Ready or Not, recensione: un ritorno in grande stile per lo sparatutto tattico
La recensione del videogioco
Ready or Not impone al giocatore un cambio di percezione, atteggiamento e fruizione mica da poco. Abituato, com'è, alle frenesie multiplayer degli FPS competitivi o alla coreografata spettacolarità delle campagne in singolo, potrebbe avere serissimi problemi nel relazionarsi con una produzione che invece di tutto questo non ha assolutamente niente. E questo è quasi un paradosso, pensando che c'è stato un periodo della storia dello sparatutto in prima persona nel quale era proprio la sua declinazione più tattica, la stessa alla quale il gioco di VOID Interactive appartiene, quella di maggior mercato. Certo, stiamo parlando di vent'anni fa, eppure il ricordo dei primi tre Rainbow Six, di Ghost Recon, di Swat 3 e 4, ma anche di altri, meno celebrati, è ancora vivissimo.
Memorie che non hanno prodotto lasciti, purtroppo. Se non per sporadiche eccezioni, mai all'altezza dei citati per un motivo o un altro, il genere è praticamente sparito. Pontificare sulle motivazioni di tale oblio, perlopiù riconducibili a un cambiamento nei gusti dei giocatori e alla conseguente cambio di rotta da parte degli sviluppatori, sarebbe anche interessante, ma farlo qui rischierebbe di sviare l'attenzione dal focus del discorso, ovvero che Ready or Not è un gran bel gioco. Con alcuni aspetti ancora da sistemare, ma assolutamente all'altezza dei più alti riferimenti dello shooter tattico.
Ready or Not, il ritorno dell'FPS tattico
Ready or Not potrebbe tranquillamente chiamarsi Swat 5 e nessuno potrebbe avere alcunché da ridire, tale è il debito nei confronti della serie dell'allora Sierra Entertainment. In questa affermazione non c'è alcuna volontà di sminuire l'operato del team di VOID Interactive, quanto piuttosto il contrario: è vero che fa affidamento su meccaniche e dinamiche di gioco similissime e quindi collaudate, persino su un'ambientazione quasi identica, ma lo fa benissimo, aggiornandole a una modernità visibile sopratutto nell'intelligenza artificiale di poliziotti e criminali.
Ma andiamo con ordine. In Ready or Not si guida una squadra d'assalto dello Special Weapons and Tactics della polizia di Los Sueños (classica riproduzione fittizia di una città californiana), attraverso una serie di missioni (ben 18) ad alto rischio. La progressione è articolata attraverso una campagna dai toni piuttosto vaghi, con i soli briefing delle missioni a fornire una sorta di background narrativo. Alcune delle missioni sono collegate tra loro, altre no, ma in generale manca un collante che renda i vari incarichi un qualcosa di coeso e organico. Uno scialbissimo sistema di progressione degli operativi, per il quale sbloccano certi bonus dopo alcune missioni, prova a dare un minimo di profondità alla campagna, ma fallisce miseramente, e veramente non c'è alcuna differenza con l'affrontare le varie missioni singolarmente, nella modalità apposita.
È un difetto trascurabile, all'atto pratico, perché il cuore della produzione risiede nella ludica più stretta, nel momento in cui si leva la sicura alle armi e la squadra tattica arriva nella zona operativa. Da lì, occorre ragionare su ogni singolo movimento, immaginare i vari scenari possibili e solo in ultimo ricorrere all'utilizzo della forza. Affrontare le missioni solo ad armi spianate significa fallire, perché l'impostazione è decisamente realistica: i nemici sono svegli e le pallottole uccidono subito. Ecco quindi come, nei panni del comandante dell'unità, gli altri quattro operativi vadano gestiti in maniera sapiente, utilizzando la loro dotazione e l'acume strategico per venire a capo di ogni evenienza. Il che non si traduce (solo) nel neutralizzare ogni criminale, ma in salvare ostaggi, disinnescare ordigni, individuare prove e tutta quella serie di situazioni che l'apprezzabile varietà di ambientazioni e contesti porta in dote.
Sparare non è la prima opzione
Sparare non è mai, davvero mai, la prima opzione. Non solo perché, banalmente, prima di esplodere un colpo va intimato a un sospetto di arrendersi (a meno che non ci si trovi già sotto il suo fuoco), ma soprattutto perché si tratta di un approccio poco fruttifero. Meglio utilizzare specchietti per guardare sotto le porte, sbirciare da una porta prima di spalancarla, far saltare in aria quelle serrate, preparare un'irruzione con granate abbaglianti, fumogeni o dispositivi non letali, muoversi coprendo ogni singolo angolo e, in generale, tutto quello che la tattica richiede. Basta venire meno anche solo una volta a questi dettami e si viene puniti, in maniera crudele ma mai scorretta.
La sensazione di tensione che si prova nelle missioni è quindi quasi opprimente. Tutto è lento e ragionato, fino a quando non si incontra un sospetto o esplode una furiosa sparatoria. Nel bel mezzo dell'azione non bisogna mai perdere la lucidità, e in questo per fortuna si viene aiutati da due cose: un sistema di impartizione degli ordini immediato e funzionale e un'intelligenza artificiale degli operativi molto efficace. La gestione della squadra è delegata a dei comandi contestuali, che cambiano a seconda di ciò che si ha nel mirino (nel caso di una porta, l'apertura, di un sospetto, di ammanettarlo, di una trappola, di disinnescarla) e a un menù con scorciatoie rappresentate dai tasti numerici: esattamente lo stesso, ottimo sistema di Swat 3 e 4. I compagni rispondono benissimo agli ordini, anche con una certa discrezionalità (una volta ripulita una stanza procedono al controllo e all'eventuale messa in sicurezza di ostaggi, sospettati e prove), e saperli usare è ai fini del successo molto più importante del saper sparare.
Non che utilizzare le bocche da fuoco sia poco interessante, tutt'altro. Ready or Not mette a disposizione un arsenale vastissimo, tra fucili d'assalto, pistole, mitragliette, fucili a pompa e altro ancora. Mancano purtroppo delle statistiche che rendano la scelta maggiormente circostanziata, e allora occorre andare un po' a naso (i calibri maggiori assicurano maggiore penetrazione, le mitragliette sono più precise e così via), ma quando utilizzata ogni arma ha un comportamento diverso dall'altra. Il tutto sempre all'insegna del realismo, quindi precisione che molto risente del movimento ed elevato rinculo.
Se l'esperienza da FPS tattico è quindi di elevata qualità e senza particolari criticità lo stesso purtroppo non si può dire dalla componente tecnica. Intendiamoci, Ready or Not non è assolutamente brutto da vedere o particolarmente problematico: non è sicuramente un gioco che svetta nell'estetica, ma texture, modellazione e, soprattutto, illuminazione sono di apprezzabile qualità. È, però, ottimizzato male, come evidenzia soprattutto un frame rate molto ballerino, poco influenzato dai settaggi grafici utilizzati. Inoltre, determinate opzioni rimangono attive anche se deselezionate, o viceversa. Ci auguriamo che queste problematiche, certo minori, ma comunque inficianti l'esperienza complessiva, siano risolte già al lancio.