Shines Over: The Damned, un esperimento privo di identità
Un'esperienza tra la mezz'ora e l'ora, senza capo né coda, priva di qualsiasi guizzo "sperimentale"
L'horror è uno di quei generi inflazionati e poveri al tempo stesso. Forse nella certezza che basti un po' di atmosfera, rumori intensi e improvvisi, e qualche cosiddetto jump scare (strettamente legato all'audio), fioccano videogiochi horror tanto spesso quanto in sordina; la maggior parte è in prima persona e con interazioni/comandi ridotti all'osso, il che può essere un'altra spiegazione del perché riescano a emergere con tanta frequenza. Si tratta tuttavia di un pieno-vuoto, esperienze che hanno poco da offrire e altrettanto lasciano una volta finite, spesso molto simili tra loro sia per la struttura sia per le tematiche alla base.
In questa giungla di videogiochi dimenticabili può capitare di trovare la perla del momento: quel titolo che pur basandosi sugli elementi di cui sopra, magari riducendosi a un walking simulator in cui il pericolo è solo suggerito e mai concreto, colpisce nel segno poiché capisce cosa fare, quando ma soprattutto in che misura. Risponde a quel “less is more” per cui si riesce a raccontare o trasmettere qualcosa persino nell'essenzialità di pochissime ore di gameplay.
Ci sono, dunque, giochi che possono farcela. Poi ci sono prodotti incomprensibili come Shines Over: The Damned. Dovendolo descrivere, sebbene sia un'esperienza con un inizio e una fine, il termine più corretto sarebbe “demo”: non solo per l'eccessiva brevità (da mezz'ora a un'ora in base a quanto decidete di correre o camminare) ma per il fatto che manca di ogni cosa. Nelle informazioni prodotto viene etichettato come horror, avventura grafica e arte/sperimentazione, il che due cose le avrebbe dovute suggerire.
Ciononostante, anche tenendo buono il concetto di sperimentazione, non se ne trova traccia nel corso di un walking simulator senza capo né coda, nel quale non capiamo chi siamo, dove siamo – sebbene a grandi linee si possa ipotizzare – o perché siamo lì a cercare una donna di cui non sappiamo niente e con la quale non abbiamo nemmeno legami. Che la cerchiamo, peraltro, lo sappiamo solo se leggiamo le scarne righe presenti nella schermata d'avvio del gioco, confusionarie quanto lo è l'intera esperienza per sé. Al di là di questo, Shines Over: The Damned è una sperimentazione, sì, ma rivolta alla nostra pazienza: sebbene duri effettivamente molto poco, la sensazione di aver davvero buttato via un'ora è molto più forte rispetto a titoli altrettanto deludenti.
Il gioco è strutturato a capitoli, cinque in totale. L'unica cosa che ci viene chiesto di fare è spostarci in questo luogo metafisico di origine sconosciuta, risolvendo qualche banale enigma e, le rare volte in cui dobbiamo farlo, “interagendo” sempre per liberare la strada davanti a noi. In realtà non esiste nemmeno un tasto per l'interazione, ci basta scontrarci con qualcosa perché reagisca: per fortuna lo si deve fare una sola volta, nel corso di un semplice puzzle, e questo è il massimo dell'interazione che lo sconosciuto protagonista ha con il mondo attorno a lui.
Il resto del tempo lo passa correndo, o camminando se volete guardarvi attorno e raccogliere quei pochi collezionabili sparsi. Poiché siamo sulla media della mezz'ora di gioco, capite da voi che il concetto di capitoli è parecchio generoso: la maggior parte dura una manciata di minuti, fatta eccezione per l'ultimo che è una lunga, fin troppo, discesa in barca dove possiamo solo muoverci a destra o sinistra per evitare gli ostacoli. Nient'altro.
L'elemento horror, se così vogliamo definirlo, sono sparute ombre che ci attaccano all'improvviso, accompagnate da un forte rumore (si torna al concetto di jump scare facile), e dalle quali dobbiamo liberarci semplicemente premendo velocemente L1+R1. Per il resto non c'è nulla, né in termini di ambientazione né di musiche, che possa anche solo far vagamente pensare a un'esperienza horror. Shines Over: The Damned non ha nemmeno un'identità definibile tale.
Pesca elementi a caso, come una pagoda che scorgiamo a un certo punto o quelli che potrebbero vagamente ricordare i corvi di Odino in God of War (anche se a me sono sembrati una versione spirituale dei pennuti dello Zaffa-Chocobo di Final Fantasy X), unendoli per un'accozzaglia senza capo né coda. Pochissimi giochi mi hanno confuso al punto da farmi tirare un sospiro di sollievo arrivata alla fine – questo primato ce l'ha ancora l'improponibile Stray Souls – ma Shines Over: The Damned rientra appieno nell'elenco.
Non c'è molto altro da aggiungere, se non una pochezza generale anche nelle rare scritte, nel game over che capita a causa soprattutto di salti mal calibrati, un sound design ovattato senza motivo e, il mio preferito probabilmente, il fatto che pur nella sua brevità il gioco non si può mettere in pausa. Premendo Start una volta appare una scritta poco visibile in alto a destra che ti chiede di premere di nuovo per uscire dal gioco. Ho provato, per curiosità, e scoperto che neppure esiste non dico una suddivisione in capitoli considerato quando durano ma nemmeno un salvataggio: tornando all'inizio si deve ricominciare tutto da capo con gli annessi e connessi di un intro breve ma mai abbastanza da doversi vedere ogni volta.
L'unico concetto di checkpoint è durante la partita in sé quando, se capita di morire, si riprende esattamente da dove si è morti. Tranne nell'ultimo capitolo, che fa di tutto per rendersi il più noioso possibile, perché morendo in un punto qualsiasi dell'eterna discesa lungo il fiume lo si ricomincia da capo. Insomma non c'è davvero niente che si salva di Shines Over: The Damned, perché anzitutto non si riesce a capire cosa voglia essere. Ci sono senza dubbio modi migliori per spendere 15 euro.