Recensione Code Vein
Bandai Namco alla riscossa
Chi segue il genere degli action adventure in terza persona con forti influenze dal Sol Levante, sicuramente stava aspettando con ansia la pubblicazione di Code Vein, l’ultimo lavoro prodotto da Bandai Namco e sviluppato da Shift, gli stessi autori alle spalle di God Eater.
Da quest’ultimo franchise Code Vein prende libero spunto per alcuni elementi, cercando però al contempo di forgiare una propria anima capace di appassionare il giocatore con una storia avvincente e, perché no, anche impegnativa da portare a termine dall’inizio alla fine.
LA GRANDE ROVINA
Come spesso accade negli ultimi anni, anche questa volta ci troviamo alle prese con un’ambientazione settata in un improbabile futuro distopico, dove un evento chiamato “La Grande Rovina” ha praticamente distrutto la Terra, riducendola praticamente a un mondo senza vita dove gli ultimi sopravvissuti devono vedersela con i Caduti.
Al fine di arginare questo catastrofico avvenimento gli esseri umani hanno condotto degli esperimenti utilizzando la variante di un parassita, soprannominato BOR, che permette ai caduti di essere riportati in vita, purtroppo con qualche malus a corredo. I Redivivi, questo il nome di tali creature, diventano sì degli esseri immortali ma allo stesso tempo, purtroppo, devono nutrirsi di sangue per poter continuare a sopravvivere.
Qualora dovessero invece morire, finiscono per perdere una quantità di memoria randomica, una sorta di processo inesorabile che sembra in qualche modo spingerli a diventare degli esseri disumani, essenzialmente distaccati da ciò che rende l’essere umano capace di provare emozioni e mantenere ricordi.
La piccola soluzione al primo disastro non ha però risolto la situazione del mondo: purtroppo un terribile scontro contro la Regina, un nemico avvolto nel mistero, ha provocato la creazione della Foschia Rossa, una particolare barriera che blocca umani e redivivi all’interno di un carcere senza sbarre, dove i secondi sono costretti a procacciarsi il sangue grazie allo sfruttamento del Vischio, che generando gocce di sangue può permettergli di mantenere la propria anima intatta.
Qualora non riescano a rimediare questa risorsa, finiscono purtroppo per trasformarsi in Corrotti, praticamente dei berserker incapaci di intendere e di volere, pronti a uccidere qualsiasi cosa si muova per reperire del nutrimento.
In questo setting purtroppo non così roseo come oseremmo aspettarci (per un futuro qualsiasi eh) entriamo in gioco noi come Redivivi, completamente sprovvisti di memoria però in possesso di una dote straordinaria, ovvero quella di poter purificare il miasma e rianimare i Vischi. Questa si rivela essere chiaramente solo la punta dell’iceberg “titanico” visibile sul livello del mare e il consiglio, evitando qualsiasi tipologia di spoiler, è quello di andare a fondo nell’opera perché il lavoro svolto dagli autori si è rivelato piuttosto avvincente, ordinato anche piuttosto articolato (soprattutto se guardiamo anche le storie secondarie).
NON CHIAMATELO SEMPLICEMENTE SOULSLIKE
Dopo il primo approccio ci si accorge che Code Vein, al netto dell’etichettatura superficiale, è molto più di un “semplice” soulslike (il virgolettato è d’obbligo visto che è un genere creato ad hoc per farci chiamare a raccolta tutto il calendario gregoriano). Diciamo che si tratta più di un action RPG in terza persona che possiede al suo interno alcune delle meccaniche del genere suddetto, che vengono in qualche modo inserite con parsimonia cercando di creare un’offerta punitiva, ma non troppo, hardcore nella difficoltà, ma non troppo, insomma un ibrido che vuole guardare in quella direzione mantenendo però una propria appartenenza.
Grazie a questa promiscuità troviamo quindi una serie di elementi appartenenti a uno dei due mondi, tipologia di attacchi, dodge, moveset dei nemici, vita e gestione del vigore, mentre dall’altro vediamo inserite delle mosse nuove contestualizzate e anche piuttosto gratificanti da mettere in atto. Una di queste, ad esempio, è una sorta di finisher che il personaggio porta a termine utilizzando il proprio arto demoniaco, facendo però partire una piccola animazione che ne blocca il movimento, scoprendolo a qualsiasi attacco degli altri avversari.
Importante quindi pianificare ogni mossa proprio come nei soulslike, sebbene a differenza di quest’ultimi il combat system subisce una variazione importante, offrendo al giocatore la possibilità di cambiare classe a seconda dell’utilizzo dei codici sanguigni.
In pratica il nostro alter ego non ha solo perso la memoria, ma anche il suo codice primario, quindi non avendone più uno suo ne può assimilare quanti ne vuole, diventando quindi il perfetto ricettacolo adatto per ogni occasione. Dimenticatevi quindi le “odiose” build di Bloodborne o Dark Souls, scandite chiaramente dalla spesa di punti caratteristica ad ogni level up, e accogliete questo sistema adattivo capace di facilitarvi il combattimento quando necessario.
Una zona, o una boss fight, potranno risultare più semplici cambiando il codice in dotazione, magari sacrificando una build bilanciata a favore di una più potente in mischia, tipo il berserker, micidiale sul corto raggio, oppure il cacciatore che invece può dire la sua dalla distanza. Essendoci più di venti codici a disposizione, da intervallare a nostro piacimento, capite bene che potete davvero divertirvi come meglio preferite.
Tra l’altro il sistema di gioco favorisce un ricambio dinamico dei codici sanguigni, così da avere la possibilità, utilizzandoli, di poter sbloccare dei particolari Doni sottoforma di bonus e/o abilità da utilizzare durante il combattimento. Ognuno di questi rientra nell’ordine standard di suddivisione tra passivo e attivo, ma è veramente interessante poter constatare la mole di vantaggi acquistabili con il tempo, proprio perché il nostro alter ego può equipaggiare fino a quattro doni passivi e attivi, accedendo paradossalmente a un vero e proprio caleidoscopio di combinazioni pronti a renderci delle vere e proprie macchine da guerra.
La stessa cura è stata riposta dagli sviluppatori nella caratterizzazione dell’inventario. Il nostro personaggio può infatti indossare dei veli (armature) a seconda delle situazioni e quest’ultimi offrono al nostro alter ego resistenze agli status alterati, accompagnati anche da cambiamenti importanti relativi a punteggi caratteristica ed efficacia dei doni.
Abbiamo parlato di soulslike in perfetta armonia con la componente meno hardcore degli action in terza persona, e in relazione a questo ci sembra più che doveroso menzionare la presenza del compagno di avventura, praticamente un avatar guidato dall’intelligenza artificiale (o da un giocatore online qualora posizioniate la classica richiesta di soccorso) che ci accompagna fedelmente aiutandoci a compiere la nostra impresa. La presenza di questa aggiunta non sembra per nulla invasiva, anzi, permette ai giocatori di affrontare ideologicamente il gioco con un po’ più di leggerezza, senza esagerare però visto che andando avanti l’asticella della difficoltà tende lievemente ad alzarsi (lo vedrete durante le boss fight!!).
Gli amanti delle sfide potranno iniziare il gioco anche senza questo aiuto, ma per una prima run se vi volete un po’ bene non rinunciateci.
POLIGONI AL SANGUE
Tecnicamente il gioco non nasconde le proprie magagne sotto al tappeto, mostrandoci in più occasioni delle sbavature tecniche che fortunatamente non rovinano l’esperienza di gioco. La grafica un po’ anime aiuta a non stare troppo dietro a questi elementi di disturbo, anche perché il framerate anche su PlayStation 4 standard non sembra ballare quasi mai, garantendo un’esperienza fluida che perde mordente solo dopo sessioni molto lunghe di gioco (parlo per la mia console, che sta cominciando a dare forfait).