Shardpunk: Verminfall, strategia a turni e sopravvivenza al gusto ratto – Recensione PC
L'indie di Clockwork Pile ci insegna come tirare a campare durante un'apocalisse di sorci giganti
Shardpunk: Verminfall di Clockwork Pile e Retrovibe combina la formula di gioco metodica e ponderata di uno strategico a turni con dinamiche tipiche di un survival, fatte di razionamento delle risorse e sacrifici spesso inevitabili. A voler fare un paragone, possiamo considerarlo una sorta di mix tra XCOM e Darkest Dungeon, ambientato in un universo steampunk vittoriano e impreziosito da una veste grafica 8-bit. Il titolo indie esce in questi giorni su Steam dopo un lungo periodo di gestazione, che risale al lontano 2018 con la prima tech demo (disponibile, tra l’altro, a tutti i possessori del gioco); un connubio riuscito? Ecco le nostre impressioni.
Il mondo di Shardpunk: Verminfall è stato invaso da un esercito di ratti antropomorfi (molto simili agli Skaven di Warhammer), che ha distrutto e saccheggiato qualunque cosa gli capitasse a tiro. Ai comandi di un manipolo di sopravvissuti, stanco, mal equipaggiato, e senza supporto esterno, abbiamo un solo obiettivo: avanzare per le strade della capitale infestate dall'orda per consegnare un automa presso il palazzo imperiale, unica speranza contro le immonde creature.
“In questo gioco prenderai schiaffi”; è più o meno l’avviso con cui si apre l’avventura, nella schermata di creazione del party. Viste le già citate similitudini con la produzione Red Hook Studios abbiamo temuto il peggio sin dalle prime battute, e invece, dopo aver trascorso una decina di ore in compagnia di Shardpunk: Verminfall e completato la campagna a difficoltà standard, non lo riteniamo neanche lontanamente così “infame”. Intendiamoci, basta una mossa falsa per compromettere lo scontro (se non l’intera sessione), i rinforzi nemici arrivano a ondate e sono potenzialmente infiniti, e senza un piano d’azione ottimale si è costantemente alla canna del gas, ma non abbiamo mai considerato il gioco disonesto, o tarato per masochisti e pochi altri coraggiosi. Il titolo Clockwork Pile è sì difficile e punitivo, con una curva di apprendimento piuttosto ripida, ma sa premiare coloro che si prendono la briga di studiarne le meccaniche e sanno sfruttare al meglio le risorse a disposizione. Forse un po' troppo a dire il vero. Ma andiamo con ordine.
I due schieramenti muovono a turno all’interno di mappe piuttosto elaborate, piene di coperture, percorsi secondari e vicoli ciechi. Avremmo gradito un po' di varietà extra nelle ambientazioni, che propongono i soliti complessi abbandonati, fogne, viali diroccati, ogni tanto una miniera, ma considerato il contesto possiamo accettare la monotonia di fondo; il level design invece, nonostante sia generato proceduralmente, offre spunti strategici molto interessanti che ben si sposano sia ad approcci attivi che passivi, valorizzando il posizionamento delle unità.
Queste possono compiere due azioni per volta, circostanze del caso permettendo, come muoversi (passo e sprint), attaccare un bersaglio a portata, attivare abilità, raffreddare l’arma (steampunk, ricordate?), rovistare in giro, trincerarsi oppure mettersi di vedetta per intercettare minacce in avvicinamento; le basi del genere insomma. La rosa iniziale comprende 4 personaggi e 1 automa, ma sbloccandone di nuovi si arriva a triplicare le cifre. Ogni elemento incarna un particolare archetipo e ha un ruolo ben preciso (fuoco di soppressione, mischia, danno ad area, supporto tattico o curativo...); i caduti sul campo di battaglia che non vengono rianimati per tempo con uno stimpak sono persi per sempre, ma è possibile reclutare sostituti proseguendo nella campagna (fatta eccezione per il robot, rotto quello è game over).
I superstiti invece, dopo ogni missione portata a termine, guadagnano punti esperienza per salire di livello e potenziare le skill, oppure sbloccarne di nuove, e qui si crea qualche squilibrio. Dopo le prime scorribande, dove le caratteristiche del party e quelle dei ratti tendono a equivalersi, cosa che rende gli ingaggi impegnativi e molto avvincenti, le nostre unità acquisiscono capacità che vanno ben oltre gli sforzi dell’orda di metterci i bastoni fra le ruote; se si regge botta durante il primo arco (tre in totale), diventa impossibile perdere, ovviamente se si mantiene una linea di comando salda e si evitano manovre alla carlona. Per farvi un esempio, in prossimità della battaglia finale il nostro fido robottino aveva massimizzato il campo di raffreddamento e l’abilità di attirare e contemporaneamente marcare tutti i nemici in zona; ciò gli consentiva di annullare il calore generato dalle armi alleate su ampia scala, conferendogli tra l’altro un bonus alla precisione, e obbligare i sorci a corrergli dietro. Quelli che giravano l’angolo finivano bucati da parte a parte dal nostro cecchino, con soglia di critico ormai superiore al 75%; gli altri avevano l’opzione di esplodere per mano del nostro veterano di guerra meccanizzato, in grado di aprire il fuoco 6 volte con una singola azione, e avere avanzi per un altro colpo o riposizionarsi, oppure essere affettati dalla nostra specialista del corpo a corpo con la sua katana, che poteva girarsi mezza mappa con uno scatto, insegnare la mitosi a cecchini e fucilieri lontani, e ricongiungersi al gruppo subito dopo, fino a 6 volte di fila, con una sola mossa. Disgustoso, ma non neghiamo dannatamente divertente. Compiere determinate azioni di squadra conferisce inoltre ulteriori bonus a danno, precisione e movimento dell’intera compagnia, rendendo gli assalti ancora più letali. Risultato? Forze in campo vaporizzate subito dopo l’avvistamento, e rinforzi cancellati sul nascere.
La deriva da survival a power fantasy farà sicuramente gola agli amanti di sinergie e reazioni a catena, e in tutta onestà preferisco di gran lunga vedere i miei investimenti e le mie scelte ricompensati sul lungo termine, anziché perdere il fegato dietro lanci di dado poco fortunati o imprevisti randomici in grado di mandare in vacca ore di accurata pianificazione; questo però sacrifica quello che dovrebbe essere uno dei capisaldi del titolo: la componente survival, per l’appunto.
Tra una missione e l’altra il party si prende una piccola pausa in uno degli accampamenti di fortuna. Qui è possibile guarire dalle ferite, ridurre lo stress accumulato, rifocillarsi, creare stimpak e granate, oppure attivare le abilità uniche di ogni personaggio per supportare gli alleati o migliorare le prestazioni per il prossimo scontro. Sulla carta le azioni eseguibili in questo frangente sono poche, e le risorse disponibili ancora meno, ma poiché siamo noi a distribuire legnate, c’è poco da rattoppare e tanto da massimizzare, in un ciclo incontrollato che porta ad avere un surplus quasi comico di oggetti e materiali.
I ratti ci provano a resistere, introducendo con costanza nuove classi (mitragliatori pesanti, artiglieri tossici, portabandiera, kamikaze, ninja... la varietà non manca) e modificatori dell’orda (unità corazzate, rinforzi più frequenti...), ma la loro forza bellica non scala rapidamente quanto quella del giocatore, e la presenza di missioni di sabotaggio che consentono di vanificare alcune loro strategie non li aiuta di certo. L’intelligenza artificiale molto prevedibile è un altro problema: le bestiacce puntano sempre e comunque verso l’obiettivo più vicino, con le truppe da mischia che caricano senza ritegno verso la meta, mentre quelle a lungo raggio si parcheggiano dietro la prima copertura che gli fornisca un bersaglio; non c’è coordinazione, e si impara in fretta ad anticiparli e a ritorcergli contro le primitive tattiche. Questi affari in teoria hanno ribaltato un’intera nazione in poche ore, ce li aspettavamo un pelo più furbi.
Completare l’avventura richiede circa 8-10 ore; esclusi i climax di ogni capitolo, avere come unico obiettivo evacuare l’area rende la traversata un po' monotona alla lunga, ma il sentimento viene smorzato dalla crescita esplosiva dei personaggi, che rende gli ingaggi via via più frizzanti, sebbene a discapito dell’atmosfera. La rigiocabilità è invece assicurata dai 3 livelli di difficoltà e dalle numerose combinazioni di sopravvissuti, automi e strategie che si possono attuare. Non siamo però grandi fan del far coincidere lo sblocco di nuove funzionalità a quello degli achievement. L’idea può andar bene in un Risk of Rain 2 a caso, dove le sfide sono tante, le sessioni brevi, e le aggiunte di volta in volta marginali, ma in questo caso i trofei sono una ventina e molti richiedono l’utilizzo di una certa abilità di un certo personaggio.
La campagna si presta bene a molteplici tentativi, ma essere “costretti” a ripeterla (oppure a interromperla prematuramente una volta ottenuto il necessario) solo per vedere tutto potrebbe dare qualche noia. Un altro stimolo per chi ama rincorrere il platino, ma forse si poteva trovare una soluzione più pratica. Come si poteva lavorare maggiormente sui “tratti” delle unità: in teoria, essere soggetti a forti dosi di stress può provocare l’insorgere di traumi nei vari soggetti, che li penalizzano in determinate circostanze, ma oltre alla fobia “dimostrativa” saltata fuori durante il tutorial non ne abbiamo vista traccia alcuna, né di “virtù” positive (esistono?).
La pixellosa veste grafica è semplice e minimale, ma delinea perfettamente il tono decadente dell'ambientazione, l'interfaccia è pulita e leggibile nonostante la mole di informazioni a schermo (manca giusto l'anteprima del movimento nemico, ma si impara a conviverci), e abbiamo apprezzato i tanti piccoli dettagli, come le sanguinose esecuzioni dei ratti (aggiunte tramite il DLC gratuito Blood Pack) e i modelli delle armi, che diventano sempre più complessi e raffinati all'aggiungersi di nuovi potenziamenti. Buona anche la colonna sonora, d'atmosfera nei momenti di "quiete", quasi a montare la tensione, per poi esplodere alla comparsa delle creature, con brani forse già sentiti nel panorama del genere, ma nondimeno efficaci.
Versione Testata: PC
Voto
Redazione
Shardpunk: Verminfall
Shardpunk: Verminfall si dimostra un titolo divertente ma non pienamente riuscito. Le fondamenta strategiche sono solide, le meccaniche rodate e funzionali al punto giusto; tuttavia, soffre di problemi di bilanciamento, che minano il tasso di sfida e il coinvolgimento del giocatore nella seconda metà della campagna. La componente survival parte come fulcro dell’esperienza, ma finisce per evaporare lentamente al salire di livello del cast di personaggi, i quali mantengono vivo l’interesse nei confronti del titolo Clockwork Pile, ma forse non proprio come l’avevano immaginato i suoi creatori; dovevano essere i ratti a darci filo da torcere, non il contrario. Abbiamo comunque tra le mani uno strategico a turni più che valido, e venduto ad un prezzo di favore; se amate il genere, andate a botta sicura.