Recensione Spellforce 3: Soul Harvest

Ritornando tutti a casa

Recensione Spellforce 3 Soul Harvest

A distanza di quasi due anni dalla pubblicazione del precedente capitolo, THQ Nordic ha finalmente deciso di dissotterrare uno dei franchise di maggior successo dal fondo al proprio scaffale, confezionando per l’occasione una espansione standalone interamente dedicata a Spellforce.

Soul Harvest scende sul campo forte del proprio background videoludico, riportando in auge quella formula inedita capace di creare un buon equilibrio tra gioco di ruolo (RPG) e strategico in tempo reale (RTS).

Il caso vuole che inoltre l’intero capitolo può essere giocato anche da chi non possiede nella propria libreria il terzo capitolo, risultando addirittura coerente con la storia vissuta nel 2017 senza lasciare spaesati coloro che ci entrano in contatto per la prima volta.


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UN REGNO DA SALVARE

Ambientato due anni dopo le Guerre della Purezza, Soul Harvest ci fa vestire i panni di un generale caduto in disgrazia, richiamato ai ranghi dalla regina del regno di Nortander per combattere una misteriosa minaccia.

L’incipit dell’avventura potrebbe risultare apparentemente sconclusionato, ma esplorando il mondo di gioco si possono trovare tantissime nozioni e dialoghi approfonditi, pronti a spiegare nel dettaglio non solo tutta la lore legata all’ambientazione, ma anche i tasselli mancanti che ricostruiscono il background del protagonista e quello dei personaggi comprimari.

Il generale Aerev, nostro avatar nel gioco, viene posto alla guida del contingente speciale soprannominato Wolf Guard, ma dalle prime missioni si avverte una piccola rottura sul ritmo della narrazione, complice un intervallarsi di incarichi considerevolmente sottotono. Non si percepisce l’epicità della missione descritta nell’incipit, o quantomeno, si finisce con il sottostare a delle regole invisibili che vengono ridimensionate solo quando si entra nelle fasi strategiche in tempo reale.

Non è che le fasi ruolistiche siano noiose, lungi comunque da noi spoilerarvi alcun elemento della trama, ma alcuni dubbi sulla caratterizzazione del protagonista emergono proprio grazie alle caratteristiche del suo background. Contrariamente a questo appaiono invece molto interessanti alcuni scambi tra i membri del nostro party, che danno vita a piacevoli situazioni ruolistiche enfatizzate dal background culturale e razziale di ognuno di loro. Ecco, si può tranquillamente affermare che in questo caso la localizzazione in lingua italiana ha aiutato parecchio la permanenza nelle terre di Nortander, semplificando la lettura di dialoghi lunghi ma per nulla tediosi.


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L’IMPORTANZA DELLA FORMULA

Dopo aver scelto se affrontare la campagna in singolo o in cooperativa, nonché creato il personaggio grazie a un tool efficiente ma poco articolato, dovremo infine affrontare il tutorial iniziale utile a conoscere la griglia di comandi e l’interfaccia presenti nel gioco. L’avanzamento del personaggio segue le solite regole standard di progressione grazie ai level-up che permettono di aumentare alcuni punteggi caratteristica, scegliendo contemporaneamente un’abilità da sbloccare e posizionare nella nuova quick bar. Quest’ultima è forse un po’ troppo riduttiva per includere tutte le abilità dei quattro eroi presenti nel team e alcune volte si finisce, malauguratamente, per sbagliare selezione usando magari una skill al momento sbagliato.

I diversi skill-tree hanno mantenuto la loro grafica accattivante vista nel precedente capitolo, complice una formula di gameplay ormai consolidata nel tempo, che ha subito in questo caso alcuni ritocchi intelligenti al fine di risultare più completa. L’inserimento delle due razze extra, ovvero quella dei nani e degli elfi scuri, garantisce ottimi livelli di longevità non solo all’interno della campagna principale, ma anche nella modalità multigiocatore (ci vorranno una ventina di ore per portare a termine l’avventura).

Dobbiamo ammettere che l’intervallo tra le fasi RPG e RTS è abbastanza macchinoso, ma non per questo meno divertente di quanto riscontrato in passato. Grimlore Games ha fatto un buon lavoro nel contestualizzare entrambe le modalità, inserendo per esempio le unità volanti da dispiegare sul campo oppure modificando la gestione delle risorse (legno, pietra, carbone) assegnandogli un valore diverso a seconda della razza. Esplorando la mappa di gioco il nostro team può anche trovare diversi bauli con all’interno alcune di queste risorse, ma la loro ricerca spesso è piuttosto inutile dato che numericamente si parla di un ammontare davvero irrisorio.

Tecnicamente il gioco si dimostra perfettamente al passo coi tempi, capace di ricreare un mondo fantasy estremamente dettagliato e convincente, grazie alla presenza di un comparto texture preciso e a un level design veramente sopra le righe. Anche il comparto d’illuminazione riesce a fare faville durante l’intervallarsi delle ambientazioni e probabilmente l’unico vero difetto, al netto di quanto si potrebbe immaginare, risiede nella lunghezza dei caricamenti tra una schermata e l’altra. Le lunghe attese finiscono infatti per smorzare un po’ l’entusiasmo e non osiamo immaginare come questa lentezza potrebbe ripercuotersi negativamente su piattaforme hardware al di sotto della media. Una piccola nota di pregio va spesa inoltre per il doppiaggio inglese, diversificato e sinceramente molto appagante da ascoltare proprio perché riesce a conferire spessore anche alle unità più “marginali”.


Versione Testata: PC

7.5

Voto

Redazione

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Recensione Spellforce 3: Soul Harvest

Soul Harvest dimostra ancora una volta che un lavoro attento porta sempre i suoi frutti, maggiormente quando ci si rende conto che una formula funzionale non ha bisogno di grandi stravolgimenti seppur diversa dalle controparti di settore. Il binomio RPG/RTS funziona, peccato solo per quei dannati caricamenti che alla lunga finiscono davvero per smorzare discretamente l’entusiasmo.

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