Resident Evil Deadly Silence
di
Pietro Puddu
In un primo momento, l'idea di giocare per l'ennesima volta un titolo trito e ritrito come Resident Evil, per giunta nella sua antiquata edizione originale, non appare affatto una prospettiva esaltante; non manca la curiosità di sperimentarne il funzionamento su una console portatile anomala come il NDS, ma storcere un po' il naso o assumere un'aria di sufficienza mentre si infila la scheda di gioco nell'apposito slot potrebbero essere delle reazioni quasi istintive.
Poi l'avventura comincia, come di consueto, come tante altre volte sin dal 1996.
O meglio, una differenza c'è: prima di selezionare senza esitazione la id card di Jill (pur composta da un paio di poligoni in croce, la soldatessa rimane ben più fascinosa di quel marmittone di Redfield) si può stavolta optare per la modalità Rinascita, che promette di non far rimpiangere il prezzo del biglietto in virtù di alcune sorprese e variazioni sul tema, condite da interazioni tattili e microfoniche.
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Dopo qualche ora, si realizza ciò che pareva a torto dimenticato: Resident Evil, a prescindere da qualsiasi orpello o aggiunta, è un vero classico. E' un classico intramontabile nonostante la schematicità disarmante del sistema di locomozione, la trascurabile interattività con scenari in bitmap nemmeno tanto dettagliati, le ripetitive e poco fantasiose dinamiche dell'esplorazione, i lunghi giri viziosi scanditi da porte chiuse a chiave, bauli magici e punti di salvataggio. O forse è un classico proprio per la somma alchemica dei precedenti fattori, in grado di rendere intrigante e sornione un gameplay apparentemente appesantito dalle continue limitazioni e forzature imposte al giocatore.
La raccolta di erbette medicinali da mescolare, armi e munizioni, la risoluzione di puzzle ottusamente scontati (l'espressione "manovella esagonale nel buco esagonale" è diventata paradigmatica nel descrivere una certa tipologia di enigmistica videoludica) e l'abbattimento dei redivivi zombies, sono semplici azioni assurte alla valenza di gesti rituali, quasi primitivi, da celebrare attraverso un'interfaccia più comoda di quel che si potrebbe pensare. Nella stessa ottica "cerimoniale", per il veterano della serie, la magione Spencer ed i suoi dintorni sono come una seconda casa, come un tempio di tenebra - in quanto familiare - paradossalmente rassicurante; sul tavolino la macchina da scrivere, dietro l'angolo la rampa di scale, nella sala da pranzo il ticchettio dell'orologio a pendolo, in fondo al corridoio il cadavere in decomposizione di Kenneth. Tutto al suo posto. Aggirarsi tra i piani, i giardini ed i sotterranei della dimora infestata, determinando gli sviluppi di una trama da b-movie suggestiva nell'ingenuità di dialoghi e personaggi, è un'esperienza ancora appagante e densa di pathos; pur a conoscenza del momento in cui il cane indemoniato irromperà dalla finestra o il morto vivente sbucherà dall'armadio, il giocatore si ritrova suo malgadro a compiacersi di tali piccoli spaventi.
Se in origine Resident Evil rappresentò la massima espressione dell'orrore videoludicamente indotto, il passare degli anni e l'inevitabile evoluzione tecnologica del medium hanno finito per ridimensionarne l'impatto emotivo puramente legato ad estetica e sonoro; ciò che invece è rimasta inalterata è la componente survival, la persistente sensazione di trovarsi sul filo della dipartita, la smaniosa esigenza di amministrare un equipaggiamento risicato e di pianificare le rotte più rapide ed indolori della perlustrazione. Immutato è pure il ruolo di quel "gore" tanto caro alla cinematografia di George Romero, fatto di mutilazioni, cannibalismo, decapitazioni di non-morti a colpi di shotgun, vomiti corrosivi, impronte sanguinolente sulle pareti: uno stile rappresentativo lontano dall'essere dettagliato non compromette l'effetto scenico.
Gli elementi inediti di cui il gameplay è stato arricchito non si distinguono per quantità e non sono così determinanti da rinnovare significativamente l'intima essenza dell'horror di Capcom, ma appaiono integrati alla perfezione. Limature poco appariscenti come l'estrazione rapida del coltello, la ricarica in-game dell'arma da fuoco, il puntamento automatico, l'inversione di marcia istantanea e lo snellimento della schermata d'inventario direttamente mutuati dalle più moderne incarnazioni della serie insieme alla mappa mostrata costantemente sul secondo display e alle animazioni delle porte skippabili, contribuiscono in maniera preziosa a fluidificare i ritmi di gioco, rischiando di passare inosservate per la naturalezza con le quali se ne usufruisce.
Più roboante è il ruolo interpretato dall'interazione manuale con il touch screen in alcuni minigiochi, disseminati con studiata parsimonia nel corso dell'avventura, ma soprattutto in particolari scene di combattimento in soggettiva: mimando con il dito o col pennino i fendenti di lama nelle diverse inclinazioni, si dovrà respingere l'assalto di ondate casuali di creature macilente, cercando di realizzare combo e counter con il giusto tempismo. Picchiettare lo schermo inferiore si renderà utile per liberarsi dall'abbraccio di cadaveri ambulanti troppo affettuosi (dolorosissima l'apposita ginocchiata adoperata da Jill) o per divertirsi ad infastidire nelle vesti di "divinità" dispettosa il proprio avatar, come se non avesse già i suoi problemi a tener salva la pelle. E' quindi da sottolineare come Resident Evil, nonostante una formula di gioco poco predisposta all'occasionalità della fruizione portatile, riesce a farsi apprezzare anche su DS; pare impossibile che a distanza di tanti anni un cast di personaggi da horror movie di seconda categoria, un'ambientazione ormai esplorata in lungo e in largo in decine di occasioni e un gameplay tanto limitativo quanto intrigante riescano comunque a catalizzare l'interesse del videogiocatore e a rapirlo per ore.
Poi l'avventura comincia, come di consueto, come tante altre volte sin dal 1996.
O meglio, una differenza c'è: prima di selezionare senza esitazione la id card di Jill (pur composta da un paio di poligoni in croce, la soldatessa rimane ben più fascinosa di quel marmittone di Redfield) si può stavolta optare per la modalità Rinascita, che promette di non far rimpiangere il prezzo del biglietto in virtù di alcune sorprese e variazioni sul tema, condite da interazioni tattili e microfoniche.
Dopo qualche ora, si realizza ciò che pareva a torto dimenticato: Resident Evil, a prescindere da qualsiasi orpello o aggiunta, è un vero classico. E' un classico intramontabile nonostante la schematicità disarmante del sistema di locomozione, la trascurabile interattività con scenari in bitmap nemmeno tanto dettagliati, le ripetitive e poco fantasiose dinamiche dell'esplorazione, i lunghi giri viziosi scanditi da porte chiuse a chiave, bauli magici e punti di salvataggio. O forse è un classico proprio per la somma alchemica dei precedenti fattori, in grado di rendere intrigante e sornione un gameplay apparentemente appesantito dalle continue limitazioni e forzature imposte al giocatore.
La raccolta di erbette medicinali da mescolare, armi e munizioni, la risoluzione di puzzle ottusamente scontati (l'espressione "manovella esagonale nel buco esagonale" è diventata paradigmatica nel descrivere una certa tipologia di enigmistica videoludica) e l'abbattimento dei redivivi zombies, sono semplici azioni assurte alla valenza di gesti rituali, quasi primitivi, da celebrare attraverso un'interfaccia più comoda di quel che si potrebbe pensare. Nella stessa ottica "cerimoniale", per il veterano della serie, la magione Spencer ed i suoi dintorni sono come una seconda casa, come un tempio di tenebra - in quanto familiare - paradossalmente rassicurante; sul tavolino la macchina da scrivere, dietro l'angolo la rampa di scale, nella sala da pranzo il ticchettio dell'orologio a pendolo, in fondo al corridoio il cadavere in decomposizione di Kenneth. Tutto al suo posto. Aggirarsi tra i piani, i giardini ed i sotterranei della dimora infestata, determinando gli sviluppi di una trama da b-movie suggestiva nell'ingenuità di dialoghi e personaggi, è un'esperienza ancora appagante e densa di pathos; pur a conoscenza del momento in cui il cane indemoniato irromperà dalla finestra o il morto vivente sbucherà dall'armadio, il giocatore si ritrova suo malgadro a compiacersi di tali piccoli spaventi.
Se in origine Resident Evil rappresentò la massima espressione dell'orrore videoludicamente indotto, il passare degli anni e l'inevitabile evoluzione tecnologica del medium hanno finito per ridimensionarne l'impatto emotivo puramente legato ad estetica e sonoro; ciò che invece è rimasta inalterata è la componente survival, la persistente sensazione di trovarsi sul filo della dipartita, la smaniosa esigenza di amministrare un equipaggiamento risicato e di pianificare le rotte più rapide ed indolori della perlustrazione. Immutato è pure il ruolo di quel "gore" tanto caro alla cinematografia di George Romero, fatto di mutilazioni, cannibalismo, decapitazioni di non-morti a colpi di shotgun, vomiti corrosivi, impronte sanguinolente sulle pareti: uno stile rappresentativo lontano dall'essere dettagliato non compromette l'effetto scenico.
Gli elementi inediti di cui il gameplay è stato arricchito non si distinguono per quantità e non sono così determinanti da rinnovare significativamente l'intima essenza dell'horror di Capcom, ma appaiono integrati alla perfezione. Limature poco appariscenti come l'estrazione rapida del coltello, la ricarica in-game dell'arma da fuoco, il puntamento automatico, l'inversione di marcia istantanea e lo snellimento della schermata d'inventario direttamente mutuati dalle più moderne incarnazioni della serie insieme alla mappa mostrata costantemente sul secondo display e alle animazioni delle porte skippabili, contribuiscono in maniera preziosa a fluidificare i ritmi di gioco, rischiando di passare inosservate per la naturalezza con le quali se ne usufruisce.
Più roboante è il ruolo interpretato dall'interazione manuale con il touch screen in alcuni minigiochi, disseminati con studiata parsimonia nel corso dell'avventura, ma soprattutto in particolari scene di combattimento in soggettiva: mimando con il dito o col pennino i fendenti di lama nelle diverse inclinazioni, si dovrà respingere l'assalto di ondate casuali di creature macilente, cercando di realizzare combo e counter con il giusto tempismo. Picchiettare lo schermo inferiore si renderà utile per liberarsi dall'abbraccio di cadaveri ambulanti troppo affettuosi (dolorosissima l'apposita ginocchiata adoperata da Jill) o per divertirsi ad infastidire nelle vesti di "divinità" dispettosa il proprio avatar, come se non avesse già i suoi problemi a tener salva la pelle. E' quindi da sottolineare come Resident Evil, nonostante una formula di gioco poco predisposta all'occasionalità della fruizione portatile, riesce a farsi apprezzare anche su DS; pare impossibile che a distanza di tanti anni un cast di personaggi da horror movie di seconda categoria, un'ambientazione ormai esplorata in lungo e in largo in decine di occasioni e un gameplay tanto limitativo quanto intrigante riescano comunque a catalizzare l'interesse del videogiocatore e a rapirlo per ore.
Resident Evil Deadly Silence
7.5
Voto
Redazione
Resident Evil Deadly Silence
Chi si aspettava da Capcom un porting diretto realizzato con sufficienza dovrà ricredersi; le innovazioni introdotte in Deadly Silence non saranno così appariscenti o profonde, ma riescono ad attualizzare le meccaniche del controllo tradizionale e ad impiegare con intelligenza le caratteristiche peculiari dell'hardware Nintendo; l'implementazione del multiplayer (affrontabile sia in cooperativa che in competizione da quattro giocatori) è cosa gradita, ma non costituisce un grosso motivo rigiocabilità.
Il sistema di salvataggio ancora fondato sui famigerati nastri d'inchiostro e qualche problema di chiarezza dell'immagine - dovuto ad una palette di colori che la retroilluminazione fatica ad evidenziare - possono rendere difficoltosa la caccia allo zombie mentre si è in fila alla posta o al supermercato, ma se vissuto nell'intimità domestica, quando l'oscurità della sera è calata, il survival horror per eccellenza fa ancora scorrere i brividi lungo la schiena.
Il sistema di salvataggio ancora fondato sui famigerati nastri d'inchiostro e qualche problema di chiarezza dell'immagine - dovuto ad una palette di colori che la retroilluminazione fatica ad evidenziare - possono rendere difficoltosa la caccia allo zombie mentre si è in fila alla posta o al supermercato, ma se vissuto nell'intimità domestica, quando l'oscurità della sera è calata, il survival horror per eccellenza fa ancora scorrere i brividi lungo la schiena.