Recensione Sekiro: Shadows Die Twice
Morire per capire, ecco la filosofia di Sekiro
Siamo morti. Una, due, tre, centinaia di volte. Non abbiamo ancora visto la luce in fondo al tunnel orchestrato da From Software. Ci stiamo forgiando, sbattendo il muso in difficoltà pre-annunciate, ipotizzate e, per certi versi, desiderate. Asperità che, davanti alla realtà dei fatti, si sono palesate ben più ostiche, talvolta quasi insormontabili.
Sekiro: Shadows Die Twice non è certamente un prodotto da divorare senza sosta, solo per giungere in breve tempo all’epilogo, al fine di pubblicare un'analisi il prima possibile e rispettare le tempistiche ristrette del web.
Come altre opere, come già in passato i Souls, anche le avventure del Lupo dovrebbero essere vissute con tutta la calma necessaria per capire a fondo il lavoro del team di sviluppo, evitando giudizi (positivi o negativi che siano) affrettati.
Una recensione ha il compito di mettere a disposizione informazioni relative a un’esperienza ludica che possa avvicinarsi il più possibile a quella che avrebbe il giocatore che acquista il prodotto; nella maggior parte dei casi, l’utente dilaziona il giocato, per gustarselo in funzione dei suoi tempi e delle sue esigenze (sociali, lavorative, etc. che siano).
La fretta è, da sempre, cattiva consigliera tanto più in media del genere: in Sekiro, una rush-run intensiva non consentirebbe di apprezzare e di capire al meglio dinamiche, dettagli, retroscena, idee e scelte.
Siamo altrettanto consapevoli di quanto siano forti la curiosità e l’entusiasmo dei nostri lettori per un gioco tanto atteso. Ergo, per riprendere la meccanica che dà il nome al gioco, la nostra recensione “morirà” sulle pagine di GameSurf due volte:
- Una prima analisi, quella che vi proponiamo ora, attraverso la quale vi forniremo il maggior numero di informazioni carpibili, in modo evidente e sostanzialmente oggettivo, da una full-immersion che ci ha impegnati per circa venticinque ore sul lavoro di Miyazaki & Co.
- Una seconda tramite cui chiuderemo il discorso una volta che, completando il gioco, avremmo unito tutti i pezzi del puzzle e potremmo valutare con maggior lucidità e “serenità” il disegno di From Software nella sua interezza.
Promosso, con LORE
In sede di anteprima abbiamo evidenziato che, al netto di una lore che fa da sfondo alla vicenda, in Sekiro è presente una trama piuttosto esplicita, fin dalle prime battute.
Già dall’incipit si inizia ad avvertire quanto gli sviluppatori abbiano voluto allontanarsi dal loro tipico modus operandi: al giocatore viene introdotta la figura del protagonista attraverso sequenze filmate più dirette e meno criptiche.
Durante lo scontro che ha permesso ad Ashina Isshin di vincere la guerra e fondare il Clan Ashina, un giovane “Randagio” ormai rassegnato alla morte, viene risparmiato e allevato per diventare un Maestro Shinobi. Sekiro cresce seguendo i dettami dell’uomo che lo ha accolto, divenendo Lupo, il Lupo del giovane Lord della famiglia Hirata, Kuro:
“Da oggi, il tuo signore sarà lui, difendilo con la vita. Se dovesse mai essere preso, riportalo indietro ad ogni costo.”
È su questo non originalissimo pretesto narrativo che si articola la missione del protagonista. A vent’anni dal colpo di stato di Isshin, il Clan Ashina è ormai al collasso e il suo signore, Lord Genichiro, è disposto a tutto per evitarne la caduta. Un rapimento, un sacrificio di sangue, una vittima innocente per un bene superiore: ed è proprio Kuro, il protetto di Sekiro ed Erede Divino, il “martire” designato per via del suo particolare sangue, il Retaggio del Drago.
Dalla prospettiva del racconto diretto, quindi, in Shadows Die Twice si avverte molto intensamente l’effetto déjà vu. Folklore e mitologia nipponica si fondono con la storia del Periodo degli Stati Combattenti, Sengoku Jidai, e sfociano in una missione di salvataggio: è un setting visto e rivisto, ad esempio in un “vecchio” Onimusha: Warlords (recentemente rimasterizzato) o in un più moderno NiOh.
Il rischio di assistere a qualcosa di già visto è, però, scongiurato dall’abilità e dall’esperienza di From Software, capace, anche in Sekiro di organizzare una ragnatela di “elementi lore”, un’elaborata struttura che fa da fondamenta al racconto vero e proprio, impreziosendolo: messaggi sparsi per la mappa, personaggi misteriosi, reminiscenze, dettagli celati nelle descrizioni degli oggetti.
Su tutto, colpisce particolarmente la tematica della morte e resurrezione collegata ad un oscuro morbo, la Malattia del Drago: un elemento non solo veicolo del “filosofeggiare” di Miyazaki ma anche strettamente relazionato a risvolti pratici nell'ottica del racconto e del gameplay.
Dimentica i Souls: frustrante, fastidioso, SODDISFACENTE
"Ci sono due modi di affrontare le difficoltà. Modificare le difficoltà o modificare te stesso in modo da affrontarle."
E, ovviamente, in Sekiro non potete scegliere tra differenti livelli di sfida. Non c’è nulla di più sbagliato dell’approcciarsi in stile Souls-Like alla nuova concezione di gameplay posta in essere da From Software: estremamente punitivo, BASTARDO fino al midollo, il gioco richiede di fare tabula rasa dell’esperienza maturata con i precedenti lavori della software house.
L'effettivo punto di contatto con Dark Souls e Bloodborne è la presenza degli Idoli del Santuario, l'equivalente dei Falò e delle Lanterne; presso queste "zone checkpoint" è possibile riposare, utilizzare il viaggio rapido, gestire alcune meccaniche di upgrade e acquistare "Emblemi Spiritici".
Il secondo elemento comune è la difficoltà ben al di sopra della media.
Lo odierete, oh sì… Eccome se lo odierete! Fino a quando capirete che il problema non risiede in un gioco estremamente sbilanciato (anche se, a dire il vero, lo è, volutamente) ma nel modo in cui lo state affrontando. Per certi versi più vicino a NiOh che ad altri prodotti, Sekiro è un action molto complesso che si basa su pochi elementi imprescindibili: timing, studio dei pattern, osservazione delle ambientazioni, analisi della posizione degli avversari e conseguente pianificazione degli scontri.
Parliamoci chiaro, morirete anche una volta che avrete fatto vostri i nuovi “schemi motori” perché parliamo comunque di un prodotto ostico, dal livello di sfida ben sopra la media. Gradualmente, però, al solo sentimento di frustrazione si affiancheranno prima la voglia di mettersi alla prova, poi l’adrenalina e successivamente l’appagamento, l’orgoglio di avercela fatta.
Quelle che in sede di anteprima ci erano sembrate meccaniche stealth di “contorno” si sono dimostrate imprescindibili nella nostra avventura sul codice completo. In qualità di erede spirituale di Tenchu, Sekiro spinge il giocatore a muoversi nell’ombra, a sfruttare l’ambientazione al fine di ridurre il più possibile i ranghi nemici, prima di cimentarsi nello scontro diretto vero e proprio: se già uno scontro "1 contro 1" può rivelarsi fatale (a seconda del tipo di avversario), gettarsi nella mischia è, di certo, un suicidio. E poco importa che possiate morire due volte, perché senza pianificazione lo farete rapidamente in entrambe le occasioni.
Il combat-system, nel senso stretto della mappatura dei comandi, non punta ad essere profondo ed eccessivamente elaborato, quanto alla precisione distribuita in poche (nemmeno tanto) mosse eseguibili. Scordatevi le combo-action alla Platinum Games o quelle proposte da Team Ninja su NiOh. Sekiro, pur in modo differente per ritmi e dinamiche, mantiene comunque quello stile efficiente e minimale visto nei “Soulsborne”.
Armato di Kusabimaru, una katana donatagli dall’Erede Divino, il Lupo attacca con R1/RB, para con L1/LB, utilizza la “Zanna Perfetta” (il braccio artificiale Ningishu) con il grilletto destro e il rampino con quello sinistro. Salto e schivata/corsa sono assegnati rispettivamente a X/ e cerchio/B, il triangolo/Y switcha l’abilità della protesi meccanica e il quadrato/X serve per interagire con l’ambiente, appiattendosi contro le pareti, o per la raccolta di oggetti/denaro.
I direzionali, infine, permettono di gestire ed utilizzare l’equipaggiamento rapido e i consumabili.
Ma, effettivamente, "come ci si approccia" allo scontro? Innanzi tutto, l'assenza della barra della stamina potrebbe spingere il giocatore all'attacco compulsivo, strategia che non paga quasi mai. È quasi sempre necessario prestare la massima attenzione al proprio posizionamento e al pattern avversario: attaccare all'impazzata equivale ad esporsi ad offensive che, anche contro l'ostile meno insidioso, possono rivelarsi letali.
Sekiro è estremamente punitivo e, in questo ambito, raccoglie l'eredità dei Souls e la fa propria enfatizzandola tramite ritmi decisamente più sostenuti.
Pure essendo, quindi, su un piano concettuale molto più frenetico, l'azione deve essere ugualmente ragionata. Raramente, infatti, il nemico abbassa la propria guardia: sconfiggerlo richiede di riempire la sua barra della postura al fine di sbilanciarlo per eseguire il Colpo Mortale. Procedura che è necessario ripetere più volte in caso di boss/mid-boss fight (talvolta, uno dei due "cicli" può essere accelerato attraverso l'attacco stealth).
La barra della salute c'è ma è strettamente legata quella della postura: l'avversario, subendo effettivi danni alla vitalità, ha maggior difficoltà a ripristinare il proprio equilibrio, la velocità di recupero diminuisce, la barra vira al rosso e lo si può "stunnare" per l'offensiva finale in modo più rapido.
Nel disegno di From Software, attacco e difesa vanno di pari passo; se, infatti, è necessario studiare a fondo come e quando colpire, guardia, schivata e contro-mosse urgono della medesima (o di maggiore) attenzione.
Esistono degli attacchi, come prese, affondi e spazzate, che non possono essere bloccati con la parata classica ma da counter-attack specifici: ad esempio, la skill Mikiri si "oppone" agli affondi, un'altra (correlata al salto) è efficace con le spazzate.
In sostanza, il sistema di combattimento non sarà tanto ampio come quelli che è possibile osservare in altri prodotti action ma offre un ventaglio di opzioni (offensive e difensive) ben articolate tra loro e più improntato sui tecnicismi che sulla quantità di mosse eseguibili: come si suol dire, "poche ma buone".
La Kusabimaru non è l'unica arma utilizzabile; il braccio realizzato dallo Scultore dona al Lupo tecniche d'attacco differenti che consumano Emblemi Spiritici: accanto al rampino, i tre strumenti prostetici, Shuriken Caricato, Ascia Caricata e Getto Ardente ampliano il move-set e sono efficienti, se non fondamentali, in determinate circostanze. Ad esempio, penetrare la guardia dei soldati con lo scudo è quasi impossibile senza infrangerlo prima con un colpo dell'Ascia; contrastare i nemici "berserker" con gli Occhi Rossi, invece, è più semplice se li si destabilizza prima con le fiamme.
Un'altra domanda a cui è necessario rispondere è:
"Sono in difficoltà, posso farmare e livellare per procedere con meno patemi durante gli scontri?"
Niente anime nè echi di sangue, in Sekiro ritornano i più canonici Punti Esperienza ma dimenticatevi i singoli parametri e annesse build, scordatevi le armi che scalano in forza e destrezza o di dover gestire il peso del vostro equipaggiamento per trarre vantaggio in termini di mobilità. La componente RPG del nuovo lavoro di FS è ridotta al minimo.
È possibile migliorare gli attributi fisici (vitalità e postura) utilizzando i Grani di Rosario (ottenuti nel corso dell'avventura come drop degli scontri più impegnativi o celati in zone precise delle mappe).
Per potenziare, invece, la forza d'attacco occorre sfruttare i "Ricordi", le prove del successo nelle boss-fight principali.
Infine, l'upgrade della fiaschetta curativa, richiede la raccolta dei "Semi di Zucca" da consegnare ad Emma la Cerusica, PNG "principale" che si trova all'esterno del "Tempio in Rovina”.
Il resto è affidato ad un albero abilità nel quale progredire utilizzando i Punti Abilità. Questi si ottengono al raggiungimento di un determinato quantitativo di Punti Esperienza (accumulati sconfiggendo i nemici).
L'animo punitivo di Sekiro si avverte anche in questa meccanica: morire definitivamente comporta la perdita di metà dei punti esperienza (e non di quelli Abilità già ottenuti) e non ci saranno pozze di sangue a cui ritornare o nemici da sconfiggere per riaverli indietro. Ciò che è perso... è perso. Ma tutto è perso se si perde il coraggio: ribadiamo ancora una volta quanto sia necessario armarsi di pazienza, respirare a fondo in caso di dipartita e riprovare, prendendo gradualmente dimestichezza con questa nuova concezione di sfida proibitiva.
Ritornando allo skill-tree, questo propone tre categorie di Abilità che è possibile apprendere con la “spesa” dei punti esperienza accumulati: Arti di Combattimento, Arti Marziali Shinobi, Abilità latenti.
Le prime sono abilità d’attacco che è possibile assegnare, nel menu dell’equipaggiamento, alla pressione simultanea dei dorsali (colpi in grado di ferire contemporaneamente più avversari, di accorciare o allungare la distanza dal nemico, etc.).
Le Arti Marziali Shinobi non necessitano di essere impostate ma, una volta sbloccate, si aggiungono al set-movenze sempre attive del protagonista (dalla contromossa Mikiri, alla scivolata durante la corsa, passando per le skills collegate allo strumento prostetico).
Apprendere, infine, le Abilità Latenti, comporta l'ottenimento di potenziamenti permanenti ad una determinata caratteristica, ad esempio un miglioramento dell’effetto curativo degli oggetti di recupero o una più efficiente furtività.
Busshi, lo Scultore, invece, fortifica le Arti Prostetiche utilizzando precisi materiali reperibili nel mondo di gioco.
In merito all'IA nemica siamo su livelli buoni, mentre la loro caratterizzazione, anche in termini di livello di sfida e di piacere nell'affrontarla, è un minimo altalenante.
Ampio, vivo, ricco di effetti ma non impeccabile
Sekiro: Shadows Die Twice in termini artistici e tecnici non si discosta dagli standard qualitativi a cui ci ha abituati il team di sviluppo con sede a Tokyo. Il setting del Giappone nell’Epoca Sengoku permette di osare maggiormente sulla palette cromatica, più calda rispetto a quanto visto nei Souls e, soprattutto, in Bloodborne.
Il colpo d’occhio è denso di fascino e propone scorci evocativi di ambientazioni molto ampie. Il level-design si estende anche in verticale e l'esplorazione risulta molto meno vincolata da barriere strutturali; grazie ad un attento utilizzo del Rampino è possibile raggiungere zone apparentemente inaccessibili. Le mappe, molto più aperte, mostrano tanto quanto nascondono e richiedono un'attenta osservazione: la sensazione di perdersi e di sentirsi disorientati è sicuramente più frequente che nelle opere passate di From Software. Preparatevi a dedicare tanto tempo a scandagliare ogni angolo delle aree di gioco alla ricerca di punti di riferimento, di Idoli del Santuario verso i quali viaggiare rapidamente e, in generale, di qualsiasi elemento utile per settare il vostro GPS.
In merito alla mole poligonale, alla qualità delle texture e alla pulizia complessiva dell’immagine non c’è da gridare al fotorealismo: l'engine, il medesimo di Dark Souls III, sembra risentire del peso degli anni e con ambientazioni così ampie qualche compromesso era più che prevedibile.
Come sempre, però, nelle opere di Miyazaki e compagni, la componente artistica, l'utilizzo "spinto ma non invasivo" dell'effettistica e una buona gestione dell'illuminazione dinamica permettono di sorvolare su qualche magagna grafica/tecnica.
Tra queste, è doveroso segnalare una gestione del frame-rate altalenante, che presta il fianco a cali di fluidità e ad alcuni sporadici freeze, e qualche bug ormai caratteristico come avversari che compenetrano pareti riuscendo comunque ad andare a segno con il proprio attacco.