Shenmue III
Nel mondo dei videogame, le saghe che hanno impresso un segno nell'immaginario degli appassionati sono una infinità. Ma fra queste, ben poche sono state capaci di assurgere allo status di oggetto di culto, riverito dai fan in una sorta di profana sacralità. Un buon esempio può essere Half Life, col recente annuncio di Alyx che ha fatto palpitare qualche cuore e lasciato con l'amaro in bocca chi invece bramava un terzo episodio di stampo canonico, atteso ormai da 15 anni. Un'altra fra le serie più venerate è senza dubbio quella di Shenmue, anch'essa rimasta ferma a due capitoli, pubblicati fra il 1999 e il 2001 sullo sfortunato Dreamcast. Si può quindi comprendere la grande commozione suscitata dall'annuncio di Shenmue III, avvenuto sul palco dell'E3 2015, al quale è seguita una campagna di raccolta fondi su Kickstarter da record. Il 19 novembre 2019 il gioco è finalmente uscito, accompagnato da aspettative contrastanti: da un lato, la responsabilità di raccogliere una eredità pesantissima sulle proprie spalle e, dall'altro lato, la consapevolezza che il progetto sia figlio di uno sviluppo condizionato da un budget ristretto (al contrario dei capostipiti: Shenmue 1 entrò nel Guinness dei primati per la maggior quantità di fondi investiti in un videogame!).
La storia riprende gli eventi rimasti in sospeso al termine del secondo capitolo: Ryo Hazuki è appena giunto al villaggio di Bailu, nella regione di Guilin (Cina), per svelare il mistero che si cela dietro agli specchi del drago e della fenice. Si tratta di due manufatti che, a dispetto del nome, sono realizzati in pietra e la cui importanza non appare ancora chiara. Shenhua, figlia di un intagliatore locale, si unisce a Ryo in una avventura che lo porterà a scontrarsi ancora una volta con la Chi You Men, organizzazione criminale già colpevole della morte di suo padre e disposta a tutto pur di impadronirsi degli specchi. Chi si fosse perso le puntate precedenti può visionare un breve video riassuntivo, anche se il nostro consiglio sarebbe quello di recuperare direttamente Shenmue 1&2, magari con la Collection (in proposito, occorre avvertire che l'utente odierno potrebbe trovare l'esperienza quantomeno datata).
Si suol dire che il buon giorno si veda dal mattino; che sia vero o meno, bisogna ammettere che l'impatto iniziale con Shenmue III è semplicemente disastroso. Si naviga fra menu di dubbio gusto, dove gli sfondi sono formati dagli artwork dei due protagonisti appiccicati ad un panorama retrostante. Il filmato introduttivo sbatte in primissimo piano le magagne del comparto grafico, senza avere la decenza di nascondere le défaillance dietro ad una regia più accorta. Poi si passa a Ryo e Shenhua che camminano lungo un sentiero e parlano fra loro: le movenze legnose, l'inespressività dei volti e il tono spiccatamente artificiale della conversazione impedirebbero l'immersione anche al più accanito dei fan. Quando si comincia a giocare, fin dall'ingresso nel villaggio si avverte la sensazione che ci sia qualcosa fuori posto. Quasi immediatamente si raggiunge una piccola bisca, ed essa non rappresenta certo un caso isolato a Bailu. Ad onor del vero, già in passato la serie ha abbondato di luoghi d'azzardo, che venivano però situati in complessi urbani densamente popolati e degradati.
Che uno sparuto insediamento, in una zona impervia della Cina rurale, possa abbandonarsi così platealmente al vizio, risulta difficile da credere. Sorge quasi il sospetto che metà degli abitanti di Bailu sia composta da biscazzieri, mentre l'altra metà da artisti marziali. Per gli artisti marziali viene fornita una giustificazione convincente e la loro presenza contribuisce a rendere una atmosfera da film gongfu. Per ciò che concerne gli altri, invece, la ricorrenza invadente di questi centri scommesse manifesta una palese difficoltà ad integrare armoniosamente i minigiochi entro la struttura del videogame. Shenmue ha sempre sofferto per la poca armonia, ma nel terzo capitolo la situazione è peggiorata fino a mettere a repentaglio la plausibilità delle ambientazioni. In una serie il cui principale punto di forza è sempre stato quello di calare il giocatore entro un mondo credibile, che sembra vivere di vita propria, è inammissibile trovare delle location poco verosimili, perché si tradisce l'essenza di quello che fu il capolavoro di Yu Suzuki su Dreamcast.
La vitalità del mondo viene altresì messa a dura prova da una esplorazione a compartimenti stagni, dove Bailu è suddiviso in micro-aree alle quali si può accedere solo dopo aver raggiunto un determinato progresso nella storia. La povertà di questa scelta di game design è intuitiva: riuscite ad immaginare che ne sarebbe stato di Shenmue 2, se invece di potervi perdere fra le vie di Hong Kong alla ricerca del Man Mo Temple, foste stati costretti a stazionare in un quartiere alla volta? In un secondo momento ci si sposta nella città di Niaowu, che si presta molto meglio come teatro delle nostre avventure. Niaowu infatti abbonda di negozi, fra i quali si può gironzolare per soffermarsi a contemplare i dettagli della merce esposta e degli arredi. Purtroppo, però, anche qui si percepisce qualcosa di sbagliato: le strade sono semi deserte e gli uomini sono privi di quelle stupende routine comportamentali che furono il vanto della serie. Vale a dire che essi non compiono più il tragitto casa-lavoro, non staccano per mangiare all'ora di pranzo, non si muovono più come se dovessero adempiere agli impegni del quotidiano. La scena, una volta tolta questa animazione, sembra messa in piedi apposta per Ryo, una impressione che in Shenmue si è sempre accuratamente cercato di non destare.
Pad alla mano, si constata che il gameplay non si discosta poi molto da quanto venne sperimentato una ventina di anni addietro. Siamo di fronte ad un action-adventure inserito in un open world peculiare, che agli spazi aperti preferisce superfici più contenute, ma decisamente dense; caratterizzato da un ritmo lento, con una minuziosa esplorazione degli ambienti e una spiccata propensione alla comunicazione con gli altri personaggi. Le subquest sono estremamente più semplificate in confronto a quanto eravamo abituati a vedere in uno Shenmue, ma più numerose e meno criptiche. Un ulteriore tratto distintivo della serie sta nella moltitudine di attività collaterali, in primis il combattimento.
Il combat system reca un discreto potenziale, sebbene sia meno intuitivo e profondo rispetto a quello dei predecessori, che era prevelato direttamente da Virtua Fighter. Un grave difetto, il fastidioso input lag, mina però la bontà della tenzone. Una caterva di minigame accompagna da sempre Ryo Hazuki nelle sue peripezie e Shenmue III non vuole essere da meno. Si è già accennato al gioco d'azzardo: è possibile scommettere su tutto, dai dadi alle corse delle rane. Poteva poi mancare il pachinko? Certo che no, ed ecco dunque una pletora di postazioni ad omaggiare uno degli hobby preferiti dai giapponesi. Mancano i cabinati con i grandi classici SEGA, una assenza importante ma inevitabile, dal momento che il titolo non è più sviluppato sotto l'ala protettrice della casa di Tokyo. A compensare la carenza intervengono nuovi passatempi, prima fra tutti la pesca, che però non mostrano lo stesso mordente.