Recensione Outward

Un GDR solido e puro, ma zeppo di bug

Recensione Outward

Senza mezzi termini, voglio iniziare questo articolo dicendovi chiaramente che mi trovo a scrivere forse il pezzo più complicato della mia vita. Non è che sia qui a volerla fare più tragica del dovuto, ma la mia esperienza con Outward ha avuto un ostacolo a dir poco… importante. Di cosa stiamo parlando? Provate a pensare di stare giocando un titolo in cui c'è la possibilità di utilizzare un unico salvataggio, in modo da non poter tornare indietro sulle proprie scelte, così da dare un giusto peso alla componente ruolistica. Ecco, ora immaginate di essere arrivati a buon punto della vostra avventura e di ritrovarvi con il salvataggio corrotto, al punto che ogni volta che avvierete il gioco avrete davanti a voi una schermata che, mossi di qualche frame, andrà inesorabilmente a freezare. Sempre. Puntualmente. A ogni ricarica di questo benedetto salvataggio. Risultato? Imprecazioni e ore e ore di gioco buttate via. Evviva.


Ma partiamo dalla base: ci stiamo approcciando a un gioco di ruolo di stampo action sviluppato dai Nine Dots Studio, piccolo team che ha voluto dire la propria nel complicato panorama videoludico odierno. Sin dagli annunci, quello che Outward voleva offrirci sembrava abbastanza chiaro e delineato: GDR figlio di un progetto più duro e crudo piuttosto che permissivo, con poche concessioni alla fruibilità generale, il tutto creato con pochi mezzi tecnico/economici, ma con tanta passione. Non proprio una musica celestiale per le orecchie di un appassionato, ma un progetto capace di far drizzare le antenne dei giocatori che, a ben vedere, non trovano nella attuale generazione su console un panorama florido come in passato dal punto di vista ruolistico.

E dopo aver spolpato i (per me pochi) GDR di stampo occidentale arrivati su PlayStation 4 e Xbox One, un appassionato ci si butta a pesce, su Outward. E viene accolto da un comparto tecnico che lo rimanda senza troppi indugi a cavallo tra l’epoca di PlayStation 2 e PlayStation 3. Ma ci si passa sopra, vi assicuro che ci si passa sopra, nonostante un impatto grafico davvero deficitario e un sonoro che a margine di alcune buone musiche e qualche discreta linea di doppiaggio, naviga nella mediocrità. Perché, quindi, passarci sopra? Perché alla base dello sviluppo, c’è un profondo amore per il gioco di ruolo in generale, e questo si può percepire a prescindere da tutto il resto.

Outward ci lancia immediatamente in una situazione a dir poco complicata: sopravvissuti per pura fortuna a un naufragio che ci ha lasciati su una spiaggia completamente spogli di ogni avere e ormai senza un becco di un quattrino, avendo investito tutto proprio sul cargo naufragato. Quanto meno siamo finiti proprio nelle vicinanze della nostra città d’origine. Che fortuna, direte voi. Aspettate almeno cinque minuti per cantare vittoria, vi dico io. Si, perché il nostro personaggio (nato da un processo di creazione abbastanza limitato e banale) è evidentemente nato sotto una cattiva stella: a casa lo aspettano non parenti e amici preoccupati per la sua condizione, ma una intera città pronta a chiederne il pignoramento della casa per ripagare un debito di sangue che, a causa di guai creati dai suoi parenti, è costretto a pagare ogni mese.


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Ebbene si: naufraghi e pieni di debiti. Tanto che le prime ore di gioco ci metteranno davanti a una situazione che di idilliaco ha ben poco: costretti a dover trovare nel minor tempo possibile una discreta somma di denaro per ripagare il debito di sangue dovuto alla comunità, così da non dover perdere la casa e diventare un senza fissa dimora. Eravate abituati ad altri titoli dove il protagonista era un prescelto o un guerriero rinomato? Bene, scordatevi tutto e entrate nell’ordine di idee che non siete altro che una persona normalissima costretta ad arrangiarsi per sopravvivere in un mondo ostile e complicato. Come ostile e complicato è tutto quello che ci circonda in Outward. Una volta scelto il modo in cui completare il prologo (fidatevi di me, date anche un’occhiata al tutorial), vedrete immediatamente un gameplay dove ben poco è lasciato al caso. Il nostro protagonista, per quando sia un perfetto Signor Nessuno, deve tenere a mente davvero tantissimi elementi.

Anzi, proprio perché è un vero e proprio Signor Nessuno, non potrà lasciare nulla al caso. Mangiare e bere sono due necessità da tenere da conto per non ritrovarsi allo stremo delle forze, senza ovviamente dimenticare che dormire è la base per la sopravvivenza. Un clima troppo caldo? Meglio cercare una zona d’ombra. Troppo freddo? Vestiti pesanti o accendere un fuoco, senza pensarci troppo. Questi sono solo alcuni degli esempi dei malus che andremo a incorrere se non staremo bene attenti a gestire come si deve il nostro personaggio, in una realizzazione di stampo prettamente hardcore, sebbene con qualche importante concessione alla fruibilità (ve ne accorgerete quando ormai avrete dato per morto il vostro avatar).

Ma quindi, come è la vita dell’eroe (si, ecco… ) in Outward? Dimenticate i punti esperienza. L’esperienza la farete sulla vostra pelle e imparerete a muovervi nelle diverse occasioni in modo da evitare le situazioni più critiche. Scappare spesso è una opzione più che sensata, stando bene attenti a non dimenticare in giro il vostro zaino, una vera e propria casa portatile che, talvolta, sarete costretti a poggiare a terra per essere più agili in battaglia, ma con il rischio di doverlo abbandonare per non soccombere. Per una vera e propria crescita dovrete affidarvi a dei maestri che, se pagati a dovere, vi insegneranno arti di ogni tipo, da quelle legate al combattimento a quelle magiche. Denaro, vile denaro.

La vera chiave che aprirà ogni porta (o quasi). Ma come fare per raccoglierlo? Ingegnarsi. Gestire al meglio le proprie risorse per procurarsene di migliori. L’esperienza di gioco in Outward si racchiude in questo, mescolandosi a una trama a bivi che sarà scelta molto liberamente in base alle nostre preferenze. Diversi elementi vi hanno richiamato alla mente la saga di Gothic? Non c’è nulla di strano, visto che sin dalle prime battute sarà chiara l’ispirazione al titolo in questione e tutto ciò per noi è solo che un bene. Il combat system stesso risente di tale influsso e sebbene macchinoso, ci ha soddisfatto, tra parate, attacchi e incantesimi (questi talvolta davvero molto difficili da attuare).

“Niente male”, direte voi. Beh, si. Il gameplay non ci ha deluso, quantomeno nelle intenzioni degli sviluppatori. Purtroppo, principalmente a causa dei numeri ridotti dei Nine D'ora, il comparto tecnico di Outward è quanto di più limitato e limitante si sia visto in questa generazione. Anzi, l'impatto visivo ci ha riportato con la mente indietro nel tempo, come già detto. Un po’ poco. Anche perché nonostante modelli poligonali poveri e trascurati, ambientazioni spoglie e animazioni legnose, anche il frame rate ha più volte mostrato il fianco.

Lo stesso sonoro ci ha deluso, fatto salve alcune linee di doppiaggio. Anche volendo passare sopra a questo problemi (e personalmente lo avrei fatto, dando comunque una sufficienza al titolo), i bug incontrati hanno fatto prendere maggiormente il piatto della bilancia verso l'insoddisfazione. Personaggi bloccati a camminare contro muro invisibili, ambienti totalmente ricoperti da una patina oscura e poligono a scomparsa, un antipasto che ci ha accompagnato verso la perdita del salvataggio di cui abbiamo parlato all'inizio. Magari col tempo e con qualche patch la situazione migliorerà, ma dobbiamo, per onestà intellettuale raccontare la nostra esperienza con Outward e questa non può prescindere da quello che ci è successo. Peccato, davvero peccato.


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Versione Testata: Xbox One

5

Voto

Redazione

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Recensione Outward

Al netto di una realizzazione tecnica non povera, ma estremamente povera, Outward ci stava regalando qualche buono scorcio di gameplay, figlio di una creazione sicuramente limitata nei mezzi, ma piena di passione. Certo, ritrovarsi dopo tante ore di gioco con in mano un pugno di mosche, al netto dei tanti bug “minori” incontrati, non può che lasciare con l’amaro in bocca. Uno di quegli amari che, videoludicamente, ti segnano. E ti fanno incacchiare non poco. Morale della favola? Va bene tutto, e gli appassionati di giochi di ruolo sanno bene che si può scendere a patti con una grafica di bassa leva e un sonoro claudicante, ma certe carenze non possono accompagnare un giudizio sufficiente. Non stiamo dicendo che ognuno di voi si troverà a perdere la propria partita, ma stiamo riportando la nostra esperienza. A voi la scelta e il rischio. Le felici intuizioni di gameplay dei Nine Dots Studio, valgono il prezzo di tutto questo? Chissà, magari dopo una patch corposa e l’assicurazione dell’eliminazione di certi difetti…

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