Recensione The Outer Worlds
Persi tra le stelle
Come in un rocambolesco ritorno al futuro “fatto al contrario”, potremmo iniziare questa recensione indicandovi che The Outer Worlds, l’ultimo lavoro sviluppato da Obsidian (con Tim Cain e Leonard Boyarsky tra le fila) è un gioco di ruolo sci-fi dalla duplice natura: se da un lato esprime con incredibile minuzia una sceneggiatura impeccabile, persino accompagnata da una punta di sagacia, dall’altro lascia emergere un sistema di gioco altalenante, che sembra soffrire di alcune limitazioni tecniche importanti.
Cosa succede una volta iniziato il viaggio nel sistema solare di Alcione? Scopriamolo insieme.
ROCK’N’ROLL BABY
L’inizio di questa nostra è tanto rocambolesco, quanto divertente. All’interno di un’arca contenente una moltitudine di persone in stasi in attesa di essere destate, noi veniamo invece letteralmente “rapiti” da uno scienziato pazzo, pronto a sottrarci al nostro sonno criogenico per gettarci in un’avventura epica dove una serie di corporazioni è in lotta per il dominio sul sistema solare di Alcione.
Come una variabile impazzita all’interno dell’equazione, ci troveremo a compiere scelte importanti che potranno influenzare il futuro degli abitanti di questo insieme di pianeti, stretti all’interno di una morsa che non sembra corrispondere alle promesse ricevute prima di partire dal pianeta Terra.
Il mondo di gioco è infatti un tripudio caotico alla belligeranza sottotraccia, un equilibrio precario dove ognuno cerca di campare alla meglio delle proprie possibilità, trovandosi spesso a sottostare ad alcune regole ferree imposte da un ente tirannico che impone tasse da pagare persino dopo la propria morte.
Tutte questi piccoli accenni emergono già dalle prime battute, in una sessione di tutorial dove ci vengono presentati non solo gli elementi di gioco presenti, ma anche tutta una serie di sfaccettature interessanti che servono a descrivere i connotati del titolo stesso, in quel gioco di luce e ombre indicatovi nella prefazione. Il tool di creazione trae piena ispirazione dai giochi di ruolo “vecchio stampo”, dove le abilità vengono suddivise in macro aree di competenza (mischia, distanza, comunicazione, tecnologia, etc) che comprendono perk specifici da assegnare tenendo conto del proprio stile di gioco.
Chiaramente non finisce qui, giacché il sistema include persino la possibilità di scegliere una sorta di background, qui viene chiamata Attitudine, concludendo poi l’intero processo con un livello di personalizzazione estetica interessante, che però non viene poi enfatizzato doverosamente visto che Outer Worlds può essere giocato solo in prima persona.
Partendo per il nostro viaggio siderale incontreremo tantissimi personaggi pronti a raccontarci le loro vite, configurando ogni storia in un caleidoscopio di esperienze pronte a creare il mosaico alle spalle del titolo di Obsidian. A livello di scrittura si nota un’enfasi e una cura così certosina dei particolari che è davvero difficile, se non addirittura impossibile, poter commentare in qualche modo negativamente la resa sotto quel punto di vista, visto che ogni NPC possiede tutte le doti per tenerci incollati allo schermo ad ascoltare ciò che hanno da dirci.
Sinceramente abbiamo trovato lievemente abbozzato l’utilizzo della dialettica in alcune situazioni e forse, sottolineiamo il forse, la difficoltà del gioco tende sotto quel punto di vista a semplificarci la vita, portandoci spesso a risolvere i momenti più molesti col semplice uso della dialettica. Ok che la penna ferisce più della spada, ma non è carino rubare degli oggetti di fronte alle guardie e scamparla poi con un tiro di persuasione con soglia quindici punti.
Come non è bello vedere quel parametro salire in modo direttamente proporzionale ai punti spesi da noi per il nostro level up. Insomma, sembra che in casa Obsidian abbiano voluto rendere le cose più semplici sotto quel punto di vista, inserendo le modalità difficile e supernova solo per modificare i parametri legati al combattimento (la seconda modalità contiene il permadeath dei compagni).
Ecco, a livello teorico è interessante come i compagni possano donare al nostro personaggio dei bonus su determinati perk, tipo Parvati che ci aiuta con le prove di ingegneria, o Ellie con quelle di medicina e così via. Bello, ma poi lievemente troppo semplificativo quando ci troveremo a fare determinate scelte in merito. Resta comunque doveroso sottolineare che la presenza dei personaggi comprimari rende il nostro viaggio per la galassia molto più divertente, diluendo i tempi di una campagna che per l’intera vicenda principale (senza lo svolgimento delle secondarie dunque) ci terrà impegnati per una ventina di ore. Il consiglio resta sempre lo stesso per questa tipologia di giochi: prendetevi il vostro tempo ed esplorate ogni anfratto alla ricerca di un quest giver secondario, perché possiamo garantirvi che ne vale davvero la pena.
BOTTE DA ORBI
Per quanto concerne la struttura legata al gameplay, Outer Worlds non nasconde una certa inclinazione alla semplificazione per questo campo, facendo giusto in modo di fare una sorta di compitino a casa senza infamia e senza lode. La possibilità di menare le mani verso il prossimo con le armi in mischia, o a distanza, si rivela infatti perfettamente in linea con giochi dello stesso genere (chiaramente il primo a venirci in mente è Fallout) solo che non sembra volerne approfondire le situazioni offrendo una serie di hit box abbozzate, accompagnate da un sistema di mira e danni che non brillano per profondità, un po’ come le sessioni stealth proposte sempre all’interno del gioco.
Avremmo preferito qualcosa di più, inutile negarlo, come avremmo preferito che l’intelligenza artificiale sfruttasse meglio coperture e/o situazioni di gruppo per diventare più temibili nei confronti di un giocatore più skillato. In questo senso anche i compagni del protagonista soffrono di questa stessa pigrizia in termini di scelte, tant’è che vi capiterà spesso di vederli andare ko quasi subito a patto che non gli settiate una modalità di ingaggio a distanza, evitandogli di prendere buona parte dei danni subito al posto vostro.
Non serve dirvi che Outer Worlds prevede anche un sistema di danni elementali, o qualcosa del genere, che servirà a semplificare la vostra vita negli scontri più animati (i robot odiano il danno elettrico), ma queste sono cose che un giocatore di ruolo mastica a colazione insieme a pane e persuasione. Buona parte degli scontri può risolversi con un dialogo azzeccato, altra componente che enfatizza maggiormente l’utilizzo delle parole al posto delle maniere forti.
Per accompagnare il giocatore nel suo viaggio, a supportare la classificazione e la gestione delle armi interviene un sistema di crafting basico ma interessante, che tramite le stazioni dedicate permetterà al protagonista di riparare, riciclare e modificare ogni utensile nel proprio inventario tra armature e armi. La manipolazione è forse l’aspetto più interessante, dato che al costo di qualche bit (la moneta virtuale in gioco) ci consente di incrementare il danno delle nostre armi, ma anche la modifica vera e propria con le parti da trovare in giro, o comprare, regala delle piccole soddisfazioni, soprattutto quando imbraccerete un lanciagranate modificato per ogni evenienza.
Continuiamo a sottolineare il peso di una modalità in terza persona, sinceramente piacevole da usare per vedere il nostro personaggio in più occasioni, ma le tante piccole sfaccettature di Outer Worlds, qualora enfatizzate e comprese meglio dagli sviluppatori che ci hanno lavorato, potranno magari dar vita a tante patch pronte a regalarci nuove emozioni nel sistema solare di Alcione.
Versione Testata: Xbox One
Voto
Redazione