Recensione Death Stranding
L'opera autoriale di Hideo Kojima che rivoluzionerà il mondo dei videogames
“La vita non è molto diversa dalla morte, se si decide di vivere soli”
Se proprio volessimo, Death Stranding potrebbe riassumersi in questa semplice frase. Ma per fortuna il gioco di Hideo Kojima riesce a dare molto di più. Quello ideato, sceneggiato e diretto dal geniale designer giapponese è un gioco molto complesso che parla di vita, morte e della speranza. Tutto condensato in un incredibile open world che fa da sfondo ad un’avventura davvero unica nel panorama videoludico.
Soprattutto, Death Stranding, parla di connessioni. Della necessità umana, sempre meno frequente, ormai, di cercare e dare aiuto al prossimo, di creare unioni e alleanze, di condividere entusiasmo e dolore. Ed è proprio dal dolore che parte la nostra avventura. Parte tutto dal Death Stranding, un fenomeno catastrofico che avvicina il mondo dei morti a quello dei vivi, con tutto il loro carico di dolore e rancore. Una catastrofe che arriva dal mare sotto forma di una marea catramosa, a rappresentare il marcio dell’animo umano di cui è pregno l’aldilà. A questo si devono aggiungere alcuni inspiegabili attacchi terroristici, che mirano a destabilizzare ulteriormente il già fragile equilibrio della società americana che, come logica conseguenza, di disgrega in modo definitivo.
Ed è il compito di Sam Porter (impersonato da Norman Reedus), cercare di realizzare l’impossibile. Lui è un corriere. Effettua consegne, ma ha anche il compito di riunire città, singoli cittadini e professionisti a formare una rete che dalla costa Est a quella Ovest, dovrà rimettere in piedi la disfunzionale nazione americana, ora chiamata UAC. Gambe in spalla e con pochi mezzi a disposizione, Sam dovrà viaggiare da una parte all’altra del continente per ricreare la "connessione chirale". La connessione permetterà alle grandi città rimaste e ai “prepper”, ovvero singoli specialisti sparsi in tutto il territorio, di poter condividere studi e teorie di quanto accaduto, alla ricerca della verità e una possibile soluzione alla tragedia, di cui ancora i contorni sono avvolti nel mistero.
Unico compagno di viaggio è “Lou”, ovvero un BB. I Bridge Baby sono gli unici a poter individuare le CA, ovvero le creature provenienti dall’aldilà che minacciano il nostro mondo. I BB sono, di fatto, neonati messi appositamente al mondo per assolvere al loro unico scopo. Sono uno strumento, a cui è meglio non affezionarsi, perché il loro tempo su questa terra è davvero molto breve, o così dovrebbe essere. Tra le righe si può leggere il messaggio di Kojima, che affida alle prossime generazioni il compito di aiutarci ad evitare l’abisso e a mostrarci la giusta strada per evitare una sicura estinzione. Il Death Stranding è infatti l’antipasto del Final Stranding, ovvero la sesta estinzione di massa.
Lungo tutta la nostra esperienza di gioco quello della minaccia globale è l’argomento ricorrente e la presa di posizione del game designer è abbastanza chiara. I concetti del pensiero di Kojima sono raccontati con il suo classico stile narrativo, affidato per lo più a video di importante durata, dove conosceremo le storie che stratificano il background dei tanti personaggi principali che ci aiuteranno nel corso del gioco. Ogni nuovo arrivo all'interno della rete chirale racconterà la sua storia, ci invierà mail per continuare a tenerci aggiornati sulla sua vita o sulle scoperte fatte con il nostro aiuto. Molti continueranno a ringraziarci per averli tirati fuori dal loro buio interiore. Anche se il gioco si svolge unicamente sul territorio americano è chiaro che quello di Kojima è un messaggio universale e, anzi, sembra quasi che dare agli americani il compito di “unire i puntini” di uno scacchiere mai così diviso come in questo periodo storico.
Ma come abbiamo detto in apertura: Sam è un corriere. Deve prendere ordini, fare consegne e passare al cliente successivo. Una struttura ludica che più volte abbiamo criticato all’interno degli open world, ma che qui acquista uno spessore incredibile. Ogni nuova connessione aggiunge qualcosa alla nostra dotazione, ci regala nuove possibilità e ci rende partecipi della creazione di una rete di collaborazione di cui siamo i principali artefici. Anche se all'apparenza le meccaniche possono apparire piuttosto semplici, ogni spostamento e ogni viaggio del nostro Sam deve essere pianificato con attenzione. Bisogna studiare con attenzione il percorso da seguire, capire quali strumenti portarsi dietro per non incorrere in problemi, individuare i possibili pericoli e capire se è possibile aggirare i nemici. Perché, ovviamente, i nemici ci sono e oltre alle CA, ci sono anche altri avversari “umani” che però, com’è spesso ricorrente nei giochi di Kojima, non possiamo eliminare i modo drastico ma dovremo sempre cercare un approccio stealth al problema o, in alternativa, cercare un approccio non letale.
Discorso diverso, invece, per le CA, che potremo invece cercare di far fuori grazie ad armi potenziate con proiettili arricchiti dal nostro stesso sangue. Sam è infatti dotato di particolari poteri (chiamati DOOMS), che consentono ai nostri fluidi corporei di poter essere utilizzati contro i nostri nemici invisibili. Sangue, urina, feci, tutto viene riutilizzato nelle speciali stanze dove potremo trovare riposo tra un lavoro e l’altro e successivamente ridotti ad elementi da includere in munizioni e granate da utilizzare contro i nemici. Ma anche in questo caso l’approccio diretto deve essere vista solo come ultima risorsa. E’ sempre meglio cercare di aggirare l’ostacolo, cercando di muoversi con discrezione, addirittura trattenendo il respiro per non essere intercettati dalle creature che presidiano specifiche aree di controllo.
A mettere ancora più pressione al giocatore sono le condizioni meteo che lo accompagneranno durante il percorso, perché nel mondo di Death Stranding pioggia e neve hanno effetti collaterali devastanti, accelerando l’invecchiamento degli elementi. E se Sam può cavarsela grazie ad una speciale tuta, lo stesso trattamento non può essere esteso anche al carico trasportato che, a lungo andare, rischia di essere danneggiato irreparabilmente, costringendoci a ripianificare la consegna. Gli strumenti a disposizione per avere ragione di un ambiente ostile e mutevole sono davvero pochi e devono essere scelti con attenzione. Scale, corde, chiodi per l’arrampicata saranno i vostri migliori amici, assieme ai pochissimi mezzi motorizzati che di tanto in tanto potrete usare per cercare di abbreviare il percorso.
Anche perché il mondo immaginato da Kojima è quanto di più vuoto e inospitale si possa immaginare. Esteticamente sublime, l’America di Death Stranding è un’immensa distesa verdeggiante. Il terreno è di chiara natura lavica (non a caso nei credits del gioco si ringrazia la nazione Islandese per la collaborazione) ed è punteggiato da continui cumuli di rocce, in modo da rendere davvero difficoltoso anche l’eventuale percorso portato avanti con mezzi a tre o quattro ruote. Non mancheranno poi alte montagne da scalare e scenari innevati, che ci costringeranno a fare i conti con terreni scoscesi e scivolosi obbligandoci a cercare il continuo equilibrio del carico distribuito sulle nostre spalle che, se maltrattato, potrebbe irrimediabilmente rovinarsi.
Un “Coast to coast” davvero meraviglioso ed esaltante, che a fronte di un gameplay all’apparenza semplice nasconde invece strategia, pianificazione e capacità di adattarsi alle situazioni che si presenteranno di volta in volta. Non mancheranno comunque le occasioni di sguainare le armi, in particolare quando Sam si ritroverà a vivere gli orrori delle guerre passate, summa dei peccati dell’uomo che dobbiamo imparare a lasciare al ricordo per garantirci un futuro migliore. In questi particolari stage, ben inseriti all’interno del contesto di gioco, Sam si ritroverà a calcare i terreni di battaglia della prima e della seconda guerra mondiale, nonché quella del Vietnam, alla ricerca di uno dei personaggi chiave del gioco, impersonato dall’attore Mads Mikkelsen.
Reedus e Mikkelsen sono solo due dei protagonisti presenti nel ricchissimo cast, che comprende anche il regista Guillermo del Toro, Léa Seydoux, Troy Baker, Margaret Qualley e l’ex donna bionica Lindsay Wagner. A questi si devono anche aggiungere altri volti noti del piccolo schermo, come Conan O’Brien e Geoff Keighley. Un cast davvero molto ricco, che porta Death Stranding molto vicino ad una esperienza cinematografica interattiva. Non solo per la presenza di attori e attrici molto noti al grande pubblico ma anche per qualità della sceneggiatura, per la ricchezza dei dettagli e per lo spessore dei personaggi, spesso rivivendo in prima persona le loro stesse storie. E di tempo ne avremo davvero parecchio a nostra disposizione. Per portare a termine l’avventura principale abbiamo impiegato per 45 ore, e completare tutte le innumerevoli missioni secondarie che si aprono nel corso dell’avventura. Una volta terminata, avremo comunque la possibilità di rimanere all’interno del mondo di gioco, per chiudere quanto lasciato in sospeso, magari collaborando con altri giocatori inclusi nella nostra lista amici.
Death Stranding prevede infatti un particolare sistema di collaborazione asincrona tra i giocatori. Tutti gli elementi piazzati nel mondo di gioco, come corde o funi, potranno essere utilizzati anche dai giocatori inclusi nella nostra lista amici, sempre che la cronopioggia o la crononeve non li abbiano resi inutilizzabili nel frattempo. Chi usufruirà delle nostre strutture potrà premiarci con un “like”, che andrà a sommarsi a quelli dati dai normali clienti, creando così una solida base per l’avanzamento delle nostre skill in game. L’avanzamento dei livelli di Sam porterà in dote la possibilità di possedere attrezzature migliori e una maggiore resistenza a sollecitazioni che in alcuni frangenti diventano davvero estreme.
I comandi di gioco, all’apparenza complessi, diventano via via di semplice assimilazione. Oltre ai normali movimenti di base, Sam potrà gestire i menù dei materiali trasportati, costruire strutture più o meno complesse e, ovviamente, combattere a mani nude o con le poche armi messe a disposizione. Tutte le interazioni con gli oggetti e con l’ambiente sono praticamente perfette e mosse da un motore grafico e fisico di notevole fattura (anche se alcune cose viste nell’ultimo Ghost Recon in fatto di movimenti su terreni scoscesi sembrano essere fatti decisamente meglio).
Tutto merito del Decima Engine, il motore grafico sviluppato dai ragazzi di Guerrilla Games, qui adattato e customizzato dal team di Kojima. Una collaborazione che ha portato a risultati davvero impressionanti. Il mondo di Death Stranding sembra essere “vivo” sotto i nostri occhi, le texture sono ricchissime di particolari e gli eventi atmosferici arricchiscono la sensazione di veridicità di quanto ci viene mostrato sullo schermo. I video, perno centrale della narrazione, sono molto dettagliati e i volti e i modelli poligonali dei protagonisti sono quanto di più simile alla controparti reali (Norman Reedus ne ha approfittato per chiedere qualche muscolo in più). Di conseguenza la recitazione digitale di Death Stranding sposta l’asticella più in alto per l’intera industry videoludica, settando un nuovo metro di paragone per le generazioni future.
Più in generale abbiamo apprezzato l’intera amalgama di gameplay, video di intermezzo e comunicazioni in game, che hanno creato un connubio tra gioco e narrazione praticamente perfetto, se si esclude forse una parte finale inutilmente stiracchiata. Ma è forse l’unico neo che possiamo imputare ad un’opera che non si tira indietro nel parlare dritto al cuore di chi impugna il pad, mettendolo di fronte a situazioni sicuramente impossibili nella realtà ma che metaforicamente parlano in modo molto aperto, come forse mai prima d’ora in un videogioco, di quanto sta accadendo sotto i nostri occhi da ormai troppo tempo e di come forse si sia superato il limite di non ritorno.
Eppure Death Stranding non è un gioco triste. E’ un gioco dai toni cupi e seri, dove però viene lasciata aperta la porta della speranza. Un’opera autoriale che arriva da uno dei creatori più impegnati del settore, che già in Metal Gear Solid ha saputo portare sullo schermo tematiche importanti e universali. Un plauso va fatto anche all’imponente lavoro di doppiaggio, con voci ben azzeccate e contestualizzate alla perfezione alle varie situazioni di gioco, a cui si aggiunge una colonna sonora fantastica, che potete trovare anche su Spotify come Playlist da ascoltare anche dopo le vostre sessioni di gioco.