Recensione Ancestors: The Humankind Odyssey

Viaggio alle origini dell'umanità

Recensione Ancestors The Humankind Odyssey

L'origine dell'Uomo rappresenta un tema che non ha mai ricevuto grande considerazione da parte del mondo dei videogiochi. Su questo terreno inesplorato muove i suoi primi passi Panache Digital Games, studio canadese fondato nel 2014 da Patrice Désilets, game designer ex Ubisoft salito alla ribalta per aver contribuito ai natali della serie Assassin's Creed e a Prince of Persia: The Sands of Time.

Ancestors: The Humankind Odissey si propone di ripercorrere lo sviluppo della nostra specie lungo un arco di tempo che, partendo da dieci milioni di anni fa, si protrae per circa otto milioni di anni: il periodo interessato è dunque quello precedente alla comparsa del genere Homo, al quale ovviamente appartiene l'odierno Homo Sapiens (apparso sulla Terra "solo" un paio di centinaia di migliaia di anni or sono).


Nelle fasi iniziali, verremo calati in un non precisato punto della giungla africana, in particolare nel covo di un clan di ominidi. Lo scopo sarà quello di dare continuità alla sua progenie e di farlo evolvere nei millenni, possibilmente ad un ritmo più veloce rispetto a quello che si è storicamente verificato sul nostro pianeta. Le istruzioni ricevute si fermano qui: non vengono fornite esaurienti indicazioni circa le modalità di questa evoluzione o la gestione del gruppo sociale. Non solo: nemmeno le azioni da compiere nell'immediato godono di una spiegazione soddisfacente. Insomma, il giocatore viene volontariamente tenuto all'oscuro dei meccanismi che regolano il mondo, per costringerlo alla condizione di dover scoprire da sé ogni benché minima cosa. Questo approccio risulta molto spiazzante, ma centra efficacemente il suo obiettivo, ossia mostrare la realtà attraverso gli occhi di una creatura che non conosce nulla.

L'ominide che si impersona è dunque chiamato ad apprendere per via empirica tutte le informazioni necessarie a cavarsela. Ogni oggetto incontrato rappresenta una novità, che andrà preliminarmente analizzata, quindi adoperata in qualche modo per afferrarne il funzionamento: nel caso sia un tipo di cibo, ad esempio, semplicemente si assaggia e si verifica che effetto abbia. Nel caso, invece, che l'oggetto costituisca un qualche tipo di utensile o di materiale da costruzione, la situazione si complica decisamente: per carpirne i segreti occorre maneggiarlo, spesso pure modificarlo, magari per mezzo di qualche altro oggetto. Non pensate che "modificare" si riduca alla misera pressione di un apposito tasto, il procedimento è molto più arzigogolato... Per chiarire l'idea, citiamo i passaggi svolti in una sequenza apparentemente elementare, come quella di ricavare un'arma acuminata da un ramo d'albero.


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Interagire coi cuccioli è indispensabile per attivare lo sviluppo intellettivo

Si parte dunque dal ramo, che va privato delle fronde sfoltendolo a mani nude, applicando una forza non eccessiva (altrimenti si spezza), né troppo lieve. Si ottiene un bastone, che andrà affilato tramite una scheggia di ossidiana; anche qui, occorre applicare la giusta forza. Presupposto fondamentale all'operazione è quello di aver scoperto l'ossidiana (perché, è bene ribadirlo, TUTTO va scoperto) e averla a sua volta trasformata in uno strumento tagliente. Ogni passaggio richiede diversi tentativi prima di andare a buon fine, nonché una piccola dose di ragionamento: si può considerare l'attività alla stregua di una peculiare categoria di puzzle ambientali, dei quali Ancestors è ricolmo. Ne scaturisce una interazione che, se ad uno sguardo superficiale potrebbe sembrare limitata, dopo aver saggiato queste vicissitudini si rivela invece più profonda, capace di appagare anche col più minimo dei risultati, perché conseguito con difficoltà.

Quando ci si è finalmente assicurati il bastone appuntito, dopo tutta la fatica fatta, il colmo è che l'ominide non sa nemmeno che farsene! Non basta infatti acquisire conquiste meramente fisiche; anche quelle mentali esigono il loro tributo. I nostri antenati, nelle battute iniziali, si dimostrano decisamente inetti, ignorando concetti che il giocatore tende a dare per scontati. Bisogna armarsi di pazienza e coltivare un lento sviluppo intellettivo, che nella pratica si compie accedendo ad uno skill tree che ha l'aspetto di una mappa neuronale. Le voci ivi contenute si suddividono in categorie come "comunicazione", "motricità" ecc... Che si ricollegano alle neuroscienze. Questo stile di raffigurazione del sistema di abilità, considerando il tema trattato, è certamente azzeccato.

Lo sviluppo cerebrale viene innescato da molteplici fattori: i movimenti, gli alimenti, i piccoli successi quotidiani con gli oggetti; la partecipazione alla vita del clan; i sensi, che offrono tre differenti piani di indagine, corrispondenti a vista, olfatto ed udito. Anche l'esplorazione della giungla, l'open world di Ancestors, riveste un ruolo importante nel processo. La vegetazione è caratterizzata da un dedalo di alberi altissimi, i cui infiniti rami si intrecciano a comporre una pluralità di vie percorribili. Sì, perché nel level design le strutture scalabili si impongono come caratteristica principe e gli ominidi, pur essendo terribilmente incapaci sotto ogni altro punto di vista, sfoggiano una eccezionale destrezza nell'arrampicarsi su ogni genere di parete. Una qualità che riecheggia l'esperienza di Désilets su Assassin's Creed, ma che stride se si osserva il contesto nel suo complesso.


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Il sonno della ragione genera mostri

Tuttavia, l'opportunità di salire "ai piani superiori" in fretta si dimostra assai preziosa, perché non appena ci si apre al mondo esterno si scoperchia il vaso di Pandora. Il suolo della foresta è dimora di ogni sorta di infido abitante, che non disdegnerà di attaccare il giocatore: cinghiali, serpenti, coccodrilli, felini enormi e cattivi. Anche se non dovessero riuscire a trasformarci nel loro pasto, gli animali ci lasceranno comunque un ricordo del loro incontro, sia un avvelenamento, una emorragia o qualche bell'osso rotto. Come se non bastassero i predatori, occorre prestare attenzione al ciclo sonno/veglia, all'approvvigionamento di cibo ed acqua, a non stancarsi, a non spaventarsi troppo, poi badare a non intossicarsi con sostanze non metabolizzabili, a non patire il freddo, a non farsi del male in qualche maniera sconosciuta... Ci si accorgerà presto che gli scimmioni sono bravi a morire quasi quanto a scalare. Qui Ancestors palesa finalmente la sua vera natura, che è quella di un survival piuttosto severo. Scordatevi dunque una esplorazione baldanzosa; quando si è a terra, ogni metro andrà battuto con la massima circospezione, perché potrebbe essere l'ultimo. Nella giungla si è obbligati ad incedere con cautela, chi non rispetta questa regola è destinato a perdere i membri della sua stirpe con disarmante facilità.

Solo dopo aver preso in debita considerazione tutti gli elementi fin qui riportati, ci si potrà dedicare alla progressione vera e propria. Il primo step della progressione è il Salto generazionale, un balzo in avanti di 15 anni a seguito del quale i cuccioli diventano adulti, gli adulti diventano anziani, e gli anziani, beh, volano al Paradiso degli ominidi, ammesso che ne esista uno. Il Salto non può essere effettuato a caso dal momento che, per funzionare, il gruppo deve mantenere il corretto equilibrio fra cuccioli e adulti: i cuccioli non possono esplorare, impediti dalla paura dell'ignoto mentre gli adulti, senza lo stimolo dei piccini, non beneficiano di sviluppo intellettivo. Insomma, per andare avanti il clan necessita di componenti di entrambe le età; un sistema di relazioni sociali (che ovviamente, come tutto il resto, è sconosciuto: sta al giocatore sbloccarlo un poco alla volta) permette di apportare correttivi come accogliere nuovi membri dall'esterno, o incentivare le nascite.


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Conduciamo i membri del clan in battaglia, per avere la meglio sul nemico... O per condannarli a morte

Il secondo step della progressione è l'Evoluzione. Qui ogni conquista fatta confluisce in uno strano sistema di contabilità, che attribuisce ad ogni traguardo tagliato un valore nell'ordine delle decine di migliaia di anni. Il calcolo in sé è abbastanza enigmatico, ma tutto sommato comprensibile se si considera che si tratta di un espediente per coprire in qualche modo la distanza degli otto milioni di anni. Il succo del discorso è che, quando si sceglie Evoluzione, il clan viene sparato nel futuro a centinaia di migliaia, se non milioni di anni. Occorre notare che alcuni dei progressi contenuti nello skill tree rischiano di andare perduti in corso d'opera, procurando una indesiderata regressione cerebrale. D'altro canto, al termine del processo si può manifestare una mutazione genetica spontanea, che donerà una abilità inedita.

Durante i caricamenti, Ancestors non manca di rammentarci che l'esperienza migliore sia garantita dall'uso del pad. Gamepad alla mano, però, il sistema di controllo pecca di macchinosità ed è tutt'altro che intuitivo. Anche dopo averci fatto l'abitudine, permane qualche imbarazzo in frangenti di vitale importanza, come quando si corre via da un nemico o ci si sposta da un ramo all'altro ad altezze vertiginose. In un videogame dove la morte è una presenza ingombrante che ci si vorrebbe scrollare di dosso, spiaccicarsi al suolo a causa dell'imprecisione dei comandi induce una certa frustrazione.

Il comparto visivo mostra luci e ombre. La giungla è dipinta in maniera adeguata, non farà gridare al miracolo ma è lussureggiante al punto giusto. Meno convincenti i modelli degli ominidi e degli animali, nonché le relative animazioni. Qualche lodevole soluzione stilistica arrichisce il paesaggio di tanto in tanto, come quando gli ambienti ignoti vengono raffigurati costellati di zanne e occhi minacciosi, a testimoniare il timore provato nell'affrontarli. L'interfaccia non è molto funzionale: in particolare, quando si ricorre ai sensi, lo scenario si carica eccessivamente di punti d'interesse (relativi alla miriade di oggetti sparsi per la mappa), dei quali peraltro non è resa chiaramente la collocazione spaziale. Qualche musica dal sapore tribale e qualche verso d'animale compongono un reparto sonoro abbastanza incolore.


Ancestors: The Humankind Odissey rappresenta un tentativo coraggioso di portare su schermo un soggetto che, almeno al primo impatto, non appare poi così attraente. Sembra voler insegnare al giocatore a non dare nulla per scontato, a conquistarsi ogni cosa con le proprie mani. La sua natura survival funziona, pur eccedendo talvolta in severità, perché non accetta compromessi e non ha paura di condurre al game over. Per arrivare a tale risultato, però, bisogna passare per una esperienza zeppa di difetti. Le azioni compiute sono troppo, troppo ripetitive, appesantite dalla formula trial and error adottata in fase di scoperta. La volontà di lasciare l'utente all'oscuro di tutto, se da un lato è una condizione fondamentale, dall'altro disorienta durante le prime ore e sfocia in parossismi che suscitano un sorriso, come quando si è costretti ad analizzare l'acqua del proprio rifugio prima di berla... Come se un ominide adulto non si fosse mai abbeverato in vita sua.

Se si è disposti ad accollarsi la stancante ripetitività, la relativa lentezza, più qualche inevitabile game over dovuto alla condizione di chi deve imparare tutto sulla propria pelle; se si ha la pazienza di insegnare ad un ominide a forgiare la propria arma, ad impugnarla ed a condurre i propri simili contro le fiere che popolano l'Africa preistorica, allora questo videogame potrà regalare belle soddisfazioni. Sono tanti "se", che la maggior parte dei giocatori probabilmente non avrà intenzione di sopportare. Però è innegabile che Ancestors abbia personalità, una sua spiccata originalità, che lo studio Panache abbia qualcosa da dire. Sta a noi decidere se voler ascoltare o meno.


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Questo è lo skill tree. Dal grande cerchio centrale si dipana la rete neuronale

Versione Testata: PC

7

Voto

Redazione

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Recensione Ancestors: The Humankind Odyssey

Ancestors è un videogioco molto particolare. Prevalentemente survival, un po' puzzle, con una spruzzatina di didattica. Tiene volutamente il giocatore all'oscuro delle sue meccaniche, lo spiazza, lo disorienta, col preciso intento di indurlo a fare tutto da sé, così come l'ominide dieci milioni di anni fa ha contato solo sulle proprie forze per sopravvivere. Non è una esperienza per tutti, scandita com'è dalle sue ripetizioni, le sue lentezze, gli inevitabili fallimenti. Non è un esperimento riuscito appieno; non ci ha convinto che il processo che ha portato l'uomo a brandire l'arma sia, in sé, affascinante come l'atto stesso di brandire l'arma. Però, in un mondo dove tutti si preoccupano solo di brandire l'arma, forse abbiamo anche bisogno di qualcuno che ci mostri le cose sotto una prospettiva differente.

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