RoboCop: Rogue City: recensione della legge di (Alex) Murphy
RoboCop: Rogue City è un fps di produzione Nacon in cui si seguono le vicende dell'agente Alex Murphy
RoboCop: Rogue City non sembrava convincere nessuno dai primi trailer, nasceva come un’operazione commerciale di Nacon solo per titillare i palati degli irriducibili sopravvissuti agli anni ’80, ma è stato il contatto con la demo a far scoprire un gioiellino (strapieno di limiti) che ha fatto scattare la molla dei pre-order ad una marea di giocatori
Vivo o morto, tu verrai con me
Sarà perché fin dalle prime battute il mood che si respira in RoboCop: Rogue City è davvero ispiratissimo. L’ultra-violenza delle produzioni targate Paul Verhoeven, con protagonista il poliziotto-robot, vertevano a mettere a nudo un’America sempre armata che in un futuro ipotetico si ritrovava con una costante guerra in casa tra il bene e il male. L’agente Alex Murphy entra subito in azione, ma i più attenti riconosceranno già dai primi minuti l’attenzione alla drammaticità-comica dei telegiornali del tempo, alle pettinature super cotonate dei protagonisti e alle cause che portano l’uomo d’acciaio a dover entrare in azione, sempre aiutato dall’agente Anne Lewis al suo fianco – per ovvi motivi quindi i fatti sono svolti pre-Robocop 3 – e ne fanno un perfetto episodio che avrebbe potuto concorrere ad essere una pellicola.
In questo episodio tra i cattivi ci sono i classici punk-super-tossici che invadono il canale televisivo più importante di Detroit – sì, sembra un po’ anche un episodio delle Tartarughe Ninja, ma negli anni ’80 andava di moda – e andranno sfrondati, dato che sono un mezzo esercito. Se infatti sul fronte grafico è davvero impressionante, il lavoro estetico, ma anche di ricreazione degli ambienti esterni e interni, tutta la parte effettistico-particellare, non lo è da meno nel gameplay puro. Faccio subito una premessa, qui si capisce abbastanza in fretta che non c’è praticamente IA attiva, quasi tutti i nemici cercano di uccidervi frontalmente, pochissimi cercano riparo – anche se talvolta lo fanno – e questo rende la logica dell’azione spettacolare, a livello cinematografico, ma fa scemare anche il minimo senso di realismo.
Quello che, se volete trovare il pelo nell’uovo, c’è però è che quasi tutti i nemici sono strafatti della droga nuke, che dovremo cercare come prova e prelevarne campioni in giro per la mappa, e forse è questo il motivo del loro essere avventati (e non un’intelligenza artificiale banale?). Per quanto Robo-friend si possa pensare che sia indistruttibile, non lo è (giustamente), ma è solo una macchina da guerra con un grande cuore che subisce ferite; quindi, se è vero che colpire i malcapitati è fattibile in poco tempo, subire troppi colpi porterà un game over repentino, quindi sembra che tutto, effettivamente, sia stato pensato bene. Anche uccidere i nemici, sparando in testa, sembra qualcosa che restituisce emozioni piacevoli, ma anche nel caso lo si facesse in altre parti del corpo ci sono risvolti adeguati al feeling dei colpi, quindi in buona sostanza anche qui un buon lavoro.
Il canovaccio narrativo è solido, per una storia che comunque deve portare il nostro poliziotto corazzato da un posto all’altro – e poi si può esplorare liberamente la stazione di polizia originale, che bello! -, c’è ironia, c’è azione e una grandissima quantità di ignoranza. Non si possono negare quindi tutti i suoi difetti – IA in testa, ma anche un costo abbastanza alto –, per un gioco esageratamente lineare, eppure nel suo piccolo funziona davvero benissimo, quindi, che dire? Buona la prima!