Shadow of the Colossus
Era il lontano (ma non lontanissimo) 2011, Shadow of the Colossus tornava su PS3 con una versione rimasterizzata dell'originale (uscito nel 2005 su PS2); un'operazione doverosa, per sottolineare quanto importante sia stato il gioco nella carriera di ogni singolo videogiocatore che ha avuto la fortuna di incappare in questo splendido capolavoro di Fumito Ueda.
All'alba del 2018, Sony e gli stessi autori della remastered del 2011, i ragazzi di Bluepoint Games, hanno deciso di far vivere questa esperienza (o rivivere, per i giocatori con più primavere sulle spalle) anche a coloro che non hanno mai avuto l'opportunità di affrontarla. Operazione rischiosa, ma sopratutto: necessaria?
Una landa tormentata dai sentimenti
Non è mai facile lavorare ad un remake, soprattutto quando si vanno a toccare titoli che hanno fatto la storia come Shadow of the Colossus. L'opera di Ueda aveva una forma e una dimensione precisa. I suoi coloro slavati, il frastuono silenzioso di quella vasta landa proibita, lo stupore e la sfida dati della scalata di ogni singolo Colosso. Tutto questo è cambiato nella forma, ma non nella sostanza fortunatamente. Cambiato come cambiano i tempi. Bluepoint ha puntato su asset grafici completamente nuovi, riscrivendo tutto il motore grafico e in parte riguardano anche quelle impacciate animazioni che - ad ogni modo - facevano parte dell'esperienza di gioco.
Provato su 4K la direzione più realistica data al remake esplode in tutta la sua fragorosa bellezza visiva. Due le modalità selezionabili "cinema" e "performance". La prima sacrifica i 60fps per una risoluzione dinamica in 4K e HDR, la seconda, invece, cede qualcosa sotto l'aspetto visivo ma cementa il frame rate a 60 fotogrammi fissi.
Il consiglio che vi do, giocando su PS4 PRO (purtroppo non abbiamo avuto modo di testare la versione per PS4 normale) è quello di tenere sempre attivo l'HDR, così da rendere la paletta cromatica dei colori più vicina a quella originariamente immaginata da Ueda.
Da vedere, al di là del gusto personale, Shadow of the Colossus è una perla di rara bellezza. La potenza emozionale di alcuni luoghi è rimasta intatta, così come quella sensazione di sfida che ogni colosso rappresenta per ogni giocatore. D'altronde il titolo partorito da Ueda è unico proprio per quello. Nella sua singolarità racchiude una sapiente scelta di story telling, che chiede al giocatore di riempire quel vuoto narrativo voluto, colmandolo con emozioni, sentimenti, stupore e paura. In fondo, quello che pensavo ai tempi, lo penso tutt'ora. Una narrazione così risicata (sappiamo che Wander deve riportare in vita una fanciulla abbattendo una serie di colossi) permette al giocatore di rendere personale la storia; ha la possibilità di far sgorgare quei "wow" o quegli "oh" con la dirompenza di un fiume in piena, rendono così l'esperienza semplicemente indimenticabile. A questo si aggiunge poi una qualità dei colossi che ora rende ancora più giustizia alle forme degli stessi, alla difficoltà della scalata e all'impresa all'apparenza punitiva che Wander è costretto a dover superare. Proprio sul protagonista, forse, avviene lo scivolone più grande, con una conformazione visiva che non convince proprio pienamente.
Tutto questo per dirvi che il cuore dell'esperienza è rimasto talmente intatto, che gli sviluppatori non hanno voluto aggiungere nulla a quello che già era stato fatto in termini di contenuti. L'unica aggiunta riguarda l'introduzione di una modalità foto piacevole, ma non particolarmente ricca di opzioni.
A guadagnare in valorizzazione è invece il comparto sonoro, indubbiamente migliorato rispetto alle precedenti versioni, i particolare per quel che riguarda i suoni ambientali; u valore aggiunto per tutti quei discorsi che poche righe sopra sono stati fatti sul trado emozionale del titolo. A corredo, vale la pena citare - ancora una volta dopo tanti anni - le splendide musiche di Ko Otani.
Insomma, non avere Ueda al timone di un progetto del genere poteva essere un grande rischio, invece - pur cambiando alcune cose nella direzione artistica - i ragazzi di Bluepoint hanno scelto la strada del realismo visivo per raccotnare una storia a tratti onirica. Un contrasto forte e deciso, ma che proprio all'interno di questa criticità trova lo spunto per emanciparsi dai precedenti lavori e sbocciare di una sua personale e precisa bellezza. Piacerà a tutti? Difficile dirlo.
L'unico consiglio che si può dare in questo caso, è quello di giocare a Shadow of the Colossus se non vi è mai capitato di farlo: con una vesta grafica moderna e più vicina alle generazioni attuali (come le nuove mappature dei comandi, ad esempio) colmare questo vuoto videoludico è un dovere morale.
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Redazione