Shadows of the Damned
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Se la domanda fosse “bastano tre personaggi di altissimo profilo per sfornare un sicuro capolavoro?”, guardando Shadows of the Damned la risposta dovrebbe essere no. Partiamo dalla fine, ovvero da cosa non é SotD. Shadows of the Damned non é certamente il Survival Horror definitivo, non é forse nemmeno il gioco che in molti speravano di avere fra le mani, non propone nulla di veramente nuovo e anzi abusa di cliché fin troppo noti. Considerando le capacità artistiche di Goichi Suda (Killer 7, No More Heroes), Shinji Mikami (Resident Evil, Devil May Cry e più recentemente Bayonetta e Vanquish), e Akira Yamaoka (compositore della splendida colonna sonora di Silent Hill), verrebbe quasi da stupirsi per la qualità in senso assoluto dell'opera che, a conti fatti, non deve però indurre nell'errore di sminuire oltremisura il gioco. Come detto Shadows of the Damned non é indubbiamente un capolavoro, ma questo non significa che non meriti di essere valutato per quello che é, ovvero un titolo indubbiamente godibile, simpaticamente irriverente e capace di garantire ore di sano, sanguinoso, volgare divertimento.
All'Inferno e ritorno, forse...
Realizzato attingendo a piene mani da situazioni già viste in opere cinematografiche “alternative” del calibro di “Dal Tramonto all'Alba” e “La Casa” (a dir poco spudorata in tal senso la rivisitazione in chiave ludica della classica scena della botola vista nel film di Raimi) , Shadows of the Damned non fa altro che offrire al giocatore l'opportunità di vestire i panni di Garcia Hotspur, un rozzo cacciatore di demoni di origine ispanica, famoso non tanto per la quantità immane di cicatrici e tatuaggi sparsi per il corpo o per il lessicale a dir poco “colorito” (per non dire volgare e forse fin troppo abusato), quanto più per la ferocia dei metodi di caccia adottati e per il sincero affetto che lo lega alla bella Paula .
E sarà proprio il profondo sentimento nei confronti del la donna che spingerà il protagonista a varcare le porte dell'inferno alla ricerca di Fleming, il potente demone responsabile del rapimento (e relativa tortura) di Paula, deciso a sbarazzarsi del nostro antieroe nel modo più cruento e doloroso possibile.
Benché l'introduzione faccia presagire ad uno stile di gioco molto vicino al classico Survival Horror (e per certi versi lo é visto l'abuso di sangue e la crudezza di alcune scene), nella realtà dei fatti Shadows of the Damned tiene decisamente le distanze sia dalle violente situazioni dei primi Resident Evil che dalle disturbanti esperienze di Silent Hill, optando di fatto per uno stile che pur abusando di litri di sangue e scene piuttosto forti (tra il gore ed il fetish) non disdegna di strizzare l'occhio a situazioni in grado di smorzare la tensione emotiva offerta in generale dal gioco.
In questo caso specifico, il team di sviluppo ha infatti preferito virare verso uno stile decisamente più leggero, rappresentando in primis il mondo dei morti come una città dei giorni nostri (con piazze, strade, insegne luminose e persino cartelli pubblicitari e poster inneggianti varie personalità di spicco degli inferi) in via di declino, ma soprattutto inserendo l'esilarante demone teschio Johnson nel ruolo di coprotagonista.
Stanco di un mondo (l'inferno, giusto per intenderci) che non ritiene più “al passo coi tempi”, Johnson ha di fatto il compito di svolgere il triplo ruolo di cicerone, torcia ed arma demoniaca multi trasformabile, ma soprattutto quello di smorzare continuamente la tensione con battute sarcastiche, commenti fuori posto ed improbabili siparietti con lo spietato Garcia, che non mancheranno di solleticare il palato degli appassionati dei film di tarantiniana memoria (Grindhouse su tutti).
Un gameplay d'altri tempi
Dal punto di vista del gameplay, Shadows of the Damned si affida ad un sistema di gioco riconducibile più ad un action in terza persona che non ad un survival horror vero e proprio, e non solo per l'uso della classica telecamera posta dietro le spalle del protagonista. Al giocatore non viene infatti richiesto ne di risolvere enigmi particolarmente contorti ne tantomeno di effettuare continui backtracking alla ricerca di oggetti o indizi propedeutici al gioco stesso, quanto piuttosto di percorrere i cinque livelli di gioco e le relative sottosezioni con il minor numero di danni possibile.
Tralasciando le classiche interazioni di base legate esclusivamente all'apertura delle varie porte presenti in ogni singola locazione (ma la soluzione sarà sempre a portata di mano quando non direttamente davanti a voi) ed a qualche sporadico Quick Time Event, all'atto pratico gran parte dell'esperienza di gioco si riduce di fatto all'altrettanto classico schema dello scontro 1 contro tutti, in cui classi di nemici via via sempre più potenti (ma salvo rare eccezioni con pattern di attacco mai particolarmente vari) faranno da antipasto all'enorme boss finale che segnerà anche il superamento del livello. Ovviamente, ciascuna eliminazione consentirà poi di accumulare un certo quantitativo di punti moneta (rappresentati in questo caso dai diamanti), punti che potranno poi essere barattati con il mansueto demone-mercante in cambio di medikit (bottiglie di Tequila, Rhum ed affini) ed upgrade per le diverse configurazioni di Johnson.
Tutto come al solito dunque? Effettivamente no, e questo solo grazie all'introduzione del concetto di “luce ed oscurità”, che rappresenta l'unico vero elemento caratterizzante dell'opera firmata Grasshopper. Raffigurata come una vera e propria nebulosa bluastra, l'oscurità é in grado di migliorare l'efficacia degli attacchi dei nemici ed avvolgere qualsiasi demone con una corazza capace di resistere dai colpi che non facciano uso di luce (il colpo secondario disponibile in tutte le trasformazioni di Johnson), nonché di generare una sorta di universo parallelo, all'interno del quale Garcia non sarà in grado di sopravvivere, se non per un limitatissimo lasso di tempo.
Considerando la pericolosità dell'elemento, nel corso del gioco sarà pertanto fondamentale fare in modo che certe condizioni si verifichino il minor numero di volte possibile, intervenendo (leggasi accendere) all'occorrenza sulle teste di capra/ candelabro sparse qua e la per le diverse locazioni, ed in senso più generale su tutti gli oggetti in grado di ridurre o limitare il potere dell'oscurità.
Tecnicamente parlando
Se dal punto di vista stilistico Shadows fo the Damned ha il merito di attestarsi su livelli più che discreti, sotto il profilo più prettamente tecnico il gioco dei Grasshopper denota preoccupanti alti e bassi. Nonostante modelli poligonali sopra la media ed una buona caratterizzazione sia del personaggio principale che di diversi comprimari, il gioco presenta texture non sempre all'altezza della situazione e scenari a dir poco ripetitivi, nonché incapaci di offrire una qualsivoglia possibilità di interazione con gli stessi. Parlando di aspetti positivi, da segnalare la solidità dell'Unreal Engine e la qualità degli effetti “a corredo” utilizzati, mentre al contrario più di un dubbio sorge sia sulla scelta stilistica di affidarsi a continui rimandi di stampo prettamente sessuale che soprattutto sulla questione legata alla gestione della telecamera, sempre troppo incline a perdere il focus sul protagonista durante le situazioni di gioco più convulse. Decisamente sopra la media, invece, l'intero comparto audio sia per quanto concerne i dialoghi localizzati unicamente in lingua inglese (ma sottotitolati anche in italiano) e la relativa caratterizzazione sia di Garcia Hotspur che del demone spalla Johnson, che soprattutto per la splendida colonna sonora a corredo del gioco, elemento questo in cui Akira Yamaoka ha dimostrato qualora ce ne fosse ancora bisogno di essere un vero e proprio talento.
Capitolo a parte merita invece la questione legata alla longevità del prodotto. Pur riconoscendo il fatto che un titolo corto non significhi necessariamente fiacco, sei/otto ore per portare a termine Shadows of the Damned rappresentano a nostro modo di vedere un bottino eccessivamente esiguo. Considerando l'assenza di modalità di gioco accessorie, l'eccessiva linearità di un prodotto incapace di offrire veri e propri cambi di ritmo in corso d'opera ed una curva della longevità ridotta all'osso, francamente ci sembra difficile consigliare l'acquisto a prezzo pieno di un gioco che, a conti fatti, finirà per prendere polvere molto prima di quanto possiate pensare.
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All'Inferno e ritorno, forse...
Realizzato attingendo a piene mani da situazioni già viste in opere cinematografiche “alternative” del calibro di “Dal Tramonto all'Alba” e “La Casa” (a dir poco spudorata in tal senso la rivisitazione in chiave ludica della classica scena della botola vista nel film di Raimi) , Shadows of the Damned non fa altro che offrire al giocatore l'opportunità di vestire i panni di Garcia Hotspur, un rozzo cacciatore di demoni di origine ispanica, famoso non tanto per la quantità immane di cicatrici e tatuaggi sparsi per il corpo o per il lessicale a dir poco “colorito” (per non dire volgare e forse fin troppo abusato), quanto più per la ferocia dei metodi di caccia adottati e per il sincero affetto che lo lega alla bella Paula .
E sarà proprio il profondo sentimento nei confronti del la donna che spingerà il protagonista a varcare le porte dell'inferno alla ricerca di Fleming, il potente demone responsabile del rapimento (e relativa tortura) di Paula, deciso a sbarazzarsi del nostro antieroe nel modo più cruento e doloroso possibile.
Benché l'introduzione faccia presagire ad uno stile di gioco molto vicino al classico Survival Horror (e per certi versi lo é visto l'abuso di sangue e la crudezza di alcune scene), nella realtà dei fatti Shadows of the Damned tiene decisamente le distanze sia dalle violente situazioni dei primi Resident Evil che dalle disturbanti esperienze di Silent Hill, optando di fatto per uno stile che pur abusando di litri di sangue e scene piuttosto forti (tra il gore ed il fetish) non disdegna di strizzare l'occhio a situazioni in grado di smorzare la tensione emotiva offerta in generale dal gioco.
In questo caso specifico, il team di sviluppo ha infatti preferito virare verso uno stile decisamente più leggero, rappresentando in primis il mondo dei morti come una città dei giorni nostri (con piazze, strade, insegne luminose e persino cartelli pubblicitari e poster inneggianti varie personalità di spicco degli inferi) in via di declino, ma soprattutto inserendo l'esilarante demone teschio Johnson nel ruolo di coprotagonista.
Stanco di un mondo (l'inferno, giusto per intenderci) che non ritiene più “al passo coi tempi”, Johnson ha di fatto il compito di svolgere il triplo ruolo di cicerone, torcia ed arma demoniaca multi trasformabile, ma soprattutto quello di smorzare continuamente la tensione con battute sarcastiche, commenti fuori posto ed improbabili siparietti con lo spietato Garcia, che non mancheranno di solleticare il palato degli appassionati dei film di tarantiniana memoria (Grindhouse su tutti).
Un gameplay d'altri tempi
Dal punto di vista del gameplay, Shadows of the Damned si affida ad un sistema di gioco riconducibile più ad un action in terza persona che non ad un survival horror vero e proprio, e non solo per l'uso della classica telecamera posta dietro le spalle del protagonista. Al giocatore non viene infatti richiesto ne di risolvere enigmi particolarmente contorti ne tantomeno di effettuare continui backtracking alla ricerca di oggetti o indizi propedeutici al gioco stesso, quanto piuttosto di percorrere i cinque livelli di gioco e le relative sottosezioni con il minor numero di danni possibile.
Tralasciando le classiche interazioni di base legate esclusivamente all'apertura delle varie porte presenti in ogni singola locazione (ma la soluzione sarà sempre a portata di mano quando non direttamente davanti a voi) ed a qualche sporadico Quick Time Event, all'atto pratico gran parte dell'esperienza di gioco si riduce di fatto all'altrettanto classico schema dello scontro 1 contro tutti, in cui classi di nemici via via sempre più potenti (ma salvo rare eccezioni con pattern di attacco mai particolarmente vari) faranno da antipasto all'enorme boss finale che segnerà anche il superamento del livello. Ovviamente, ciascuna eliminazione consentirà poi di accumulare un certo quantitativo di punti moneta (rappresentati in questo caso dai diamanti), punti che potranno poi essere barattati con il mansueto demone-mercante in cambio di medikit (bottiglie di Tequila, Rhum ed affini) ed upgrade per le diverse configurazioni di Johnson.
Tutto come al solito dunque? Effettivamente no, e questo solo grazie all'introduzione del concetto di “luce ed oscurità”, che rappresenta l'unico vero elemento caratterizzante dell'opera firmata Grasshopper. Raffigurata come una vera e propria nebulosa bluastra, l'oscurità é in grado di migliorare l'efficacia degli attacchi dei nemici ed avvolgere qualsiasi demone con una corazza capace di resistere dai colpi che non facciano uso di luce (il colpo secondario disponibile in tutte le trasformazioni di Johnson), nonché di generare una sorta di universo parallelo, all'interno del quale Garcia non sarà in grado di sopravvivere, se non per un limitatissimo lasso di tempo.
Considerando la pericolosità dell'elemento, nel corso del gioco sarà pertanto fondamentale fare in modo che certe condizioni si verifichino il minor numero di volte possibile, intervenendo (leggasi accendere) all'occorrenza sulle teste di capra/ candelabro sparse qua e la per le diverse locazioni, ed in senso più generale su tutti gli oggetti in grado di ridurre o limitare il potere dell'oscurità.
Tecnicamente parlando
Se dal punto di vista stilistico Shadows fo the Damned ha il merito di attestarsi su livelli più che discreti, sotto il profilo più prettamente tecnico il gioco dei Grasshopper denota preoccupanti alti e bassi. Nonostante modelli poligonali sopra la media ed una buona caratterizzazione sia del personaggio principale che di diversi comprimari, il gioco presenta texture non sempre all'altezza della situazione e scenari a dir poco ripetitivi, nonché incapaci di offrire una qualsivoglia possibilità di interazione con gli stessi. Parlando di aspetti positivi, da segnalare la solidità dell'Unreal Engine e la qualità degli effetti “a corredo” utilizzati, mentre al contrario più di un dubbio sorge sia sulla scelta stilistica di affidarsi a continui rimandi di stampo prettamente sessuale che soprattutto sulla questione legata alla gestione della telecamera, sempre troppo incline a perdere il focus sul protagonista durante le situazioni di gioco più convulse. Decisamente sopra la media, invece, l'intero comparto audio sia per quanto concerne i dialoghi localizzati unicamente in lingua inglese (ma sottotitolati anche in italiano) e la relativa caratterizzazione sia di Garcia Hotspur che del demone spalla Johnson, che soprattutto per la splendida colonna sonora a corredo del gioco, elemento questo in cui Akira Yamaoka ha dimostrato qualora ce ne fosse ancora bisogno di essere un vero e proprio talento.
Capitolo a parte merita invece la questione legata alla longevità del prodotto. Pur riconoscendo il fatto che un titolo corto non significhi necessariamente fiacco, sei/otto ore per portare a termine Shadows of the Damned rappresentano a nostro modo di vedere un bottino eccessivamente esiguo. Considerando l'assenza di modalità di gioco accessorie, l'eccessiva linearità di un prodotto incapace di offrire veri e propri cambi di ritmo in corso d'opera ed una curva della longevità ridotta all'osso, francamente ci sembra difficile consigliare l'acquisto a prezzo pieno di un gioco che, a conti fatti, finirà per prendere polvere molto prima di quanto possiate pensare.