Rayman DS

di Antonio Norfo
Rayman, per gli appassionati europei del medium elettronico e del genere, incarna una sorta di vanto; capace com'è di non tracciare un disavanzo (altrove, per qualità prettamente ludiche, abissale) con il blasone d'altre creazioni extracontinentali. Presente al recente lancio nostrano del nuovo portatile Nintendo, il titolo in analisi altro non è che la riproposta del secondo capitolo della serie (nonché approdo alle tre dimensioni della stessa): un gioco, "The Great Escape", distintosi un lustro circa fa per approvazione congiunta di critica specializzata ed utenza polipiattaforma (Dreamcast, Nintendo 64, Playstation, Pc). La cerca delle quattro maschere (necessarie al fine di risvegliare lo spirito del mondo: Polokus), dei mille "lum" gialli (parti dell'infranto Nucleo Primordiale) e delle imploranti genti ingabbiate da spregevoli corsari bio-meccanici ha pertanto nuovamente inizio.

Così il nostro eroe, senza arti ma dall'indomito coraggio, è pronto dopo aver salvato sé stesso a fare altrettanto col suo colorato, ben musicato mondo. Egli si avvale dell'aiuto di amici e di un novero d'azioni discretamente variegato, considerate le facoltà di planare sfruttando il ciuffo ribelle (doppio tocco di B), di nuotare ed immergersi (e però razionando il respiro), di aggrapparsi a sporgenze e scalare reti, ragnatele, piante e simili pareti. Nel corso dell'avventura l'occhiuto essere figlio di Michel Ancel si scontrerà giocoforza con nemici di diverse fattezze (inclusi i boss, da raggirare apprendendo rapidamente i rispettivi pattern) e sarà basilare, oltre che l'offesa a base di bolle magiche, muoversi con costanza lateralmente e verso l'alto tenendo premuto il dorsale destro (garante in tal modo di uno pseudo-target). Come in Super Mario 64 DS, così in Rayman DS il sistema di controllo analogico è stato adattato alle funzionalità tattili della macchina la quale, nello schermo inferiore, dà modo di allocare il puntatore e di giovare del relativo laccetto. I risultati tuttavia non sono i medesimi in termini di qualità ed immediatezza. La leva che ne deriva ha il pregio indiscusso di superare in fruizione la croce direzionale, scomoda almeno nel far muovere Rayman con i propri piedi (nei momenti simil racing, invece, risulta più agibile e potrebbe promuovere all'uopo l'alternanza). D'altra parte gli si affianca un grave difetto (trascendendo pure dalla ovvia preferenza del sistema originario): ci vuole infatti del tempo per padroneggiare nella maniera più accettabile possibile (si badi, non più precisa) tanto la locomozione quanto le evoluzioni ginniche. Non si scoraggi eccessivamente l'utente davanti ai primi attimi d'incertezza, ma prendendo come campo d'allenamento una zona sufficientemente ampia e sicura da virtuamorte, sensibilizzi la falangetta del pollice (potenzialmente, per i mancini, vi è anche lo stilo) con le direzioni da impartire all'alter-ego.


A differenza del testé citato porting del baffuto idraulico, peraltro, il lavoro Ubisoft in questione è orfano di aggiunte che promuovano le forze concettuali e pratiche della console ospitante, pur non mancando in incentivi per giustificare l'esperienza. Anzitutto è insita nel codice una buona mole di segreti, invero ben celati (una cura che genericamente è messa troppo spesso in disparte); parimenti il numero delle aree esplorabili non delude (il back tracking è contemplato più per prendere quanto in precedenza si sia abbandonato che per altro) con anche un level design mai anonimo (per quanto sia semplice e non costante per ingegno dispensato). Ad appannaggio della varietà ludica, inoltre, si trovano frammenti ispirati a generi sportivi, con ad esempio una sorta di scii nautico (si è in verità trainati da un serpente e ben saldi alla sciarpa di quest'ultimo) o di skate (Rayman scivola e salta su superfici lisce ed inclinate). A tal proposito meritano di menzione le fantomatiche sessioni "trial & error", complementari il più delle volte a frustrazioni ben denotabili (ad esempio nel cavalcare quelle "simpatiche" bombe-razzo di color giallo che al minimo urto trapassano ad altra vita, trascinando ovviamente con sé il cavaliere). Fortuna che gli autosalvataggi abbondino (per salvare definitivamente su Game Card i propri progressi occorre comunque uscire dal livello di turno, o completandolo o raggiungendo il punto d'avvio, per poi recarsi alla mappa principale) e che i giocatori più navigati ed abili sapranno destreggiarsi alla meglio. Ma quelli meno pazienti? Nella tutela di tutti, Gamesurf avverte.

Tra balzi, liberazione degli oppressi e sfere magiche da collocare sopra appositi piedistalli la domanda sorge spontanea e la risposta è stata implicitamente già data: è il platform tridimensionale affidato alle cure dei Dc Studios apprezzabile tanto oggi quanto lo era nel 1999-2000? A causa di pecche strutturali e per via del rammarico dovuto al mancato "di più" esso si dimostra inferiore alla controparte dell'anno zero (si considerino anche, controbilanciate da una buona texturizzazione, la maggiore opacità su schermo e l'altalenante fluidità nel passare da un ambiente chiuso ad uno aperto). Eppure, ad una sfida sempre assidua il fruitore potrà rispondere in tranquillità con un sì, specialmente se quel X giocatore non avesse mai avuto modo di provare in precedenza la formula magica di "The Great Escape".