Silent Hill 2 remake, la recensione
Dopo tanto parlare, finalmente siamo in grado di dirvi cosa vi aspetta davvero tra le nebbie di Silent Hill
Ripudiato, rinnegato, rimandato. La vita del remake di Silent Hill 2 non è stata per niente semplice. A partire proprio dal suo annuncio, quando Konami rivelò al mondo di aver affidato a Bloober Team la direzione dei lavori su uno dei titoli più iconici del genere dei survival horror, ma non credo di far torto a qualcuno allargando il tiro alla storia videoludica in generale. Troppo inesperti, troppo legati a generi più statici, troppo abituati a quei walking simulator che sono stati il cavallo di battaglia del team polacco. E i primi playtest mostrati nel corso dello sviluppo davano ragione ai detrattori di questo progetto (chi scrive in testa). Direzione artistica, stile di combattimento, modelli poligonali, ambienti grafici. Sembrava tutto sbagliato, e la strada verso il baratro praticamente garantita.
Silent Hill 2 è un ritorno a casa dopo un lungo viaggio
D’altronde il compito non era di quelli più semplici. Al di là del riprodurre in copia carbone il “gioco perfetto” di Konami, a Bloober si chiedeva di sorprendere un giocatore che ormai conosce ogni angolo recondito della mappa di gioco, ogni retroscena della trama, ogni minimo dettaglio di quanto accaduto nelle nebbie di Silent Hill. Come sollecitare e suscitare l’interesse di un pubblico conscio, che conosce già la fine, che ha visto dove porta la lunga e tortuosa strada del Toluca Lake e che ha analizzato ogni singolo aspetto del gioco originale, compreso anche il versante psicologico dell’opera?
Pur non ripartendo da zero, lo sviluppo di questo Remake sembra aver voluto prendere una direzione parallela, che da una parte porta il giocatore laddove si aspetta di essere, ma che dall’altra sembra quasi voler giocare con lui, come a volergli suggerire che, sì, quella è casa sua, ma che se guarda bene, se osserva attentamente quello che gli sta attorno, può accorgersi che tanto è cambiato e che c’è ancora un mondo da scoprire e tanto divertimento (malato), giusto dietro l’angolo. E se quindi l’impatto iniziale è un po' da “Si, ok, bello, ma…..”, pian piano l’ambiente circostante ti avvolge nelle sue spire, ti porta dentro un gameplay che conosci alla perfezione ma che ha giusto quelle due o tre cose cambiate in meglio che ti convincono ad andare avanti ancora un po', fino ad avvolgerti poi in un flow da cui non puoi, e non vuoi, più sottrarti. E poi ci sono i puzzle, vecchi ma nuovi, alcuni del tutto inediti e altri che pensavamo di conoscere a memoria ma che sono stati attualizzati e resi più impegnativi. Basta poco per rendersi conto di essere all’interno di un parco dei divertimenti malato, sbagliato. Benvenuti a Silent Hill.
Anzi, a dire il vero, in alcuni punti Bloober sembra quasi volersi prendere gioco degli utenti di vecchia data. Gli riporta alla memoria scene viste in passato e cambia le carte in tavola. Più volte, soprattutto all’inizio del gioco, vi troverete a pensare “Ah, ecco, adesso succede questo”, e poi invece non accade nulla, o parte una scena “amacord”, dove l’immagine si freeza e capisci che le cose sono cambiate, e che ti devi aspettare ben altro in questo viaggio allucinato. In sostanza, minano le vostre certezze, cercando di far sì che la vostra mente si apra ad una nuova esperienza di gioco, pur conoscendola alla perfezione.
Anzi, fa di più, aggiungendo anche elementi estranei al gioco originale, perché mette in scena anche le condizioni meteo come il vento, che in alcuni momenti del gioco rendono ancora più difficoltoso e angosciante il nostro peregrinare per le strade della città. Una novità ben contestualizzata e che riesce a cogliere segno, aumentando il senso di incertezza e facendo perdere quei pochi riferimenti che il giocatore era riuscito faticosamente a imprimersi nel cervello. Le fasi iniziali del gioco servono proprio per riprendere in mano un sistema di controllo e di combattimento che si è evoluto e contestualizzato, a partire dall’inquadratura, che perde la componente registica delle telecamere fisse, per passare all’attuale “seconda persona” a cui siamo ormati tutti abituati, che anche la serie Konami aveva adottato nelle sue ultime produzioni.
Partiamo dalle basi
La trama non è cambiata, e vi vede nei panni di James Sunderland alla ricerca della moglie morta da tre anni, ma che, a quanto pare, è riuscita in qualche modo a inviargli una lettera per dirgli di raggiungerla nel loro “posto speciale”. Peccato che nel frattempo il loro posto speciale si sia trasformato in un qualcosa di profondamente inquietante e malato, e che James si troverà presto ad affrontare mostri e situazioni, che sembrano arrivare direttamente dall’inferno. Dal suo arrivo in poi, sarà un continuo confrontarsi con personaggi e situazioni davvero al limite dell’immaginazione, che andranno a tratteggiare un quadro che ci apparirà chiaramente davanti, solo dopo le sequenze di chiusura, ma che saranno comunque capaci di lasciare una inquietudine, e in certi casi una tristezza, che all’epoca del gioco originale, era praticamente impensabile poter ricavare da un’opera videoludica.
Non fatevi ingannare dall’abbondanza delle fasi iniziali, perché il gioco saprà essere piuttosto avaro nelle parti più avanzate. E in virtù di questo, il combattimento corpo a corpo assume un’importanza fondamentale, dal momento che un buon apprendimento delle meccaniche di base (invero, molto semplici), vi aiuteranno a risparmiare il prezioso munizionamento, riuscendo comunque ad avere la meglio sugli avversari più abbordabili. Pur non trovandoci di fronte ad un melee combat particolarmente strutturato, è innegabile che Bloober abbia speso tempo ed energie per dare al giocatore gli strumenti giusti non solo per colpire gli avversari in modo violento ed efficace, ma anche per riuscire a schivare le controffensive per darvi modo di trovarvi sempre in posizione di vantaggio. Soprattutto, sappiate che alcuni dei vostri avversari avranno la tendenza a cercare di mimetizzarsi con l’ambiente, apparendo inizialmente inerti per poi prendere vita non appena gli passerete accanto per sferrare i loro attacchi.
Pur rispettando i canoni del “Silent Hill Verse”, la visione di Bloober dei nemici affrontati da James è sicuramente votata ad una versione più “steroidea”, con mostri più veloci e impegnativi (ovviamente dipenderà anche dal livello di difficoltà selezionato), che in generale riescono a dare maggior filo da torcere anche se, una volta individuati i pattern d’attacco, riuscirete quasi a “giocare d’anticipo”. Questo, almeno, dove possibile, dal momento che gli ambienti di gioco particolarmente angusti, non vi faciliteranno il compito, specialmente quando gli avversari si faranno sotto da più parti.
Un capitolo a parte va poi riservato alla direzione artistica di Silent Hill 2, che lavora sicuramente in continuità ma che, vuoi per i tempi più maturi, vuoi per le rinnovate possibilità tecnologiche, pone davanti al giocatore un vero inferno in terra che lo stesso Clive Barker apprezzerebbe. Alcuni livelli di gioco sembrano davvero riprodurre ambientazioni che il famoso scrittore li Liverpool potrebbe integrare facilmente in qualsiasi Hellraiser. I colori, i dettagli estetici, il sapiente utilizzo delle luci, tutto contribuisce a dare a Silent Hill 2 i contorni dell’incubo a occhi aperti, quello dove non vorresti mai esserci, ma da cui non riesci a staccarti troppo facilmente. L’Otherworld di Brookhaven, è un esempio perfetto di quello che sto dicendo.
L'essenza dell'orrore
Un plauso deve arrivare anche al sound design, che sottolinea in maniera subdola i passaggi più inquietanti e vi martella le orecchie nelle fasi più concitate, ed esattamente come l’illustre predecessore, riesce a utilizzare in modo molto efficace, anche il silenzio. In più, aiutati anche dalle virtù del dual sense, i mostri di Silent Hill 2 gracchieranno e vi assaliranno i padiglioni auricolari anche attraverso lo speaker del vostro pad. Tutto questo aiuta a realizzare un ambiente di gioco deliziosamente malato, capace di non lasciarvi mai completamente tranquilli, in grado di alternare momenti di calma apparente ad altri dove i vostri sensi saranno attaccati praticamente in tutte le loro componenti. Yamaoka, poi, è una sicurezza e anche se non ci sono delle novità sostanziali nel suo operato, il “manico” del maestro riesce a farsi sentire, deliziando le nostre orecchie nei passaggi più significativi dell’opera.
E’ davvero rassicurante osservare come tutte le singole componenti del lavoro di Bloober, da quella artistica, a quella tecnica, convergano verso un fine unico: farvi provare paura. In alcuni momenti la tensione è quasi insopportabile, i corridoi scarsamente illuminati, i movimenti che potete scorgere nella penombra, il gracchiare della radio che vi indica che c’è qualcosa ad attendervi nel buio, ma che ancora non potete vedere, ma che riuscite a sentire in cuffia, rappresentano un sottobosco incessante, che una parte di voi vuole lasciare al più presto, ma che un’altra riconosce quasi come casa propria. Ed è qui che emerge Silent Hill nella sua vera essenza, nel riuscire a raccontarvi una storia di dannazione, di pentimento, di morte ma anche di rinascita, parlando direttamente a una parte di voi che normalmente non viene coinvolta in opere di intrattenimento come questo.
E se è vero che “vincere può essere facile, ma il difficile è ri-vincere”, possiamo tranquillamente affermare che questo bistrattato team polacco sia riuscito a portare a casa la più incredibile delle rivincite. In tutti i sensi.
Insomma, il lavoro di Bloober è esattamente quello che i fan di vecchia data volevano, e quello che le nuove leve hanno bisogno. Un’opera davvero ben realizzata, rispettando la pesante eredità di Konami, ma portando sul piatto anche tutta una serie di idee che si incastonano perfettamente in questo fantastico lavoro. Silent Hill 2 è delizioso viaggio nell’inferno delle nostre emozioni più recondite e malate, che Bloober mette perfettamente in scena.