Sea of Thieves
Ci vorrebbe un amico… Mai come in questo caso, la soluzione proposta da Antonello Venditti in una canzone che ormai è diventata un classico, si rivela azzeccata. Il modo migliore di trovare un perché ai quasi settanta eurozzi appena spesi per acquistare, magari sull’onda dell’hype che impazza in rete e dei corridoi dei licei, il titolo Rare dedicato ai pirati è proprio quello. Giocarlo in compagnia.
Non solo infatti in Sea of Thieves è completamente assente una campagna o anche solo un tutorial pensato per un giocatore singolo. E’ che il gioco, se non lo si vive assieme a un compagno di scorribande, o meglio ancora a più di uno, risulta oltre che noioso, anche piuttosto ostico. Dopo aver scelto il nostro avatar tra la manciata di modelli di pirata disponibili (tutti uguali, a parte il sesso e l’aspetto, quindi non ci si deve preoccupare della scelta se non da un punto di vista estetico), ci si ritrova infatti scaraventati nella prima partita disponibile, con l’unica opzione di decidere per un vascello più piccolo, dove in teoria si dovrebbe riuscire a gestire tutto da soli, e un galeone ad equipaggio completo, sul quale dividere i compiti con altrettanti giocatori. Che, se non sono amici con cui si è pianificato un incontro online, sono gioco forza pescati a sorte dal server e affibbiatici, che ci piaccia o no, come i commensali e compagni di viaggio in una crociera Costa low cost. Con il rischio di finire tritati.
Mi spiego meglio, raccontandovi della mia prima prova. Eccomi qua, terminata l’installazione, a scegliere un pirata e subito dopo a optare per il galeone, senza sapere bene cosa mi aspetti data la totale assenza di una guida, tutorial, livello di prova o simili. Vada per il galeone, allora, che fa molto più Jack Sparrow del piccolo shooner offerto in alternativa. Completato il caricamento di una partita disponibile, mi ritrovo su un’isola. E’ la mia prima volta, ma il server, magari per aggiungere colore al mio battesimo del mare da pirata, pensa bene di scatenare un temporale con lampi e tuoni. Le nuvole plumbee, però, non contribuiscono a farmi orientare su e giù per sentieri, ponti sospesi e moli. Morale, ci metto un quarto d’ora buono a cominciare a capirci qualcosa, facendo nel frattempo conoscenza con un’inutile (almeno per il momento) barista sovrappeso che si limita a offrirmi del grog e poco altro e, subito dopo, con alcuni loschi individui sparsi in baracche e tende qua e là, disposti ad offrirmi missioni delle tre tipologie possibili: recupero dei teschi di non morti, trasporto o esplorazione a caccia di tesori. Il tempo di dare un’occhiata alle opzioni disponibili ed ecco ritrovarmi sul molo ad osservare il mare vuoto. I miei allegri compagni, infatti, di sicuro più navigati di me nelle meccaniche, erano bellamente salpati senza attendere.
Che fare? Al terzo giro dell’isola, ho notato uno strano fumogeno fosforescente ardere a una cinquantina di metri da riva e, sfruttando le capacità natatorie del mio alter ego, e non avendo nel senso letterale del termine niente di meglio da fare, l’ho raggiunto, per scoprire che era tenuto in mano, un po’ come la fiaccola di Miss Liberty nella rada di New York, da uno strano tritone non morto e che toccandolo venivo trasportato a bordo del galeone in navigazione, senza colpo ferire e in virtù di chissà quale stregoneria.
Eccomi quindi riunito ai tre lestofanti (francofoni, prepuberi e logorroici) imbarcati sul veliero. Anche qui, non avendo ricevuto nessun aiuto, mi sono dovuto arrangiare con un tour della nave, per scoprire la riserva delle assi (servono per riparare le falle), delle palle di cannone (no! i pezzi di coperta non si ricaricano da soli!), i secchi (per svuotare la sentina allagata e i comandi dell’ancora, del timone e delle vele (si possono spiegare, ammainare e orientare a seconda del vento, standosene in coffa).
Nel frattempo, accedendo a uno dei menu per caso, mi sono accorto sconcertato che era in corso una votazione plebiscitaria degli altri membri per far affondare la nave! Salito sul ponte dopo aver impostato fortunosamente una rotta al tavolo delle mappe, secondo un meccanismo tutt’altro che intuitivo, mi sono messo alla barra per condurre da qualche parte la nave. Il resto della partita, tutta giocata in una semioscurità ammazza rétine per colpa del tempo da tregenda, mi ha visto cadere in maree finire su un’isoletta dove sono stato rincorso da scheletri assassini che, approfittando del fatto che nessuno mi aveva spiegato come estrarre la sciabola o la pistola, hanno fatto strame di me un paio di volte prima che capissi come armarmi.
Poco male, perché quando si muore si finisce sul traghetto dei dannati, nave spettrale in viaggio eterno nell’aldilà, in attesa che si apra la porta del cassero che ci permetterà di fare un bel respawn.
Sono anche finito in mare e sono stato mangiato da uno squalo che non aspettava altro, ho scambiato cannonate (una, in realtà, perché poi ho speso il resto del tempo della battaglia a cercare di capire come ricaricare il pezzo) con un’altra nave, non so per quale ragione, e alla fine sono finito nella cella sottocoperta, imprigionato da un’altra plebiscitaria votazione dell’equipaggio di mangiarane, di certo insoddisfatto della mia misera prestazione di newbie.
Morale. Erano anni (anzi no, sto mentendo peggio di un vero corsaro: sono solo poche settimane, ma la colpa è tutta di un altro titolo iper atteso e totalmente frustrante, Kingdom Come, sì proprio quello che ti chiede di soffiarti il naso e lavarti le orecchie prima di presentarti al tuo sire, ma che poi ti costringe a una quest eroica solo per trovare i kleenex e i cotton-fioc) che non mi ritrovavo così annoiato e infastidito durante le fasi di avvio di un gioco. Ci sarebbe voluto un amico, quindi, oppure più di uno. Ed è probabilmente questo il motivo per cui SoT è così popolare tra i liceali, e molto meno tra gli hardcore gamers solitari e con qualche capello bianco come il sottoscritto.
Noi pro, quando accettiamo di pagare il prezzo pieno di un gioco, apprezziamo in cambio la presenza di una solida campagna in single player (e le polemiche su Call Of Duty non sono mica nate per caso) e non disdegniamo una fase tutorial che ci permetta quantomeno di raccapezzarci su quello che c’è da fare, prima di finire asfaltati dai bot di turno o dai nostri compagni di sventura online. Il titolo piratesco targato Rare (gli stessi sviluppatori di Viva Piñata, e quando me lo sono ricordato tutto il resto ha iniziato ad avere senso…) è pensato per essere giocato in gruppo. Assieme ad altri amici, la frustrazione scompare, chi ne sa di più guida gli altri e alla fine ci si diverte come quando, ai giardinetti (a noi che non siamo cresciuti con una connessione subcorticale allo smartphone impiantata di default, capitava più spesso di quanto siamo disposti a confessare ai nostri figli) o in cortile, si giocava a guardie e ladri con quelli del palazzo di fronte, oppure a indiani e cowboys o, ancora, ai pirati (appunto!). E Sea of Thieves acquista di colpo un senso, mostrando tutte le sue doti nascoste dietro una patina di osticità che minaccia invece di scoraggiare fin da subito il giocatore solitario.
Il gioco non è infatti esente da lati pregevoli. A partire proprio da un gameplay improntato alla collaborazione. Sul galeone, per sfruttarne le potenzialità alla grande, occorre essere in parecchi e ben affiatati, sfruttando a fondo anche la possibilità di comunicare a voce in tempo reale. Uno al timone, uno alle vele, un paio sul ponte per badare ai pezzi di dritta e di babordo, e tutti gli altri pronti con l’ancora, il cannocchiale, o addetti a riparare le falle e buttare fuori l’acqua prima di finire in bocca ai pescecani. L’atmosfera caotica e scherzosa che vige su una nave armata da un gruppo affiatato di allegri compagni compensa tutte le perplessità espresse poco fa, regalando momenti esilaranti alternati a fasi drammatiche che rimarranno a lungo nella memoria dei giocatori, una volta superato il pericolo dettato da un abbordaggio ostile o dall’attacco di un terribile Kraken.
Proprio la componente goliardica dovuta alla partecipazione di protagonisti umani, un po’ come in una mega sessione di LARP (gioco di ruolo dal vivo) con ambientazione piratesca, riesce poi a sopperire a qualche carenza nel gameplay, dovuta all’eccessiva ripetitività delle missioni e all’impossibilità di implementare miglioramenti prestazionali del personaggio e della nave. Alla lunga, infatti, si rischia di stufarsi di esplorare isole per scavare scrigni pieni d’oro dalla spiaggia, recuperare teschi e recapitare carichi ritrovandosi ricchi sfondati, ma riuscendo poi ad acquistare solo miglioramenti cosmetici per il nostro avatar, le sue armi e il galeone, senza che questo comporti effettivi miglioramenti nelle manovre di combattimento e non o dei danni inflitti. La componente gdr, quindi, è praticamente assente e totalmente affidata all’interpretazione personale dei giocatori nell’interazione tra loro. Che può creare anche opportunità interessanti, a dire il vero. Come quando, assieme a un piccolo equipaggio di giocatori italiani reclutati a fatica nell’oceano confinato delle partite casuali, ci siamo ritrovati ad abbordare una nave più piccola con a bordo un altro giocatore che, prima di finire passato a fil di spada, ci ha offerto di farsi reclutare entrando nel nostro equipaggio e mettendo a fattor comune le mappe del tesoro in suo possesso. Così è stato e in un attimo il galeone si è ritrovato un nuovo nostromo cannoniere dalla mira implacabile!
Sviscerate luci e ombre di trama e gameplay (esiste comunque un finalone, quando si terminano tutte le missioni: non andate a spoilerarvelo sul “tubo”, ora, se non vi volete proprio tanto male!), è giusto dare il giusto merito a un comparto tecnico davvero superbo. A partire dalla resa del mare, d’incredibile realismo per un gioco che ha tra i suoi punti di forza una grafica volutamente fumettosa. I cavalloni si infrangono in credibili spruzzi e il moto ondoso, influenzato da vento, correnti e scogliere, è quanto di più bello si sia mai visto in un gioco, Far Cry incluso. Se si riesce a chiudere almeno un occhio, poi, su qualche glitch e alcune fastidiose compenetrazioni delle texture, e su una certa rigidità dei personaggi, non si può non assegnare un voto pieno alla grafica del gioco, caratterizzata sempre da un ottimo frame rate e da una palette di colori ricca e accattivante.
Un comparto video davvero meritevole è accompagnato da un audio decisamente buono. Gli effetti sonori molto più realistici di quel che ci si aspetterebbe da un titolo che gioca sull’argomento pirati senza prendersi troppo sul serio, sono accompagnati da una colonna sonora a tema, che alterna pezzi inediti ad arrangiamenti in salsa corsara di canzoni famose.
In definitiva, quindi, Sea of Thieves contiene alcune idee stimolanti e mostra gli esiti evidenti di un lavoro di progettazione tecnica ben condotto. Peccato, quindi, per un’impostazione del gameplay che restringe la godibilità del titolo ad una fascia d’utenza giovane e sociale, senz’altro numerosa ma non del tutto rappresentativa di un mercato popolato anche di percentuali considerevoli di amanti del gioco, foss’anche multiplayer, in solitaria e senza condivisione verbale e di hardcore gamers che difficilmente potranno appassionarsi a un’impostazione simile.
Questo e la scelta di commercializzare un titolo che, se non l’avessimo saputo prima, ci saremmo aspettati di trovare nel settore del negozio online di Xbox dedicato ai progetti indie di spessore (e magari a un prezzo di due terzi più basso), pensiamo possano essere argomento nocivi, assieme alla ripetitività di fondo, per una longevità accettabile del gioco. Che altrimenti potrebbe ritrovarsi in fretta accanto ad altri titoli sopravvalutati come No Man’s Sky sullo scaffale, virtuale e non, dei super sconti.
Nel frattempo, chi fosse interessato verifichi prima la disponibilità di una ciurma di amici disposta a condividere avventure, pinte di rhum e spruzzi di acqua salata. Altrimenti, forse è meglio tenersi al largo!