Rogue Flight, c’è ancora spazio per i rail shooter – Recensione PS5

La recensione dello sparatutto a scorrimento di Truant Pixel, un’esperienza adrenalinica ispirata agli anime degli anni ‘80 e ‘90, un must per gli amanti del genere

di Jacopo Retrosi

Nel panorama videoludico contemporaneo quando parliamo di sparatutto a scorrimento ci riferiamo ormai ad un genere di nicchia, bistrattato dai più e sulla stessa scia anche dalle grandi compagnie. Tuttavia, spulciando gli store digitali è possibile trovare numerosi esponenti provenienti da altrettanti studi indipendenti, e alcuni sono veramente di pregevole fattura (così su due piedi mi sovviene l’eccellente Devil Blade Reboot di Shigatake Games, ma gli esempi sono tanti); nientemeno che Konami poi ci ha insegnato che volendo è possibile alzare l’asticella, come con il Cygni: All Guns Blazing di KeelWorks (sebbene il risultato finale si dimostrò un po’ traballante).

Rogue Fight: il podcast

E per quanto riguarda invece i rail shooter, gli sparatutto su rotaia? Allora ci troviamo innanzi alla nicchia di una nicchia, che persino nel passato non annovera chissà quanti classici, anche se parliamo di capolavori del calibro di Lylat Wars (o Star Fox 64 se preferite), Space Harrier o After Burner (ma anche Sin and Punishment, REZ, Panzer Dragoon...). Nintendo ci ha riprovato nel 2016 con il suo Star Fox Zero, ma sappiamo tutti com’è andata a finire. 

Tocca insomma rivolgersi ancora una volta verso il mercato indie per poter mettere le grinfie su uno sparatutto appartenente al filone degno di tal nome, ed ecco dunque la proposta di Truant Pixel, con il suo Rogue Flight. Ispirato all’animazione nipponica sci-fi degli anni ‘80 e ‘90 (con tanto di sigla d’apertura), il titolo propone unesperienza arcade impreziosita da elementi "rogue” che aggiungono ulteriore rigiocabilità ad un’opera già di suo improntata a sessioni multiple. Le prime recensioni sono già uscite e sono parecchio positive; saremo della stessa opinione?

 

La storia di Rogue Flight si dipana in una realtà post-apocalittica, tre anni dopo che lArgus, un sistema di vigilanza interstellare, si è ribellato ai suoi creatori, distruggendo le forze di difesa terrestri e gran parte della civiltà umana nel giro di appena tre giorni. I sopravvissuti si sono rintanati nel sottosuolo, e ora la loro unica speranza consiste nell’Arrow, un caccia spaziale iper-avanzato, che dovrà affrontare orde di nemici e viaggiare per il sistema solare in un disperato ultimo tentativo di abbattere l’Argus e riportare la pace. 

Un pretesto narrativo piuttosto semplice, che ci porterà ai quattro angoli della galassia, tra pianeti, satelliti e fasce di asteroidi, in un viaggio alla Lylat Wars con percorsi e finali multipli. La modalità principale annovera tre “route”, rispettivamente da quattro, cinque e sette livelli (la scelta avviene dopo i primi due scenari, propedeutici e uguali per tutte le run), più una quarta sotto la dicitura “New Game+” che si sblocca dopo averle portate tutte a termine (in quanto costituiscono i cosiddetti “bad ending” della storia). La descrizione ufficiale si fa fregio di annoverare nel cast interpreti di un certo prestigio, ma dato che gli unici scambi di battute si riducono perlopiù a briefing e informazioni sommarie non c’è modo di apprezzare appieno i dialoghi, effettivamente di ottima qualità.

Pad alla mano, Rogue Flight propone un rapido ma esaustivo tutorial per apprendere tutti i rudimenti di gioco. Nel suo arsenale di base l’Arrow annovera una mitragliatrice vulkan e dei missili a ricerca, questi ultimi contati e non così potenti, pertanto non ci abbiamo fatto troppo affidamento, più la possibilità di rollare per schivare i proiettili ed eseguire un attacco speciale in derapata con cui affettare i nemici tramite la scia dei propulsori (e il pensiero corre al V2 Gundam NdR). Dai classici droni di rifornimenti abbattuti in giro potremo poi agguantare un cannone a onde, laser, lampi elettrici e pod che gravitano intorno alla navicella, fornendo fuoco di supporto, tutta roba che non stonerebbe in un Gradius a caso. 

Ma c’è di più. Nel menù di selezione è infatti possibile personalizzare ulteriormente la dotazione dell’Arrow optando per un potenziamento offensivo e uno aerodinamico, che si sbloccano gradualmente proseguendo l’avventura e accumulando punti (cumulativi tra le varie sessioni) tra un livello e l’altro, potendo così migliorare i tempi di reazione, quelli di ricarica dello scudo o dell’attacco speciale, la potenza, il rateo di fuoco e le proprietà delle armi, un pacchetto in continua espansione che incentiva a provare l’esperienza più volte e ad incrementare il tasso di sfida per ricompense maggiori (sebbene il titolo si possa “platinare” rimanendo sulla difficoltà più bassa, non ci sono vincoli in tal senso).

Questo particolare denota la componente “roguelite” di Rogue Flight, altrimenti piuttosto tradizionale nel modus operandi, con un sistema di vite (tre per la precisione, quattro in New Game+) che il giocatore dovrà amministrare nel corso della campagna. C’è poi però la modalità “RogueFlite (e l’analoga RogueFlite+”), variante sul tema della modalità principale standard, uguale se non fosse per l’equipaggiamento randomizzato e una singola vita per portare a casa la pellaccia; un diversivo che lascia il tempo che trova, utile per il relativo achievement e per chi vuole mettersi alla prova. 

Tornando alla formula di gioco, il titolo Truant Pixel eccelle con una proposta adrenalinica e divertentissima, molto frenetica e impegnativa al punto giusto, con ben 5 livelli di difficoltà, a cui si appoggia la rockeggiante colonna sonora di Fat Bard per momenti di pura estasi videoludica. L’Arrow si controlla che è una meraviglia (specie con un paio di upgrade mirati) e il feedback delle armi è eccellente, in particolar modo su PlayStation 5 grazie al feedback aptico del Dualsense che aggiunge resistenza al grilletto di fuoco (ci sarebbero anche i messaggi radio provenienti direttamente dagli speaker del pad, ma è più una seccatura che altro).

Dal momento che si mette piede in un livello è un continuo assalto ai sensi, tra nemici che spuntano fuori in ogni dove, proiettili vaganti, esplosioni ed effetti di luce, il tutto impreziosito da un frame rate granitico e un ritmo indiavolato. Ad essere onesti spesso si viene colpiti senza rendersene conto per via della velocità dell’azione, ma a questa bega compensa il sistema di rigenerazione degli scudi della navicella, legato al sistema di combo, che ci obbliga a mantenere costante l’afflusso di eliminazioni.

Insomma i pattern avversari sono tanto semplici (il più delle volte si limitano a sparare nella nostra direzione) quanto insidiosi, complice il volume di fuoco che ci arriva addosso, ma muovendosi costantemente e continuando a inanellare uccisioni è possibile salvaguardare i livelli di salute in vista degli scontri con i boss, a loro volta pericolosi in prima battuta, ma basta prendere confidenza con quei 2-3 attacchi che si ritrovano per buttarli giù senza troppi problemi.

Quanto alle lacune del titolo, dobbiamo lamentare la mancata implementazione di classifiche per gli high-score. Vero, tra le finestre dell’HUD ce n’è una dedicata ai punti accumulati, ma i risultati non vengono mai salvati da qualche parte a fine sessione, non sembra esserci correlazione tra suddetti punti e le combo accumulate, se non marginale, e in linea generale non rivestono alcun ruolo (se non per un paio di trofei). Peccato, sarebbe stato interessante comparare le proprie performance dopo ogni run, specie dopo aver sbloccato il selettore dei singoli livelli.

E a proposito dei livelli, questi a nostro dire sono troppo lunghi e troppo poco variegati al loro interno. Ok, stiamo facendo la spola nel sistema solare, non possiamo aspettarci chissà quali panorami alieni, e la realizzazione dei (pochi) presenti all’appello è impressionante per atmosfera e uso dei colori, ma avremmo preferito scenari un pelo più brevi, creativi e in maggior numero, almeno per distinguere meglio i vari percorsi. Non aiuta poi il fatto che le tipologie di nemici si contano sulle dita di una mano e ce le ritroveremo a più riprese nel corso delle numerose ondate, rendendo l’esperienza più monotona di quanto non sia effettivamente. Ci si diverte sempre e lo spessore della formula di gioco mitiga queste impressioni, ma secondo noi si poteva osare di più.