Recensione DiRT Rally 2.0
Il ritorno, alla grande, dello sport più fangoso del mondo
Basterebbe nominare semplicemente: Codemasters, per far viaggiare la nostra mente verso Colin McRae Rally, emblema della softwarehouse di Birmingham che fu capace di far sfondare sulle console lo sport motoristico più fangoso del mondo.
Negli ultimi vent’anni la serie, per restare sulla cresta dell’onda, è stata rinominata Dirt e ha dovuto reinventarsi per adattarsi all’evoluzione dei tempi che apparentemente chiedevano un gameplay meno rigoroso e più votato al mordi e fuggi, tipico delle generazioni odierne. In questo modo la softwarehouse si è curata la classica gallina dalle uova d’oro, che con produzioni a cadenza quasi annuale riusciva ad assicurarsi un discreto successo, nella classica altalena dei titoli a rilascio periodico.
Nel 2015 ci fu tuttavia un avvenimento che ha segnato un punto di svolta, ovvero il rilascio di Dirt Rally, un prodotto votato alla simulazione pura, tanto da assicurarsi il gradimento incondizionato della critica quanto quello degli appassionati del genere. Quello che apparentemente sembrava una provocazione, un esercizio limitato e percorso controcorrente, ha oggi avuto un seguito con Dirt Rally 2.0, chiara dichiarazione d’intenti degli sviluppatori i quali evidentemente hanno creduto fino in fondo nella loro coraggiosa produzione.
Dèja vu
Il trailer di lancio sembrava una sorta di dèja vu: era dal primissimo Colin McRae Rally che non si vedeva una Volkswagen Golf destreggiarsi tra il fango della Nuova Zelanda, e la scena si ripete in questo Dirt Rally 2.0, dove si vede una Golf (l’MK2 invece della MK3, a dirla tutta) derapare tra la folta vegetazione delle terre de Il Signore degli Anelli. Lo stesso trailer introduce all’altra faccia della medaglia di questo Dirt Rally 2.0, ovvero la modalità RallyCross, che quest’anno vanta la licenza ufficiale di piloti, team e circuiti (8 su 14 sono stati qui inclusi) entro cui potrete dare sfogo alla vostra smania di sportellate tra un rally in solitaria e l’altro.
Tuttavia è indubbio come il piatto forte di Dirt Rally 2.0 sia rappresentato dal rally classico, in cui dovrete affrontare tappe più o meno lunghe in totale solitudine con la sola eccezione del navigatore, il vostro angelo custode che vi racconterà in anticipo la tortuosità del tracciato.
Caricato il menu principale è evidente quanto esso si presenti spartano nella sua semplicità, con le modalità disponibili in bella mostra senza troppi fronzoli e senza spiegazioni di sorta: potrete qui scegliere tra la carriera (giocabile solo se connessi alla rete), i rally storici, le prove a tempo, Rallycross e multiplayer.
Carriera di pilota
Inutile dire come la carriera sia l’anima del gioco: in essa dovrete iniziare con una vettura poco potente (un centinaio di cavalli asmatici), gareggiare lungo vari rally e piazzarvi tra le posizioni che contano per ottenere crediti utili per gestire il vostro team, acquistare e potenziare vetture, così come ripararle dopo le vostre scorribande in pista.
Ma è quando verrete proiettati in strada che apprezzerete quanto di buono questo Dirt Rally 2.0 sa offrire: il gameplay è derivato dal prequel, senza stravolgimenti ma con tanti affinamenti (anche suggeriti da professionisti del calibro di piloti come Jon Armstrong e Oliver Soldberg) che lo rendono ancora più aderente alla realtà. Le modifiche principali hanno riguardato la gestione dei pesi ma soprattutto l’attrito tra gomme e terreno, che vi farà sentire maggiormente la differenza tra le varie tipologie di fondo stradale (asfalto, ghiaia e fango, in attesa dell’arrivo dei DLC con le tappe innevate, colpevolmente mancanti al momento dell’uscita), così come la selezione delle gomme, che comprende diverse tipologie di mescole atte a privilegiare la durata piuttosto che la prestazione pura, aggiungendo un po’ di strategia al gioco.
L’ordine conta
Anche l’ordine di partenza si rivelerà importante nel bilancio della tenuta di strada: i primissimi a percorrere la tappa si troveranno un manto stradale pulito e un po’ scivoloso, coloro che partiranno attorno alla quinta posizione saranno quelli che affronteranno la strada nelle condizioni ottimali, mentre verso la fine vi accorgerete di come una mulattiera possa essere martoriata da un evento motoristico. L’evoluzione del manto stradale si fa sentire anche nella tenuta di strada, ma in modo marginale rispetto agli altri fattori, rivelandosi il classico dettaglio “più bello che utile”.
A tutto ciò si aggiunge la variabilità delle condizioni meteo, capace di rendere un tratto asfaltato inesorabilmente viscido e pericoloso, senza contare come la terra si trasforma in viscido fango.
Il livello di difficoltà è ulteriormente aggravato dall’estrema lunghezza di alcune tappe (si arriva a circa 15 km, per una durata dell’ordine dei 10 minuti) entro cui dovrete assicurarvi di non perdere la concentrazione, specialmente se avrete attivato la masochistica opzione di simulazione estrema dei danni, la quale potrebbe causarvi il ritiro anche dopo un singolo contatto. Tale opzione è tanto adrenalinica (nel caso vi vada bene) quanto ostica se non sarete sufficientemente fortunati.
Scalabile
Il gioco, tuttavia, include la solita serie di aiuti alla guida che lo rendono scalabile e adatto a tutti: partire con una vettura poco potente, magari una delle auto a trazione anteriore degli anni ’60, con il cambio automatico e il controllo della trazione attivati è un modo per tentare di arrivare in fondo senza troppi danni. Man mano che acquisirete dimestichezza potrete quindi provare a disabilitare i vari aiuti alla guida, e vi accorderete di come percepirete la soddisfazione di aver completato una tappa senza schiantarvi troppe volte. E ci sembra inutile ricordarvi che in questo gioco il tasto rewind è stato bandito del tutto, mentre vi sarà consentito di tentare una particolare tappa per un massimo di 5 volte.
Quindi passando alle storiche auto a trazione posteriore, ai gruppi A degli anni ’90 piuttosto che i ai famigerati gruppi B vi accorgerete di quanto diventi complicato stare in strada senza degenerare nel più classico dei flipper. Se a tutto ciò aggiungerete la difficoltà intrinseca delle tappe argentine (con le sue tipiche quanto pericolose rocce a delimitare i limiti del tracciato) avrete finalmente il quadro di quanto difficile potesse essere correre a metà degli anni ’80 a bordo di una cattivissima Delta S4.
Inutile dire come sia raccomandabile l’impiego di un buon volante con force feedback per godere appieno della simulazione di questo Dirt Rally 2.0, anche se va detto che il semplice pad si comporta egregiamente.
Rallycross aggressivo
Il livello di competizione degli avversari, dal canto suo, è adattivo e si adegua alle prestazioni del giocatore, riducendo così eventuali gap che potrebbero crearsi a causa di una disparità tra la vostra bravura e il livello impostato di difficoltà degli opponenti. Diverso il discorso relativo alla modalità Rallycross, dove sembra di essere nel bel mezzo di una bolgia disumana, con un’AI davvero troppo aggressiva che non lesina a buttarvi fuori a suon di spotellate.
Dal punto di vista dei contenuti il gioco si difende bene, anche se ci si sarebbe potuti attendere di più: se 50 auto sembrano un numero cospicuo, quello che fa storcere il naso è la scarsezza di ambientazioni (solo sei, che comprendono Nuova Zelanda, Argentina, Australia, Usa, Polonia e Spagna) e il fatto che sono sparite le gare di Hill Climb. Un’altra mancanza che non si farà sentire più di tanto riguarda le tappe create in modo procedurale, soppiantate dal lavoro encomiabile di level design che non farà rimpiangere la mediocrità dell’intelligenza artificiale nell’assemblare tracciati alla meno peggio, come visto in Dirt 4.
Tecnica e affini
Tecnicamente il gioco si presenta splendidamente, frutto di un sapiente utilizzo dell’EGO, engine proprietario della softwarehouse inglese, anche se la sensazione è che il loro gioiello sia arrivato al capolinea.
Le vetture sono modellate alla perfezione, così come gli abitacoli che potrete apprezzare mediante le splendide visuali interne.
Le ambientazioni alternano tratti caratterizzati da visuali vastissime (alcune includono paesaggi davvero stupendi) ad altri in cui la vegetazione limiterà la visuale a poche decine di metri, consentendo così un livello di dettaglio leggermente superiore.
Semplicemente splendidi si rivelano gli effetti luminosi e particellari, ma non mancano esempi di elementi migliorabili, come le vetture parcheggiate a bordo pista, il livello di alcune textures, piuttosto che il contrasto della vegetazione visibile in lontananza, decisamente sottotono.
Anche il modello di gestione dei danni, seppur bello a vedersi, sembra un tantino fermo a qualche generazione fa, con più o meno lo stesso livello di danneggiamento della vettura visto all’inizio della serie Dirt.
In ogni caso il frame rate si è rivelato costante senza indecisioni di sorta e il sonoro è riuscito nell’intento di convincere, con i ruggiti dei motori ad urlare se sparati al limite del fuorigiri, così come i borbottii in caso di guasto meccanico.
Versione Testata: PS4
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Redazione