Red Dead Revolver
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Saltiamo i preliminari, ovvero i paragoni col cinema di Sergio Leone, i film di Clint Eastwood e le sfide davanti ai saloon. Siamo nel Far West, una terra pericolosa e infida dove gli sceriffi sono impotenti di fronte alla violenza e il miglior metodo per farsi giustizia da soli è la pistola. O il fucile. Il cinema l'aveva lasciato in disparte per una decina d'anni per poi ripresentare nelle sale, pochi mesi fa, Terra di Confine (con Kevin Costner e Robert Duvall). L'entertainment elettronico invece, dopo non avergli mai riposto grande considerazione, tira fuori Dead Man's Hand e ora questo Red Dead Revolver, sparatutto della Rockstar dalla genesi piuttosto travagliata, con cambio di software house annesso e connesso.
Una ricostruzione vivace e rigorosamente ispirata a quanto mostrato negli spaghetti-western anni sessanta: su questi presupposti si innesta la trama, che ricalca perfettamente gli stereotipi del genere e dove domina il concetto di vendetta e dell'arma come unico modo per risolvere le cose, in un universo western puntigliosamente ricreato (anche con l'uso di toni parodistici) che non lascia nel dimenticatoio i saloon con le prostitute, le sparatorie a bordo di treni e le fattorie in fiamme infestate da orde di scagnozzi che tirano piombo a destra e a manca. Sotto questo aspetto RDR non è certo anticonformista, non si ingegna per creare qualcosa di originale ma si adegua al vento che tira, con la classica vicenda alimentata dalla sete di vendetta del protagonista e il cattivone di turno e i suoi scagnozzi da far fuori.
Riprodurre il genere western: da questo proposito, portato avanti minuziosamente dai programmatori della Rockstar, prende forma Red Dead Revolver, che vorrebbe trascendere il significato di sparatutto in terza persona e proporre qualcosa di nuovo al pubblico. Ne sono un esempio lampante le sfide in slow motion contro qualche temibile avversario (si estrae la pistola e si spara ai punti vitali del nemico), sulla falsariga di quanto stravisto nei film dove si tirava fuori la pistola e chi aveva miglior mira e velocità rimaneva in vita. Una soluzione felice, ampiamente ricorrente, ma che in sostanza non aggiunge niente di nuovo. Il gameplay si articola in poche varianti, che come le corde di una chitarra corrono parallelamente senza mai incrociarsi, suddivise in livelli che da sole possono essere considerate come reparti stagni. Ragionevolmente bisognerebbe parlare di corde di basso, visto il numero esiguo di varianti a disposizione del giocatore che oltre ai livelli "classici", trova ben poco. Lo stage del saloon che si trasforma in teatro di un rissa furibonda, si macchia di tinte da beat'em up e vale giusto una piccola menzione per superficialità realizzativa. D'altra parte, è caratteristica di ancora numerosi titoli la scarsa differenziazione delle meccaniche di gioco da livello a livello, per quanto la moda di mixare più generi sia sempre in voga e i titoli "puri" siano sempre meno, al contrario di quelli spuri contaminati da tanti altri generi.
Una ricostruzione vivace e rigorosamente ispirata a quanto mostrato negli spaghetti-western anni sessanta: su questi presupposti si innesta la trama, che ricalca perfettamente gli stereotipi del genere e dove domina il concetto di vendetta e dell'arma come unico modo per risolvere le cose, in un universo western puntigliosamente ricreato (anche con l'uso di toni parodistici) che non lascia nel dimenticatoio i saloon con le prostitute, le sparatorie a bordo di treni e le fattorie in fiamme infestate da orde di scagnozzi che tirano piombo a destra e a manca. Sotto questo aspetto RDR non è certo anticonformista, non si ingegna per creare qualcosa di originale ma si adegua al vento che tira, con la classica vicenda alimentata dalla sete di vendetta del protagonista e il cattivone di turno e i suoi scagnozzi da far fuori.
Riprodurre il genere western: da questo proposito, portato avanti minuziosamente dai programmatori della Rockstar, prende forma Red Dead Revolver, che vorrebbe trascendere il significato di sparatutto in terza persona e proporre qualcosa di nuovo al pubblico. Ne sono un esempio lampante le sfide in slow motion contro qualche temibile avversario (si estrae la pistola e si spara ai punti vitali del nemico), sulla falsariga di quanto stravisto nei film dove si tirava fuori la pistola e chi aveva miglior mira e velocità rimaneva in vita. Una soluzione felice, ampiamente ricorrente, ma che in sostanza non aggiunge niente di nuovo. Il gameplay si articola in poche varianti, che come le corde di una chitarra corrono parallelamente senza mai incrociarsi, suddivise in livelli che da sole possono essere considerate come reparti stagni. Ragionevolmente bisognerebbe parlare di corde di basso, visto il numero esiguo di varianti a disposizione del giocatore che oltre ai livelli "classici", trova ben poco. Lo stage del saloon che si trasforma in teatro di un rissa furibonda, si macchia di tinte da beat'em up e vale giusto una piccola menzione per superficialità realizzativa. D'altra parte, è caratteristica di ancora numerosi titoli la scarsa differenziazione delle meccaniche di gioco da livello a livello, per quanto la moda di mixare più generi sia sempre in voga e i titoli "puri" siano sempre meno, al contrario di quelli spuri contaminati da tanti altri generi.