebbe andare avanti con la sua vita. Hai ridicolizzato il momento; bene, non continuare il battibecco, non insistere sullo stesso punto, e soprattutto non ripetere la stessa, identica solfa 5 minuti dopo. C’è potenziale, ma il gioco è spesso impegnato a deridersi da solo per rendersene conto.
Il gameplay a sua volta attinge agli stereotipi del genere per confezionare un’esperienza tanto sui generis nella forma quanto esasperata nei modi. Se traete grandi soddisfazioni nel vedere numeri a schermo salire e non vi dispiace sporcarvi le mani per spingervi sempre più in alto, Rainbow Skies fa al caso vostro.
Dopo un incipit narrativo tutto sommato intrigante, ha inizio la lunga sequenza di fetch quest che compone l’ossatura dell’esperienza. Che si tratti della trama principale o di missioni secondarie, Rainbow Skies si diverte a rimpallare il party da una parte all’altra dell’enorme mappa di gioco; una scusa come tante per obbligarci a viaggiare, uno dei punti cardine del genere RPG; tuttavia, al titolo SideQuest Studios mancano personaggi e vicende in grado di stimolare il giocatore.
Sì, può andarmi bene di raccogliere oggetti, far fuori mostri ed esplorare caverne, è un’arte che pratico da decenni, ma qui solo perché me l’ha chiesto tizio X, che mi preclude l’accesso al posto Y; non ne avrei motivo altrimenti, non c’è nulla a legarmi ai luoghi visitati (locande e negozi permettendo, ma solo in termini di mera funzionalità), e azzarderei che al gioco la cosa interessi ancora meno che al sottoscritto; gli serve giusto un pretesto per darmi qualcosa da fare. Senza contare che mi risparmierei volentieri le chiacchiere a vuoto del trio di protagonisti.
Di base non si “vive” la storia, ci si limita a macinare richieste e a spuntarle dall’elenco, e il sentimento non cambia granché quando si approcciano gli scontri; non ce ne sono di casuali se non altro. Il sistema di combattimento adotta una formula SRPG a turni in stile Final Fantasy Tactics, estremamente elaborato sulla carta, con dozzine di meccaniche stratificate e spiegate anche piuttosto bene tramite appositi tutorial (che di nuovo si perdono ogni volta per ricordarci quanto Damion sia una capra e Layne un bacchettone, ma l’esposizione è molto esaustiva), quanto claudicante nell'esecuzione.
Ogni singola abilità guadagna esperienza e sale di livello, fino a 200 volte, incrementando danni, area d’impatto, probabilità di successo e durata degli effetti secondari, oppure sbloccandone di nuove, e il ciclo ricomincia; ogni livello guadagnato dai personaggi espande invece l’albero (lista?) dei talenti, in cui investire le gemme accumulate in battaglia per accrescere le statistiche che preferiamo.
C’è poi un intricato sistema di potenziamento e trasformazione dell’equipaggiamento, basato a sua volta sul far salire di livello armi, armature ed accessori e combinandoli in seguito con determinati materiali, trovati in giro o dalle spoglie dei nemici (e a quanto pare talmente criptico che persino il gioco suggerisce di salvare prima di sperimentare); e addirittura un’intera branca dedicata alla cattura e all’allenamento dei mostri, da schierare in campo come alleati. Ogni creatura del bestiario può “donarci” il suo uovo, che potremo schiudere e aggiungere alla squadra, con tanto di libri di abilità, attrezzatura assortita e parametri da sviluppare; un ingranaggio extra nella macchina del grind (da ripetere per ciascun membro).
Di carne al fuoco ce n’è a vagonate, peccato sia fine a sé stessa per via della pessima IA. L’unico modo per un gruppo di mostri di impensierire il giocatore è sciamare in grandi numeri (e può capitare di ritrovarsene contro dai 15 ai 20); per il resto si limitano a muoversi alla rinfusa, attaccando il bersaglio a tiro più vicino e pestandosi i piedi a vicenda. Creare un “ingorgo” e incanalarli è molto semplice, dopodiché è sufficiente randellarli uno dopo l’altro, eliminando spiragli e vie di fuga con il loro stesso loot.
In pratica ci si impegna a far salire di livello le varie abilità (consumando nel processo quantità industriali di pozioni del mana) per levarseli di torno il prima possibile e ridurre la durata dei turni (a tal proposito, fatevi un favore e disattivate le animazioni), e non perché serva chissà quale vantaggio tattico per spuntarla; un dettaglio abbastanza deprimente, specie riflettendo su chissà quante strategie si potrebbero ordine mettendo le mani su centinaia di creature diverse. E da fan di Pokémon ne so qualcosa.
Non aiuta la presentazione, con modelli dal design caricaturale bruttini, sebbene piuttosto dettagliati (nel loro piccolo), mappe che credo cerchino di tradurre in 3D le fattezze di quelle dei classici JRPG 2D, fallendo, animazioni legnose, ma non senza fantasia, ed effetti sonori composti perlopiù da grugniti, suoni gutturali e voci sotto effetto di elio. Le musiche però non sono affatto male, glielo concedo; di ruolo, ma funzionali.
Versione Testata: Switch
Voto
Redazione
Rainbow Skies
È difficile consigliare Rainbow Skies, se non ai fan più accaniti dei JRPG (preferibilmente del filone NIS), che per qualche motivo sono rimasti a secco su una console come Switch, stracolma di GDR di rilievo. In termini di gameplay, il titolo SideQuest Studios vanta basi potenzialmente solide; c’è una marea di “busy work” tedioso e pretestuoso, tuttavia la pratica non sarebbe così malvagia se il nostro vagabondare a caccia dell’ennesimo level up fosse condito da figure carismatiche o sviluppi interessanti. Così purtroppo non è, e anzi Rainbow Skies fa di tutto per alienare il giocatore dal contesto, rendendo l’esperienza vuota e soporifera, pregna di contenuti ma priva di personalità. Sappiamo per certo che lì fuori c’è qualcuno a cui farà impazzire il suo approccio e la sua copiosa offerta, e allora quel qualcuno potrà imbarcarsi per un viaggio lungo decine, forse centinaia di ore. Noi già dopo un paio ne avevamo piene le tasche...