Recensione Shenmue III

A cosa hai pensato in questi diciotto anni, Yu?

di Davide Tognon

Nel mondo dei videogame, le saghe che hanno impresso un segno nell'immaginario degli appassionati sono una infinità. Ma fra queste, ben poche sono state capaci di assurgere allo status di oggetto di culto, riverito dai fan in una sorta di profana sacralità. Un buon esempio può essere Half Life, col recente annuncio di Alyx che ha fatto palpitare qualche cuore e lasciato con l'amaro in bocca chi invece bramava un terzo episodio di stampo canonico, atteso ormai da 15 anni. Un'altra fra le serie più venerate è senza dubbio quella di Shenmue, anch'essa rimasta ferma a due capitoli, pubblicati fra il 1999 e il 2001 sullo sfortunato Dreamcast. Si può quindi comprendere la grande commozione suscitata dall'annuncio di Shenmue III, avvenuto sul palco dell'E3 2015, al quale è seguita una campagna di raccolta fondi su Kickstarter da record. Il 19 novembre 2019 il gioco è finalmente uscito, accompagnato da aspettative contrastanti: da un lato, la responsabilità di raccogliere una eredità pesantissima sulle proprie spalle e, dall'altro lato, la consapevolezza che il progetto sia figlio di uno sviluppo condizionato da un budget ristretto (al contrario dei capostipiti: Shenmue 1 entrò nel Guinness dei primati per la maggior quantità di fondi investiti in un videogame!).

La storia riprende gli eventi rimasti in sospeso al termine del secondo capitolo: Ryo Hazuki è appena giunto al villaggio di Bailu, nella regione di Guilin (Cina), per svelare il mistero che si cela dietro agli specchi del drago e della fenice. Si tratta di due manufatti che, a dispetto del nome, sono realizzati in pietra e la cui importanza non appare ancora chiara. Shenhua, figlia di un intagliatore locale, si unisce a Ryo in una avventura che lo porterà a scontrarsi ancora una volta con la Chi You Men, organizzazione criminale già colpevole della morte di suo padre e disposta a tutto pur di impadronirsi degli specchi. Chi si fosse perso le puntate precedenti può visionare un breve video riassuntivo, anche se il nostro consiglio sarebbe quello di recuperare direttamente Shenmue 1&2, magari con la Collection (in proposito, occorre avvertire che l'utente odierno potrebbe trovare l'esperienza quantomeno datata).


Si suol dire che il buon giorno si veda dal mattino; che sia vero o meno, bisogna ammettere che l'impatto iniziale con Shenmue III è semplicemente disastroso. Si naviga fra menu di dubbio gusto, dove gli sfondi sono formati dagli artwork dei due protagonisti appiccicati ad un panorama retrostante. Il filmato introduttivo sbatte in primissimo piano le magagne del comparto grafico, senza avere la decenza di nascondere le défaillance dietro ad una regia più accorta. Poi si passa a Ryo e Shenhua che camminano lungo un sentiero e parlano fra loro: le movenze legnose, l'inespressività dei volti e il tono spiccatamente artificiale della conversazione impedirebbero l'immersione anche al più accanito dei fan. Quando si comincia a giocare, fin dall'ingresso nel villaggio si avverte la sensazione che ci sia qualcosa fuori posto. Quasi immediatamente si raggiunge una piccola bisca, ed essa non rappresenta certo un caso isolato a Bailu. Ad onor del vero, già in passato la serie ha abbondato di luoghi d'azzardo, che venivano però situati in complessi urbani densamente popolati e degradati.

Che uno sparuto insediamento, in una zona impervia della Cina rurale, possa abbandonarsi così platealmente al vizio, risulta difficile da credere. Sorge quasi il sospetto che metà degli abitanti di Bailu sia composta da biscazzieri, mentre l'altra metà da artisti marziali. Per gli artisti marziali viene fornita una giustificazione convincente e la loro presenza contribuisce a rendere una atmosfera da film gongfu. Per ciò che concerne gli altri, invece, la ricorrenza invadente di questi centri scommesse manifesta una palese difficoltà ad integrare armoniosamente i minigiochi entro la struttura del videogame. Shenmue ha sempre sofferto per la poca armonia, ma nel terzo capitolo la situazione è peggiorata fino a mettere a repentaglio la plausibilità delle ambientazioni. In una serie il cui principale punto di forza è sempre stato quello di calare il giocatore entro un mondo credibile, che sembra vivere di vita propria, è inammissibile trovare delle location poco verosimili, perché si tradisce l'essenza di quello che fu il capolavoro di Yu Suzuki su Dreamcast.


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Ryo e Shenhua sono belli da vedere, ma le loro interazioni sono terribilmente artificiali

La vitalità del mondo viene altresì messa a dura prova da una esplorazione a compartimenti stagni, dove Bailu è suddiviso in micro-aree alle quali si può accedere solo dopo aver raggiunto un determinato progresso nella storia. La povertà di questa scelta di game design è intuitiva: riuscite ad immaginare che ne sarebbe stato di Shenmue 2, se invece di potervi perdere fra le vie di Hong Kong alla ricerca del Man Mo Temple, foste stati costretti a stazionare in un quartiere alla volta? In un secondo momento ci si sposta nella città di Niaowu, che si presta molto meglio come teatro delle nostre avventure. Niaowu infatti abbonda di negozi, fra i quali si può gironzolare per soffermarsi a contemplare i dettagli della merce esposta e degli arredi. Purtroppo, però, anche qui si percepisce qualcosa di sbagliato: le strade sono semi deserte e gli uomini sono privi di quelle stupende routine comportamentali che furono il vanto della serie. Vale a dire che essi non compiono più il tragitto casa-lavoro, non staccano per mangiare all'ora di pranzo, non si muovono più come se dovessero adempiere agli impegni del quotidiano. La scena, una volta tolta questa animazione, sembra messa in piedi apposta per Ryo, una impressione che in Shenmue si è sempre accuratamente cercato di non destare.

Pad alla mano, si constata che il gameplay non si discosta poi molto da quanto venne sperimentato una ventina di anni addietro. Siamo di fronte ad un action-adventure inserito in un open world peculiare, che agli spazi aperti preferisce superfici più contenute, ma decisamente dense; caratterizzato da un ritmo lento, con una minuziosa esplorazione degli ambienti e una spiccata propensione alla comunicazione con gli altri personaggi. Le subquest sono estremamente più semplificate in confronto a quanto eravamo abituati a vedere in uno Shenmue, ma più numerose e meno criptiche. Un ulteriore tratto distintivo della serie sta nella moltitudine di attività collaterali, in primis il combattimento.

Il combat system reca un discreto potenziale, sebbene sia meno intuitivo e profondo rispetto a quello dei predecessori, che era prevelato direttamente da Virtua Fighter. Un grave difetto, il fastidioso input lag, mina però la bontà della tenzone. Una caterva di minigame accompagna da sempre Ryo Hazuki nelle sue peripezie e Shenmue III non vuole essere da meno. Si è già accennato al gioco d'azzardo: è possibile scommettere su tutto, dai dadi alle corse delle rane. Poteva poi mancare il pachinko? Certo che no, ed ecco dunque una pletora di postazioni ad omaggiare uno degli hobby preferiti dai giapponesi. Mancano i cabinati con i grandi classici SEGA, una assenza importante ma inevitabile, dal momento che il titolo non è più sviluppato sotto l'ala protettrice della casa di Tokyo. A compensare la carenza intervengono nuovi passatempi, prima fra tutti la pesca, che però non mostrano lo stesso mordente.


 

Non si possono poi non menzionare i capsule toy, raccolte di minifigure da acquistare presso gli appositi distributori automatici. Anche qui, la separazione da SEGA si fa sentire eccome: non potendo più mettere in palio i pupazzetti di Sonic e compagni, Ys Net non ha trovato di meglio che rimpiazzarli con sostituti tremendamente anonimi, come set di piatti o mobili in miniatura... Quale bambino proverebbe mai interesse per oggetti simili? Sarebbe stato auspicabile uno sforzo in più, per creare qualche mascotte ad hoc da infilare nelle capsule. In generale, la maggioranza dei minigame palesa una mediocrità di fondo, essendo imperniati eccessivamente (se non esclusivamente) sulla fortuna, o comunque su dinamiche fin troppo basilari.

Si ravvisa qualche eccezione, come il lavoro da taglialegna che, pur essendo anch'esso piuttosto elementare, sfrutta sapientemente il desiderio costante di migliorare il proprio punteggio massimo, tipico degli arcade. A proposito dei mestieri, ricordiamo come la necessità di svolgere mansioni ripetitive in continuazione, per guadagnare denaro o un alloggio, fosse senza dubbio l'aspetto più tedioso dei primi due Shenmue; ma col terzo episodio, essa si è fatta molto meno impellente (e di questo siamo grati).


Se la paternità dell'espressione "quick time event" è stata attribuita proprio a Yu Suzuki, un motivo ci sarà. Shenmue III sovrabbonda di sequenze dove è necessario premere il pulsante visualizzato a schermo col giusto tempismo. Questa scelta mostra il fianco alle critiche oggi come lo faceva due decadi orsono, perché minimizza l'interazione fino a farci sentire spettatori, ma il problema va ben oltre. I QTE sono infatti talmente veloci che, a meno di non vantare riflessi prodigiosi, verranno sbagliati molto di frequente. Come se non bastasse, manca spesso un nesso logico fra il tasto selezionato e il corrispettivo evento: correlare le due cose avrebbe permesso di scorgere uno schema che, consentendo in qualche modo di intuire il comando successivo, avrebbe elevato la pratica a qualcosa di più di una mera questione di riflessi.

Il gameplay fin qui descritto risulterà indigesto a molti stomaci, come del resto già fu all'epoca del Dreamcast (non a caso, in quanto a vendite, i primi due Shenmue vengono annoverati -ahimè- fra i più clamorosi flop dell'industria videoludica). Riproporre nel 2019 le medesime meccaniche compassate, coi suoi tempi morti e la penuria di azione adrenalinica, significa pregiudicare irrimediabilmente l'appeal nei confronti del grande pubblico. Una svecchiata non avrebbe comunque sancito il successo dell'operazione, perché l'opera di Suzuki, per sua natura, è destinata a rimanere un prodotto di nicchia; tuttavia, almeno ringiovanire qualcuno degli aspetti più vetusti sarebbe parso doveroso. A dire il vero, è stato compiuto qualche timido tentativo di inserire nuove meccaniche, ma gli esiti si sono rivelati nefasti: l'esempio più eclatante sono gli scellerati livelli del combat system.


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Senza gli storici cabinati SEGA, andare in sala giochi non è la stessa cosa

Ebbene, il kung fu di Ryo è ora regolato da livelli di forza in stile RPG. Per sconfiggere i nemici, che si fanno via via più potenti col proseguio della storia, è fondamentale incrementare tali livelli. Come? Attraverso orribili sessioni di allenamento, che non si può evitare di ripetere una infinità di volte. Un grinding selvaggio, assolutamente insensato, che porta via ore e si arriva addirittura a rimpiangere le noiosissime giornate trascorse a immagazzinare casse o trasportare libri, nei due predecessori. Oppure l'introduzione della stamina, che si scarica di continuo e impone di consumare appositi item per ripristinarla (cibarie), in maniera tanto frequente quanto seccante.

Queste aggiunte autolesioniste appesantiscono ulteriormente il gameplay di Shenmue III, che sfigurerebbe di fronte ai precursori perfino se fosse uscito nel 2002... Tuttavia, se si riesce a superare queste asperità (soprattutto ad accettare la lentezza del ritmo), si scoprirà una esperienza dalla spiccata personalità, un mondo che preme sull'immersività e si lascia toccare con mano, attraverso una commistione di generi ludici. Questa formula, seppur tanto vecchia, è più originale di quella di molti giochi ben più recenti, perché è rimasta estranea all'influenza degli open world moderni. Ricordiamo infatti che i primi due Shenmue sono anteriori a GTA 3, ossia al titolo che, nel bene e nel male, ha definito il paradigma dell'open world contemporaneo.

Riguardo al sistema di controllo, è consigliato munirsi di un gamepad. Provato col Controller Xbox 360, Shenmue III propone un layout dei tasti decisamente migliorabile, con alcuni comandi inopportunamente sovrapposti sullo stesso pulsante e scelte poco comprensibili, come l'accesso ai menu assegnato ad un dorsale anziché a Start. Per non parlare di Ryo che, nonostante siano trascorsi tanti anni, si ostina a muoversi con la stessa rigidità dei tempi in cui il 3D nei videogame era ancora acerbo. Dirigerlo è una impresa a tratti imbarazzante, quando sale una scala o quando cambia di direzione esibisce la stessa grazia di un carro armato.

La grafica di Shenmue III coniuga uno stile apprezzabile ad un comparto tecnico balbettante. L'architettura orientale degli edifici e l'attenzione ai dettagli degli interni rendono l'ambientazione urbana molto gradevole da ammirare mentre, quando si sta all'aria aperta, gli scorci naturali della regione di Guilin fanno bella mostra di sé, sebbene le texture non siano sempre definite. Decisamente meno riusciti i personaggi, raffigurati secondo un character design piuttosto bizzarro e legnosi nelle animazioni. Un frame rate tutt'altro che granitico causa incessanti episodi di stuttering e, in un paio di situazioni, si è addirittura bloccato il gioco, segno di bug ancora da risolvere. I primi due capitoli della serie soffrivano di pop-up dei personaggi, che venivano visualizzati a schermo con ritardo; nel terzo, Ys Net è riuscito nell'incredibile impresa di peggiorare la situazione! Il che appare parecchio ironico, considerando la differenza che corre fra il Dreamcast e gli hardware odierni.


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Ci sono ancora i maestri che insegnano nuove mosse a Ryo, ma impararle non è significativo come nei primi capitoli della serie

L'audio rappresenta di gran lunga la nota più positiva di Shenmue III. Un vasto repertorio di temi orchestrati, che attinge con furbizia alle colonne sonore dei predecessori (fra le migliori della storia dei videogame), garantisce una esperienza uditiva di grandissimo spessore, dove gli strumenti della tradizione cinese assumono un ruolo importante. In particolare, ci è piaciuto come ogni negozio abbia il suo tema dedicato così che, varcando la soglia d'ingresso, ogni volta sembra di entrare in un piccolo mondo a sé stante. La transizione fra una musica e l'altra è perfezionabile, sovente capita che un brano venga interrotto troppo bruscamente.

Il doppiaggio è disponibile in lingua giapponese o inglese: noi abbiamo selezionato il nipponico, per ragioni di aderenza all'originale (anche se, a rigor di logica, tutti dovrebbero esprimersi in mandarino, mentre Ryo non dovrebbe capire un'acca dei discorsi... Ma si tratta di una contraddizione che è stata ereditata da Shenmue 2). Sentire parlare ogni singolo personaggio non fa la stessa impressione di 20 anni fa, ma è comunque soddisfacente, perché le interpretazioni sono quasi sempre azzeccate. Quel "quasi" è doveroso per via di due enormi eccezioni: i due protagonisti, che per lunghi tratti suonano poco convincenti. Vuoi per le voci poco espressive, vuoi per il tenore artificiale dei dialoghi, abbruttiti da battute infelici: troppo spesso vengono fornite risposte abbozzate in monosillabi. Si aggiungano i sottotitoli non sempre fedeli, che gettano qualche ombra sulla bontà della traduzione.

In conclusione, non possiamo evitare di porci la domanda: perché riesumare il glorioso nome di Shenmue, una Reliquia dell'universo videoludico, salvo poi dare alla luce un seguito realizzato in maniera così approssimativa? Shenmue III nasce per i fan e grazie ai fan, che hanno finanziato il progetto sulla fiducia, spinti dall'affetto mai sopito per la saga. La presenza dei backer di Kickstarter è tangibile pure in game, con la quarta parete che si infrange più volte, in certi frangenti in modo fastidioso purtroppo. L'obiettivo del gioco, lo scopo che ne giustifica l'esistenza, è quello di proseguire il racconto della storia, che Yu Suzuki si propone di portare a termine in futuro. Ma questa storia, davvero merita di venire ascoltata? Perché le vicende sono incoerenti, poco avvincenti e culminano in un finale frettoloso.


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Il porto di Niaowu. Questa location è decisamente più densa di punti di interesse del villaggio iniziale

La medesima struttura narrativa viene ripetuta sia a Bailu che a Niaowu; i fatti esposti, invece di comporre un intreccio coinvolgente, sembrano meri pretesti per allungare il brodo e, dopo aver tanto atteso questo terzo capitolo, ci si sente quasi traditi. Da appassionato, pur di scoprire come continua Shenmue, sono stato disposto a chiudere un occhio (se non entrambi) su molti dei difetti: ho sorvolato sull'apparato tecnico zoppicante, che in fondo è conseguenza del budget modesto; ho accettato di buon grado le meccaniche obsolete e sopportato il grinding, i bug, i menu scomodi, i tempi morti e tutto quello che di cattivo mi è stato offerto. Ho accusato il colpo di fronte alla minore immersività del mondo, uno dei pochi compromessi ai quali non sono stato disposto a scendere, ma ho comunque tenuto duro fino ai titoli di coda.

Però, una volta conclusa l'esperienza, non riesco a spiegarmi perché sia uscito un titolo che ha così poco da dire anche a livello di storia, dopo che Yu Suzuki ha avuto ben 18 anni per rifinire la scrittura di Shenmue III. Spero che da queste righe si avverta il rammarico che ho provato per quella che considero una grande occasione sprecata. Sotto la pesante coltre di difetti, infatti, è ancora tangibile un nucleo che si rivolge ai cultori degli arcade, ma anche ai collezionisti (è arduo resistere all'impulso di abbandonarsi alle attività secondarie, con le ore che volano via a decine nello sforzo di completare tutte le raccolte), intriso di un citazionismo che farà felici i nostalgici di SEGA. Oltre a questo, Shenmue si conferma come una delle migliori fra le opere che inscenano il contrasto fra la tradizione e la modernità.